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Domenica, 28 Aprile 2024
Sanità in crisi

La grande fuga di medici e infermieri: ecco dove guadagnano 7mila euro al mese

Specialisti pagati come un primario e straordinari retribuiti. Così se ne vanno ogni anno oltre mille laureati: una perdita annuale per lo Stato, in costi di formazione, di quasi 200 milioni. Un'infermiera: ''Qui ho tre figli, una famiglia. Da noi non sarebbe stato possibile''

Gli stipendi superano i 3mila euro al mese, i corsi di lingua sono gratuiti, il prezzo degli affitti è calmierato e le possibilità di carriera sono concrete. No, non è una truffa, ma un annuncio per lavorare al Päijät Häme Central Hospital. A quasi 100 km di distanza dalla capitale Helsinki, è il secondo ospedale più grande della Finlandia. L'avviso pubblicato anche in italiano sul portale Eures, si rivolge in particolare ai nostri infermieri, tra i più formati e tra i meno valorizzati d'Europa. Ed è solo l'ultimo di una lunga serie.

Basta digitare poche parole chiave su un motore di ricerca per accorgersi che la sanità è ormai un mercato ghiotto. Un'agenzia di reclutamento francese offre stipendi fino a 7mila euro, con vari incentivi, per i medici italiani che intendono trasferirsi a lavorare oltralpe. 

Da tempo i nostri professionisti della sanità fanno gola a molti. E, stanchi di condizioni di lavoro proibitive e stipendi non adeguati, in migliaia decidono ogni anno di lasciare il nostro Paese con un biglietto di sola andata.

Ogni mille medici e infermieri che emigrano perdiamo 200 milioni

Il ministro della Salute, Orazio Schillaci, ha recentemente ammesso che dal 2005 al 2015 circa 10mila camici bianchi hanno lasciato l'Italia. Secondo il centro studi di Sumai Assoprof (il sindacato dei medici ambulatoriali) dal 2008 al 2021 sono stati invece ben 14.341 a fare questa scelta. 

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Nonostante non esistano stime pienamente attendibili sull'emigrazione dei nostri professionisti, l'evidenza è che ogni anno mille medici e un numero imprecisato di infermieri richiedono i certificati necessari per trasferirsi all'estero. Un'emorragia che è anche economica. Perché per la formazione di un medico specialista spendiamo circa 150mila euro. Quella di un infermiere ci costa invece sui 22.500 euro. Quindi ogni mille medici e infermieri che lasciano l'Italia perdiamo, complessivamente, quasi 200 milioni di euro. 

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"Il problema è che formare un medico ci costa quanto una Ferrari, quindi se in cinque anni vanno via 10mila medici è come se regalassimo 10mila Ferrari agli altri Stati e un discorso analogo può essere fatto ovviamente anche per i nostri infermieri - sottolinea Pierino di Silverio, medico e presidente del sindacato Anaoo Assomed -. Dieci medici al giorno lasciano il Servizio sanitario nazionale, il 20 per cento dei neolaureati non finisce la specializzazione e per quanto riguarda quella in medicina d'urgenza e anestesia quasi la metà dei posti va ormai deserto. Siamo in una crisi profonda che pagheremo".

A incidere ci sono vari fattori: un mix di condizioni di lavoro spesso proibitive e aggressioni e denunce crescenti. E poi c'è il tema della retribuzione economica e della crescita professionale che, in un contesto di mercato globale, è sempre più difficile ignorare. 

Nel Regno Unito uno specialista guadagna come un primario italiano

"Quando si parla di carenza di medici, dovremmo specificare che la crisi coinvolge esclusivamente la sanità pubblica. In Italia abbiamo più medici pro-capite di molti altri paesi europei, quindi semmai è il Servizio sanitario nazionale a non essere attrattivo e a convincere molti a fare le valigie", spiega Riccardo Zannoni, oggi medico radiologo in un ospedale pubblico di Dundee, in Scozia. 

Il viaggio di Riccardo comincia in Francia con uno stage a Montpellier e continua con un'assunzione in un ospedale pubblico di Saint-Étienne. Dopo due anni passati oltralpe, oggi vive e lavora in Scozia, dove ha raggiunto la sua compagna di vita.

"In Francia le differenza salariali non sono eclatanti, almeno nel pubblico, ma i miglioramenti sono costanti e continui nel corso della carriera - racconta il radiologo a Today.it -. Sono le condizioni di vita e di lavoro a essere diverse. Si lavora tanto, ma non lo si fa per 'spirito di servizio': si viene semplicemente remunerati di più. Inoltre è più facile trovare accordi con ospedali per degli extra che fanno lievitare le entrate a fine mese". 

Diverso ancora è il caso del Regno Unito: "C’è un iter abbastanza lungo di formazione, ma quando vieni riconosciuto come specialista di fatto guadagni quanto un primario in Italia", rivela Riccardo Zannoni. 

Per accorgersi che la paga dei medici italiani è, a parità di condizioni, inferiore a quella di molti altri colleghi europei, basta dare uno sguardo agli ultimi dati dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo (Ocse) sulle retribuzioni dei professionisti della sanità. I nostri medici guadagnano nettamente di meno, anche tenendo conto del differente costo della vita, come si può vedere dal grafico sotto. 

"L’Italia è il paese che, insieme alla Romania, esporta più medici altrove. Il sistema sanitario forse reggerà ma, senza cambiamenti radicali, un domani sarà possibile solo grazie a colleghi disperati pronti ad accettare di tutto. Perché il mercato è ormai globale", osserva il dottor Zannoni. E se la carenza di medici non è ancora drammatica, la stessa cosa non si può dire per gli infermieri.  

"In Italia stipendi bassi e carriera bloccata, ecco perché non tornerei" 

L'Italia ha una media di sei infermieri ogni mille abitanti, contro una media Ocse di dieci. E per far funzionare al meglio il nostro Servizio sanitario nazionale ne mancano all'appello 150mila. Ma un numero crescente di loro decide ormai di trasferirsi al di fuori dei nostri confini. 

Lucia Borgia, 37 anni, di Siracusa, questa scelta l'ha fatta nel 2012, lo stesso anno della sua laurea. Oggi vive a Newcastle, nel Regno Unito, e lavora in un team all'avanguardia che si occupa di trapianti e chirurgia, anche robotica. Ha realizzato la sua vita professionale e personale, diventando anche madre di tre bambini, e ci racconta che non tornerebbe mai indietro. 

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"Mi sto specializzando in quello che qui chiamano 'Surgical care practitioner', parliamo di un infermiere che non solo assiste il chirurgo durante gli interventi, ma segue e visita i pazienti prima e dopo l’operazione - ci racconta Lucia -. Ha lo stesso livello di responsabilità di un medico junior. Qui gli infermieri possono prescrivere anche farmaci e c'è una crescita professionale durante tutto l'arco della carriera. Da noi tutto questo è impensabile". 

Sì, perché anche la possibilità di fare carriera è una molla importante per cambiare, oltre all'aspetto economico che comunque è importante. "Negli anni lo stipendio di un infermiere aumenta costantemente, in Italia la paga rimane più o meno sempre quella. Questo è un aspetto importante per cambiare vita", dice Lucia Borgia a Today.it. E, anche guardando gli ultimi dati Ocse relativi al 2021, ci si accorge che gli stipendi dei nostri infermieri si discostano pesantemente dalla media di molti paesi europei.  

Una dinamica che poi si riflette anche pesantemente sulle scelte di vita, come ci racconta Lucia: "In Italia trovare un buon lavoro è difficile, tenerlo quasi impossibile. Tutti i contratti sono a tempo determinato, né io, né mio marito vedevamo un futuro. Qui abbiamo tre figli e una famiglia, da noi non sarebbe stato possibile". 

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Una situazione che rischia di diventare drammatica. "Nelle università di scienze infermieristiche si laureano ogni anno circa 10mila infermieri, ma il 10 per cento dei bandi va ormai deserto - osserva Francesco Sciscione, segretario di Nursing Up -. Di quelli che entrano, soltanto il 70 per cento finisce il percorso formativo e molti ormai scelgono di andare all'estero, a mio avviso comprensibilmente. Se a questi numeri aggiungiamo che 4mila infermieri l'anno vanno in pensione, abbiamo il senso di come sia a rischio la tenuta stessa dalla sanità pubblica". Con il paradosso che continuiamo a formare, con i soldi delle nostre tasse, migliaia di professionisti che poi non mettiamo in condizione di restare. Ma che altri sono pronti a valorizzare al posto nostro. Si chiama "globalizzazione", ma da 30 anni facciamo finta che non esista. 

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