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Domenica, 28 Aprile 2024
Male in Italy

Quanto costa mangiare male "all'italiana"

Gli italiani spendono oltre 117 milioni di euro l'anno per curare le conseguenze di regimi alimentari sbagliati, connessi a obesità e malattie cardiovascolari. La prima grande confusione deriva dal concetto di "dieta mediterranea", che ha sempre meno a che fare coi prodotti che le organizzazioni agroalimentari promuovono

Confessiamolo. Mentre stiamo preparando il menù di Natale, in famiglia o tra amici, stiamo già pensando a quale miracolosa dieta avviare a partire dal 7 di gennaio. Facciamo i conti su quanto spenderemo durante le feste, tra cesti di regali, pranzi fuori e specialità da offrire in casa, ma un conto ben più salato lo pagheremo in seguito, tra dietologi, medicine e visite specialistiche per capire cosa ci fa stare così male. Eppure abbiamo mangiato solo prodotti "Made in Italy"! Magari anche specialità Dop o Igp, con un occhio alle offerte e un altro all'equilibrio qualità-prezzo. Eppure tra qualche mese o anno, pur provando a limitare gli "sgarri", arriverà la fattura che non ci aspettavamo. A quanto ammonta? Il calcolo lo ha fatto l'Agenzia per l'agricoltura e l'alimentazione delle Nazioni Unite (Fao), che ha misurato quanto gravano sulle tasche degli italiani dei sistemi alimentari disfunzionali, abbinati a politiche errate, basate sulle "dipendenze" anziché sulle esigenze, spesso falsate da promozioni ed etichette dell'industria agroalimentare a dir poco ingannevoli. Questo articolo non è frutto di un rimprovero salutista, di un anelito vegano né ideologico, ma punta a capire meglio di "cosa" stiamo soffrendo quando la Fao dice che stiamo spendendo ogni anno 200milioni e 877mila euro di costi alimentari nascosti, di cui la stragrande maggioranza riguarda la salute. Un paradosso per il Paese che si vanta di essere la patria della dieta mediterranea.

Sicuri sia dieta mediterranea ?

Diventata uno dei cavalli di battagli delle destre, la dieta mediterranea professata dal governo e dai suoi ministri corrisponde sempre meno al modello originale. "Partiamo dal presupposto che c'è un grande fraintendimento quando si parla di 'dieta italiana' e di 'dieta mediterranea', spesso presentata come un Sacro Graal, ma che va calata nella realtà dell'epoca (codificata nel 1956, ndr), quando le persone mangiavano poco, circa 1000 chilocalorie al giorno, e svolgevano molte attività fisiche legate a lavori manuali", spiega Sebastiano Banni, professore di Fisiologia e Nutrizione presso l'Università di Cagliari. "Quando parliamo di dieta dobbiamo sempre fare riferimento alla fisiologia di ciascuno e ai fabbisogni in relazione alle attività che si svolgono, non esiste una formula magica. Oggi sappiamo di certo che una dieta varia, la cosiddetta flexitariana che si avvicina molto alla dieta mediterranea, è la più corretta, includendo diversi tipi di frutta e di verdure, carboidrati e pesce, un apporto moderato di carne, una misurata quantità di latticini". Eppure quando le grandi organizzazioni agroalimentari conducono strenue battaglie a Roma o a Bruxelles, troviamo tra i principali prodotti difesi formaggi, insaccati, vini e carni rosse, riconducibili spesso a pochi giganti dell'agroalimentare. Prodotti in alcuni casi anche ottimi ma che negli anni '50 erano consumati di rado, spesso in relazione a determinate occasioni e stagioni, con caratteristiche molto diverse a seconda delle regioni in cui si viveva. Oggi questi cibi vengono invece spacciati come "pilastri" della dieta Mediterranea. E promuoverli costa caro. 

Meno nutrienti

In base al report Market Meat di Greenpeace, tra il 2016 e il 2020 l'Unione europea ha speso oltre 45 milioni di euro per la promozione di queste tipologie di prodotti tricolore, a fronte di poco più di 21 milioni di euro investiti per frutta e verdura. Ad ottobre 2023, dopo strenue battaglie, il governo italiano ha evitato tagli alle nuove tranche di sussidi per il settore latticini, carni e vini, schivando le proposte della Commissione europea che intendeva escludere o comunque ridurre queste promozioni per cibi spesso connessi a malattie cardiovascolari, tumori e infiammazioni varie. Non si tratta di "demonizzare" dei cibi, solo di consumarli con maggiore consapevolezza, da ogni punto di vista. "La dieta mediterranea reale è basata su cibi naturali, quella promossa oggi si basa sul consumo di cibi industriali ed ultraprocessati. Gran parte delle aziende aggiungono additivi, conservanti, zuccheri, inclusi quelli artificiali, indispensabili per preservare quel tipo di produzione destinata a dover durare nel tempo, ma che impoveriscono gli ingredienti alla base dei prodotti", precisa Giulia Ciccarelli, specialista in medicina interna, che su Instagram cura il canale "medicina_in_cucina". Tramite brevi video spiega come funzionano vari alimenti e mostra ricette dalla colazione ai secondi piatti per ottenere varietà, senza soffrire in termini di "felicità" alimentare.

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Influsso delle lobby

Tra le devianze intercettate dalla Fao, ci sono anche sistemi di distribuzione troppo concentrati, con prezzi imposti da catene di supermercati, che offrono prodotti omologati e piegati alle loro esigenze. Stabiliscono misura e peso di frutta e verdura, le qualità da proporre perché più "belle" da vedere, il momento in cui raccogliere questi cibi, costretti poi a restare nei frigoriferi settimane per rispondere alle esigenze della durata sugli scaffali (shelf-life). Nella riflessione aggiungiamo le dinamiche della ristorazione, che tendono sempre più a specializzarsi: hamburgerie e bisteccherie, oltre che pizzerie e piadinerie. La ristorazione "monocibo", anche quella che si fregia del titolo di 'Made in Italy', domina soprattutto nelle grandi città, ma non solo, spesso sotto forma di catene e franchising. "La varietà riduce i livelli di sazietà e permette una maggiore capacità di controllo sulla fame", sottolinea Sebastiano Banni, "ma si tende a rendere monotona l'alimentazione perché è più facile, sbrigativo e costa meno, sia a livello personale che di ristorazione". Alcuni fattori sono personali, altri politici. "Ci si attacca spesso a formaggi e prosciutti o ai piatti pronti del take-away perché arriviamo a casa stanchi e frustrati e la gratificazione immediata ci spinge verso questi prodotti, ma non è colpa degli alimenti che mangiamo. Per me non esiste il concetto di 'junk food', ma solo quello dell'abuso di determinati cibi e questo dipende dall'attenzione dei cittadini", precisa il docente. "La mancata promozione di una dieta varia deriva anche dai politici, a cui non conviene perché non riceverebbero un ritorno dalle lobby dell'agroalimentare, che li sostengono affinché promuovano determinati cibi", aggiunge il professore. 

Costi sociali e ambientali

Il report della Fao, Lo Stato dell’Alimentazione e dell’Agricoltura 2023, evidenzia che i costi nascosti dei sistemi agroalimentari sono sottovalutati e riguardano tre aspetti: ambiente, sociale e salute. Per il primo, più della metà deriva dalle emissioni di azoto (principalmente dal deflusso alle acque superficiali e alle emissioni di ammoniaca nell’aria), seguite dai contributi delle emissioni di gas serra ai cambiamenti climatici (30%), dai costi di cambio della terra (14%) e dall’uso dell’acqua (4%). L'azoto? Principalmente viene dalla concimazione, specie con fertilizzanti chimici di cui sono 'drogati' i nostri suoli, dal trasporto di ammoniaca e nitrati e dalle deiezioni degli animali allevati. Per lo Stivale, tradotto in numeri, questo eccesso di azoto ci costa 15milioni e 177mila euro. Ci sono poi i costi sociali, derivanti dallo sfruttamento e da fenomeni come il caporalato, ma anche da remunerazioni troppo basse per gli agricoltori, dove a guadagnarci sono soprattutto intermediari e Grande distribuzione organizzata. Nei Paesi a reddito medio-alto rappresentano la categoria di costi più piccola, ma in Italia la "povertà agricola" pesa comunque 106 milioni di euro.

Via libera ai pesticidi

Restando nei campi, ci sono poi i danni derivanti da un uso massiccio dei pesticidi. Oltre a danneggiare la biodiversità, si ritiene siano alla base di allergie alimentari e malattie respiratorie, a causa della tossicità di molti fitofarmaci, capaci anche di penetrare nelle acque profonde. Pensiamo ad esempio al Prosecco, l'eccellenza dell'export capace di sbaragliare le bollicine di tutto il mondo, Champagne incluso. Per rispondere alla domanda crescente, in Veneto fioccano accuse per coloro che stanno avvelenando i territori di pesticidi al fine di incrementare la produzione nei vigneti. I campi rischiano di risultare, oltre che monotematici, improduttivi. La Commissione europea aveva chiesto di ridurre del 50% i fitofarmaci entro il 2030, ma le lobby agricole italiane hanno dato battaglia, convincendo tanti eurodeputati ad affossare la proposta.

Malattie infantili in aumento

Ad incidere maggiormente sul "conto alimentare" sono i costi nascosti per la salute: quasi 176milioni di euro spesi per curarsi da modelli alimentari in gran parte dei casi associati all'obesità e alle malattie non trasmissibili, come quelle cardiovascolari, che determinano perdite di produttività e un impatto negativo sull'economia, oltre che sui nostri corpi. Un'emergenza che riguarda sempre di più anche l'infanzia. "Le malattie metaboliche sono in netto aumento, ma quello che più mi preoccupa sono i dati sull'obesità infantile che è in aumento, insieme al fegato grasso (la steatosi epatica, ndr). Si tratta di una malattia che fino a 15 anni fa veniva ricondotta solo agli anziani ma che oggi è rinvenuta sempre più spesso nei bambini", spiega la dottoressa Ciccarelli.

Associati ad una diffusa sedentarietà, merendine, snack e biscotti industriali contribuiscono al diffondersi di questi problemi. "Bisogna prestare attenzione anche ai prodotti venduti come 'sani', come barrette proteiche, burger o formaggi vegani, che sono comunque processati a livello industriale. Anche lo yogurt, un alimento di per sé salutare, banalmente può porre dei problemi quando viene proposto con aggiunta di frutta, sciroppi o anche quelli con lo 0% di grassi, che vengono corretti con una maggiore quantità di zuccheri. Meglio orientarsi su uno yogurt naturale, che preserva intatte le sue qualità", spiega la dottoressa, che invita a prestare più attenzione al retro delle etichette, dove compare la lista degli ingredienti, anziché agli slogan che citano parole come "light" e "zero grassi".  

Abusi ed eccessi

Gli studi sulla nutrizione sono in evoluzione continua e offrono risultati diversi anche in base all'interazione con l'ambiente.  "Il nostro rapporto coi cibi è mutato nel tempo. Ci siamo evoluti in maniera tale da processare meglio i cibi tramite la cucina, potendo così assumere più grassi e carboidrati e questo ha fatto evolvere il nostro cervello in una maniera ottimale", spiega Banni. "Di questo sistema positivo che abbiamo acquisito, oggi ne stiamo però abusando. Geneticamente siamo ancora simili ai nostri predecessori 'antichi', ma la facilità di accesso al cibo odierno è esagerata. L'ambiente che ci circonda è stato strutturato per risparmiare energie e assumere più cibo del necessario".

Penso ai supermercati con 22 tipi di latte, alle cittadine come quella da cui provengo con 114 attività solo tra ristoranti, pub e gastronomia racchiuse in un'area di poco più di 5km quadrati, ai video a base di food-porn con panettoni da cui colano litri di crema al pistacchio, oltre che ad assurdi food challenge su Tik Tok, ai carrelli riempiti a dismisura quando ancora ce lo si può permettere. Perché il rapporto col cibo sta risentendo di differenze socio-economiche sempre più marcate. "Il ceto elevato riuscirà forse a mangiare bene, ma quello medio-basso sempre peggio, perché privato sia delle risorse che del tempo per nutrirsi correttamente", mette in evidenza Banni.

Risparmiare mangiando

Mentre si lotta per salari decenti, come ovviare? Secondo la dottoressa Ciccarelli bisogna partire dalle quantità. "Al di là di casi estremi di povertà, in questa società c'è più cibo che fame. Conducendo un'alimentazione sana si mangia in realtà meno, abbassando anche i costi. Se è vero che i cibi naturali, come ad esempio riso e pasta integrali, creme al 100% di frutta secca o pesce fresco, costano di più rispetto a cibi industriali, è anche vero che guadagniamo in altri benefici. Ad esempio dormiamo bene, non abbiamo attacchi di fame, evitiamo medicinali anti-gonfiore o antinfiammatori, così come protettori gastrici. Risparmiamo inoltre su visite mediche ed esami specialistici", afferma l'esperta. Una gastroscopia o una colonoscopia costano in media 100 euro, il prezzo aumenta se si associa anche una biopsia, una visita specialistica presso un privato (con ospedali pubblici ingolfati) costa anche 150 euro, se non di più. Migliorando la dieta, una volta affrontata una spesa iniziale più incisiva, secondo la dottoressa "nessuno torna indietro".

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Sapore di casa

E come la mettiamo col gusto, uno dei motori principali che ci guida nella scelta dei cibi? "Per anni abbiamo demonizzato i grassi, con diete che prevedevano un cucchiaino d'olio a pasto. Quest'epoca è finita. Si sa ormai che l'olio extravergine d'oliva usato senza esagerare è benefico, sia a crudo che cotto. In molti piatti basta aggiungere ad insalate, risotti o pasta, ingredienti come olive, capperi, frutta secca come le nocciole o spezie come la curcuma, per ottenere pasti più gustosi senza dover esagerare con sale o zuccheri", spiega Ciccarelli. Alcuni studi del professor Banni, oltre che sulla varietà, si sono concentrati sugli acidi grassi saturi quelli cioè derivanti dagli animali. "Non sono per forza nocivi, ma ad incidere oltre alle quantità è anche la qualità. Carni e latte da pascoli estensivi presentano nutrienti di gran lunga più elevati rispetto ai loro corrispettivi provenienti da allevamenti intensivi, oltre a gusti più marcati che determinano prima un senso di sazietà", sostiene il docente universitario. Un monito verso "italianissimi" allevamenti intensivi dove i polli vengono ingrassati a dismisura e sono pronti per la distribuzione in appena sei settimane. Il rapporto col cibo e la cucina non è solo questione di costi. Attiva memorie, emozioni, identità culturali (talvolta errate). Chiudo gli occhi e immagino alcuni piatti che risvegliano in me ricordi, sapori e "spese" contenute in termini di salute: riso con la verza (e un pezzetto di salsiccia di polmone), zuppa di lenticchie con bietola, alici in tortiera, minestra 'ammaretata' e pollo alle olive. E per i momenti più duri, come cantava Marisa Laurito a Sanremo: "Se cercate un antistress accattatev' o babbà!".

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