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Sabato, 27 Aprile 2024
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La scelta di Silvia che a 21 anni è felice, la scommessa di Davide contro la malattia

Dalla città alla montagna: come cambiare vita a due ore da Milano e a tre da Bologna. Le voci di ragazze e ragazzi, ma non solo, che hanno avuto il coraggio di andare controcorrente

Milano è a due ore e un quarto. Bologna a quasi tre. La città più vicina, Piacenza, il capoluogo di provincia, è a oltre un'ora. Abbastanza distanti per stare lontani dall'ansia, dal traffico, dalla competizione quotidiana. Benvenuti nelle valli della felicità, dove abita chi ha avuto il coraggio di mollare tutto. Non significa che si vive di rendita o sulle spalle dello Stato. In Val Nure, lungo il torrente tra i paesi di Ponte dell'Olio, Cassano, Bettola e Ferriere, quaranta chilometri di strada provinciale larghi poco più di una macchina, si lavora anche sodo. E lo stesso in Val Trebbia, da Bobbio a Rovaiola. Chi però è salito fin qui non solo ha invertito l'orologio dello spopolamento dei borghi, ma ha anche trovato la sua dimensione umana.

Ecco Silvia Pareti, 21 anni (foto sopra), che ha rilevato la bottega di alimentari e ogni giorno produce pasta fresca. E poi Simone Bruseghini, 25 anni, che ha scelto di fare il pastore tra i comuni di Coli, 912 abitanti, e Farini, 1.244 persone. E Chiara Macellari, che a 19 anni, un mese dopo l'esame di maturità, è tornata tra i panorami mozzafiato di Rovaiola per aprire un bar. Davide Codara e Domenico Alfarone, 35 e 40 anni, venuti a coltivare lavanda tra i boschi. L'allenatore di basket, Fabrizio Busa, 38 anni, che ha lasciato la pianura per fare l'agricoltore nel tempo libero. Davide Mussi e Manuela Pagani, sposati da 30 anni, arrivati a Bettola con due progetti chiari in testa: lei è diventata sarta e lui, ex agente di commercio, ha aperto una cartolibreria, dopo una vita passata a rincorrere clienti tra le province di Milano e Pavia. Anche al di là del crinale non si sta male. Come a Bobbio, in Val Trebbia, dove Elisa Monfasani ed Emanuela Fistos, 26 anni tutte e due, hanno avviato un laboratorio per il restauro di arazzi, tessuti e tappeti antichi. Dalla città alla montagna: ma è davvero così facile andare controcorrente? Cominciamo da Silvia.

La scelta di Silvia Pareti

“Ho riflettuto sul mio futuro – racconta Silvia Pareti – e mi sarebbe piaciuto fare qualcosa di mio, come aprire un negozio da queste parti”. Silvia è originaria di Ferriere. Ha abitato in paese fino alla quarta elementare. Poi, quando il fratello maggiore ha cominciato le scuole superiori, la sua famiglia si è trasferita in città. Come hanno fatto molti altri. Dall'Unità d'Italia al 1951, Ferriere non è mai scesa sotto i seimila abitanti. Erano 7.411 nel 1871, l'anno in cui Roma è diventata capitale, e 7.659, il massimo mai più raggiunto, nel 1921. Oggi il paese ha poco più di 1.100 abitanti e un tasso di natalità uguale a zero.

Emanuela Fistos ed Elisa Monfasani, restauratrici a Bobbio

Da qui, fin dal Medioevo, passavano la via del sale e dell'olio, dal Mar Ligure alla pianura del Po, e la via del pane, che portava a Genova la farina macinata in Emilia e in Lombardia. Silvia ha frequentato scienze umane al liceo statale Colombini a Piacenza. E d'estate lavorava nel negozio di alimentari di Carla Toscani a Ferriere. Quando Carla le dice che dopo quarantatré anni di lavoro ha deciso di ritirarsi, Silvia capisce che è l'occasione irripetibile per ripercorrere la strada dei suoi genitori. Ma al contrario: dalla città al paese. È il 10 aprile 2022 e la sua sfida personale ha inizio.

Alle torte di ricotta, le crostate, le marmellate di Carla, oltre ai sughi di carne e funghi, Silvia Pareti aggiunge la sua produzione: tagliatelle, anolini, biscotti di nocciole e l'immancabile torta di patate. E i dubbi? “Durante i corsi e la preparazione dell'attività ne ho avuti mille, ci vuole grande impegno solo per aprirlo il negozio. Però non vedevo l'ora di cominciare il lavoro pratico”. Sacrifici? “È un bell'impegno. Bisogna spesso rinunciare al tempo libero, a partire dalla domenica – racconta Silvia –. Lavoro durante le vigilie, nelle festività, tutte le domeniche. Il commercio allontana un po'. Senti però la soddisfazione di fare una cosa che hai deciso tu. E alla fine ho scoperto che non avrei potuto fare un altro lavoro diverso da questo. In ufficio sarei impazzita, idem a Piacenza. La città non mi piace per niente. Gli amici sono qui e la vita che apprezzo è in questa comunità”.

Da Como all'Appennino

Andando su da Farini al passo di Santa Barbara, oppure alla Sella dei Generali, può capitare di incontrare Simone Bruseghini, che a 25 anni è uno dei più giovani pastori italiani. È originario di Erba, nella Brianza comasca. Un cittadina ai piedi delle Prealpi, dove traffico e sviluppo industriale hanno lasciato il segno tutt'intorno. Una scelta, la sua, condivisa con la compagna Elisa, 26 anni, di Como. Quando non dormono nella roulotte di guardia alle capre in Val Perino, tra la Val Nure e la Val Trebbia, abitano nella loro casa ad Averaldi, un'ora di tornanti da Ferriere.

Simone Bruseghini, pastore a 25 anni (foto Filippo Mulazzi)

“Dopo tre anni di lavoro in un'azienda agricola – racconta Simone – ho capito che volevo fare l'allevatore, che questo era il mestiere giusto per me. Così ho aperto un'attività mia, dopo che comunque la mia famiglia aveva le pecore. Io, invece, ho preferito le capre. I clienti chiamano al cellulare, o passano loro o glielo portiamo noi il formaggio. E nel fine settimana tanta gente viene da queste parti e si ferma”.

Vado a vivere in rifugio - di Eleonora Dragotto

Sveglia alle 5 per la mungitura. Niente sabato né domenica. È un lavoro che possono fare tutti? “Ci vuole tantissima passione – risponde Simone Bruseghini – altrimenti non si resiste neanche un giorno. È troppo impegnativo per chi non ne ha. A me, però, qua non manca nulla. Sono libero da tutto e da tutti. Sì, mi piace questa vita fatta di libertà”. La notte, dal lunedì al venerdì, si dorme nella roulotte accanto al pascolo protetto dalla recinzione elettrica. Nel fine settimana salgono ad aiutarlo la mamma e il suo compagno. Paura dei lupi? “Dovrebbero esserci. Ma per fortuna non ci sono stati attacchi”.

In moto al Bar Chiara 

Bisogna comunque essere determinati per andare controcorrente. “Il 2 luglio 2017 ho dato la maturità, il 5 agosto di quell'estate avevo già avviato questa attività”, racconta Chiara Macellari, che ora ha 25 anni. Il bar porta il suo nome e, oltre alle serate musicali, è oggi una meta fissa dei motociclisti che nei fine settimana attraversano l'Appennino, fino agli angoli più nascosti della Val Trebbia. “Fare la barista mi è sempre piaciuto, già facevo questo lavoro durante i mesi di vacanza – rivela la proprietaria del Bar Chiara –. Ed è sempre stato un sogno nel cassetto rimanere a lavorare qui. L'edificio che ospita il bar, che dà proprio sulla statale 45, era già di proprietà della mia famiglia. Così sono partita”.

Davide Codara, 35 anni, e Domenico Alfarone, 40 (foto Filippo Mulazzi)

Davide Codara è invece originario di Arena Po, in provincia di Pavia. Il suo compagno, Domenico Alfarone, di Piacenza, ma è cresciuto vicino a Milano, dove si era laureato in Lettere e aveva cominciato la carriera accademica. Hanno lasciato la pianura e ristrutturato un casale abbandonato da vent'anni a Roncolo Bosco, nel comune di Farini. Oggi coltivano un orto sinergico colorato e profumato da lavanda, rosmarino, alloro, pino silvestre, salvia, achillea e menta. Producono essiccati, tisane, oli essenziali e acque floreali. La loro azienda è iscritta alla Coldiretti e fa parte della rete “Contadini resistenti”.

Un paradiso di lavanda

“Quando ho scelto Lettere all'università – scherza Domenico – gli amici mi dissero: finirai a zappare. Eccomi qua, avevano ragione loro. La nostra casa in pietra è una piccola opera d'arte agricola che va conservata. Un ragazzo della zona ci ha insegnato come recuperarla, preservandone l'originalità. In questi luoghi bisogna imparare a fare di tutto. Tranne l'impianto elettrico, ci siamo arrangiati noi. Un inverno siamo rimasti bloccati a casa due settimane, a causa delle abbondanti nevicate. Abbiamo sempre le scorte di cibo e lasciamo l'auto a un paio di chilometri da qui, quando le previsioni non sono buone”. E gli amici? “So di averli – risponde Davide – per loro ci sono quando hanno bisogno e viceversa. Non ho la necessità di fare l'aperitivo tutte le sere”.

La scomparsa degli italiani - di Fabrizio Gatti

Fabrizio Busa già frequentava la Val Nure per la sua attività di educatore e allenatore di pallacanestro e minibasket. Oggi è tra i quarantadue piacentini che hanno vinto il bando della Regione Emilia Romagna destinato ai minori di 40 anni, per sostenere il ripopolamento dell'Appennino. “Sia chiaro – spiega – prima i soldi ce li dobbiamo mettere noi. Poi la Regione rimborsa se vede che abbiamo fatto le cose in regola. Continuerò a fare anche l'allenatore e l'educatore. L'allevamento sarebbe una bella cosa, ma prima devo imparare. Mi accorgo di essere ignorante. Pur conoscendo la cultura rurale e agraria, c'è ancora tantissimo da sapere. Volevo provare a stare in montagna, ma non essere troppo distante dai paesi e dalla città. Bettola è una via di mezzo”.

Manuela Pagani e Davide Mussi (foto Filippo Mulazzi)

Bettola infatti è ad appena quaranta minuti d'auto da Piacenza. Grazie a una coppia che dopo trent'anni di matrimonio ha deciso di cambiare vita, il paese ora ha una cartolibreria e una sartoria. “Sono stati alcuni bettolesi a suggerire l'opportunità di aprire la cartolibreria, che mancava – dice Davide Mussi –. Vendevo mangimi e integratori, in particolare nella provincia pavese e nella bassa milanese. Ma per sei anni ho affrontato cure impegnative. Una volta che mi sono ripreso, non volevo tornare a fare quel mestiere”.

La riscossa parte dai libri

Davide ha quindi aperto una partita Iva e fatto lavori di giardiniere e operaio in una ditta di servizi. Dal 2016 fino alla pandemia ha poi insegnato religione nelle scuole elementari e medie. È entrato così a far parte della comunità della Val Nure. Con l'arrivo del coronavirus, per la sua potenziale fragilità, ha dovuto lasciare l'insegnamento: “Io e Manuela ci siamo detti: è tempo di cambiare drasticamente vita, adesso o mai più”. Accanto alla loro casa a Vigna di Vigolo, coltivano frutta e verdura. “Ho ripreso il mio mestiere di sarta – spiega Manuela Pagani –, quello che avevo sempre fatto, tranne qualche esperienza da commessa. La gente è contenta di venire, il paese ha risposto bene, sto lavorando”.

Tutte le storie dall'Appennino che resiste - di Filippo Mulazzi

La strada di Emanuela Fistos, 26 anni, tecnica del restauro, parte invece direttamente da Milano. All'università ha incontrato Elisa Monfasani. Il loro inizio è sui social: una pagina per divulgare la conoscenza dell'arte tessile. Il passo successivo è l'apertura del laboratorio di restauro a Bobbio, il paese piacentino di Elisa in Val Trebbia, la valle parallela alla Val Nure. “Eravamo indecise tra Milano e Bobbio – ammette Elisa – ma per quanto mi riguarda qui, oltre agli affetti, ci sono una serie di persone con le quali collaboravo già in diversi progetti. Sono stata via sei anni tra università e lavoro, volevo tornare a casa mia e lavorare da queste parti. Ci spostiamo noi verso le opere d'arte e i materiali antichi da restaurare”.

Val Nure e Val Trebbia in provincia di Piacenza

Bobbio è anche la sede dell'abbazia di san Colombano, fondata dal santo irlandese nel 614 per diventare uno dei più importanti centri culturali europei dell'Alto Medioevo. Lo studio di Emanuela ed Elisa si chiama “Festina lente”: “È un'espressione latina attribuita all'imperatore Augusto – spiegano le due restauratrici –. Significa: affrettati lentamente. Ovvero agisci senza indugi, ma con cautela. Questo motto l'abbiamo fatto nostro, perché rappresenta il nostro mestiere”. Ma riassume anche il coraggio di quanti, emigrando controcorrente, hanno salvato le valli e la loro felicità.

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