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Lunedì, 29 Aprile 2024
Ai e salute

Così saremo curati da un computer

Le Ai stanno trovando sempre più spazio in campo diagnostico e nell'assistenza delle scelte terapeutiche dei medici. Nei prossimi anni renderanno la medicina più precisa, personalizzata, rapida e inclusiva

Presto dovremo abituarci a una nuova presenza negli ospedali: l'intelligenza artificiale. Non pensate a medici olografici o assistenti virtuali, ovviamente. Ma se siete stati stupiti dalle capacità di ChatGpt e simili chatbot intelligenti, sappiate che gli stessi algoritmi di auto-apprendimento stanno venendo testati da tempo anche nel campo della salute. E con risultati sempre più eclatanti, che potrebbero aprire le porte alla prossima, grande, rivoluzione della medicina. 

Un esempio italiano

Una rivoluzione ancora in divenire, ma che sta già dando risultati tangibili, anche non troppo lontano da noi. A Pavia, ad esempio, le neo-mamme e i piccoli pazienti della neonatologia e della pediatria del Policlinico San Matteo avranno presto ad aiutarli un'intelligenza artificiale, che affiancherà medici e infermieri nelle scelte più complesse che si trovano ad affrontare ogni giorno, in particolare nell'area delle cure intensive e sub-intensive.

L'ospedale ha infatti deciso di dotarsi di una nuova e innovativa cartella digitale, affidandone la realizzazione a Natea, una startup specializzata proprio all'applicazione dell'Ai in campo neonatologico. La nuova cartella “smart” racchiuderà quindi in sé la possibilità di accedere in tempo reale a tutti i dati e i risultati delle analisi dei pazienti, consultare protocolli clinici aggiornati, schede farmacologiche, e anche, al contempo, un programma di intelligenza artificiale pensato per affiancare gli operatori sanitari, supportando i processi decisionali e la comunicazione tra reparti e personale, e fornendo un controllo attivo dell'intero processo terapeutico, dalla prescrizione alla somministrazione, pensato per ridurre il rischio di errori terapeutici legati al fattore umano.

Un campo in crescita costante

Il ruolo che può rivestire l'Ai in medicina è esattamente questo: velocizzare e rendere più sicuro il lavoro dei medici e degli infermieri in carne ossa, senza mai soppiantarli al momento di prendere decisioni che riguardano – spesso letteralmente – la vita e la morte di altri esseri umani. E in questo ruolo di supporto decisionale, l'intelligenza artificiale se la cava già egregiamente. In America, dove in questi ambiti sono più avanti di noi (per diversi motivi, anche normativi), sono più di 520 le applicazioni mediche di intelligenza artificiale già approvate dalla Food and Drugs Administration, e il loro numero sta crescendo in modo esponenziale proprio negli ultimi anni: l'approvazione del primo algoritmo di questo tipo, un sistema per la lettura dei risultati del pap test, risale infatti al 1995; nel 2013 erano ancora appena 50, mentre tra il 2019 e il 2022 ne sono stati approvati circa 300. 

“La diagnostica è stata la prima area in cui è stato sperimentato l'utilizzo delle Ai in campo medico, e probabilmente è ancora oggi la più interessante”, spiega a Today Eugenio Santoro, esperto di Digital Health e responsabile del laboratorio di Informatica Medica dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri. “L'idea è quella di utilizzare l'intelligenza artificiale, o per essere più precisi quella parte dell'intelligenza artificiale che passa sotto il nome di machine learning, per imparare dalle decine di migliaia di immagini di tipo radiologico come tac, ecografie, radiografie, a interpretare degli esami medici alla ricerca di particolari patologie. Ci sono per esempio delle esperienze di analisi delle immagini della retina che sono in grado di identificare dei problemi di tipo particolare in pazienti con diabete”. 

Altre esperienze del genere – ci spiega Santoro – esistono oggi nella diagnosi del tumore alla prostata basata su esami istologici, e anche tumori al polmone, partendo da tac e radiografie. In questo caso, gli algoritmi vengono addestrati su ampi dataset di immaging medico, imparano a riconoscere delle regolarità negli esami che hanno portato ad una diagnosi, e applicano quanto appreso all'analisi di nuove indagini strumentali.

Moltissime potenzialità

Accanto all'aspetto diagnostico, un altro ambito in cui si fa molta ricerca è quello predittivo. Utilizzare cioè il machine learning per riuscire a identificare patologie che ancora non ci sono, e che potrebbero però comparire a distanza di anni. Si studia inoltre da tempo la possibilità di utilizzare l'Ai per il supporto alle scelte terapeutiche: incrociando linee guida cliniche, la letteratura scientifica disponibile e la storia clinica del malato, il programma consiglia al medico il trattamento personalizzato per il paziente. Un esempio è il capostipite di questi programmi, il software Watson, sviluppato da Ibm, utilizzato già da qualche anno in Asia e negli Usa in campo oncologico. 

Molto promettente, infine, è l'applicazione del machine learning al campo del Natural Language Processing, cioè all'interpretazione del linguaggio umano in contesti che non sono stati codificati a priori. In campo medico queste tecnologie sono utilizzate per analizzare, ad esempio, i campi note delle cartelle cliniche, alla ricerca di eventi che potrebbero non essere stati codificati correttamente nella cartella, e potrebbero quindi sfuggire alla lettura dei sanitari. “Lo sviluppo di uno strumento di questo genere è alla base di un progetto europeo chiamato eCREAM (enabling Clinical Research in Emergency and Acute care Medicine), recentemente finanziato dalla Commissione Europea nell’ambito del programma Horizon Europe e coordinato dall’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri”, sottolinea Santoro. “L'obiettivo è di sviluppare una piattaforma informatica che raccolga in modo automatico i dati dagli applicativi usati nei vari ospedali rendendoli disponibili, una volta anonimizzati, per scopi di ricerca clinica nel campo della medicina d’urgenza”.

I problemi da risolvere

Le potenzialità delle Ai mediche, insomma, iniziano già a dare i primi frutti. Ma non mancano, ovviamente, anche i problemi ancora da risolvere. Innanzitutto, quelli legati al concetto di “black box”, cioè al fatto che in molti casi è impossibile stabilire in che modo un programma ha raggiunto una certa decisione a partire dai dati a disposizione. Un fenomeno che, specialmente nel campo della salute, può minare la fiducia dei medici nelle indicazioni fornite dagli algoritmi di intelligenza artificiale. E poi quelli legati ai pregiudizi, o bias, comuni a tutti i programmi di deep learning: le conoscenze degli algoritmi si basano sui dati su cui sono stati addestrati, e quindi in presenza di dataset poco inclusivi, in cui magari la maggior parte dei dati riguardano pazienti europei di sesso maschile (un problema comune nella ricerca medica), crea algoritmi che non forniscono informazioni generalizzabili a pazienti di ogni etnia, età, o sesso.

“Di sicuro, nei prossimi anni vedremo diffondersi sempre più programmi di intelligenza artificiale in campo medico, anche nel nostro Paese”, conclude Santoro. “Per ora, la ricerca effettuata è di buona qualità, ma in molti campi non ha ancora fornito disposte definitive. Che è la conclusione di un documento del Ministero della Salute sull'uso dell'intelligenza artificiale in ambito diagnostico che ho contribuito a scrivere lo scorso anno: sono strumenti estremamente promettenti, ma servirà ancora molta ricerca clinica per uscire dalla fase sperimentale dalla quale per ora, almeno in Italia, questi algoritmi sono ancora confinati”. 

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