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Domenica, 28 Aprile 2024
la dolce vita

"Così mi permise di fotografarla": Raffaella Carrà ricordata da Rino Barillari, re dei paparazzi nella Dolce Vita che fu

Il fotografo più famoso d’Italia rimarca l’aspetto più umano dell’inimitabile artista e ripercorre i momenti salienti di un’epoca che ormai è storia

Ci prova Rino Barillari ad esprimere cos’era, com’era Raffaella Carrà. Lui, il fotografo più famoso d’Italia, l’autentico 're dei paparazzi' che di stelle della tv, del cinema, della Dolce Vita vissuta negli anni Sessanta ne ha viste e fotografate a decine e decine, ci prova, ma indugia: trovare il termine più appropriato per raccontare la Carrà è complicato. "Mi riesce difficile trovare un vocabolo che possa descriverla. Forse bisognerebbe inventarlo solo per lei", ci dice nel giorno in cui un Paese intero inizia ad elaborare una perdita insostituibile.

"Una cosa però posso dirla: con i fotografi è sempre stata gentile. Quando la incontravo e lei era in macchina scendeva per farmi una cortesia, per permettermi di fotografarla" ricorda Barillari, soffermandosi sull’aspetto umano di Raffaella, di una donna come tante che magari si trovava a passeggiare per le vie del centro di Roma in una bella mattina di sole e incontrava, si fermava con la gente. Neppure per un giorno ha ceduto alla tentazione di un divismo che, fuori dalla scatoletta televisiva, disdegna il pubblico, mai. E forse era anche quell'aspetto, quel rispetto assoluto per le persone, a far sì che fosse ancor più adorabile, dentro e fuori il piccolo schermo.

"Una persona davvero perbene. Gentile come poche e per questo una vera grande star. Chiunque si innamorava di lei. Aveva fascino, trasmetteva emozione. Con quella sua dialettica entrava nelle famiglie italiane come la ragazza della porta accanto" osserva ancora il fotografo, la cui carriera in qualche modo coincide con il periodo in cui nasceva e cresceva quella di Raffaella Carrà. Tutta un’altra storia, tutta un’altra epoca.

Lei ha iniziato la sua carriera giovanissimo, a 14 anni, come ‘scattino’ a Fontana di Trevi. Poi l’inizio di una carriera che avrebbe segnato l’epoca della ‘Dolce Vita’ e scritto una pagina di storia del nostro Paese. Quanto le sue foto hanno contribuito al mito della Roma di quegli anni e alimentato il successo dei personaggi di quel momento?

Il successo dei personaggi di quegli anni è stato determinato da me, ma anche dai miei colleghi che sono stati meno fortunati di me.

Ma lei era più talentuoso o ha solo avuto più fortuna?

Devi avere un cervello diverso. Tra i colleghi devi saperti inserire. Non devi mostrarti più intelligente, devi fare il finto stupido. Così prendi i segreti di ognuno, il modo di fare, lo sguardo, la capacità di saper aspettare, di conoscere il personaggio. Non è come oggi che tu sei lì con il telefonino, metti nome e cognome, ti escono le foto e tu sei sicuro che quella sia la persona da fotografare… All’epoca non sapevi nemmeno come si scriveva un nome.

Cosa significava, nella pratica, fare, ‘essere’ un fotografo in quegli anni?

Intanto era diversa la situazione del Paese che si stava sviluppando in quel momento. Si guardava agli stranieri con curiosità, si tendeva a fare quello che facevano loro. Era un Paese povero, ma quella povertà ti portava a inventare le cose più belle.

Quindi lei se l’è un po’ inventato questo lavoro.

Io non sono mica andato a scuola di fotogiornalismo o di fotografia. Io conoscevo i personaggi grazie alla sala cinematografica di mio zio, vedevo quei film e mi ricordavo il viso degli attori. Poi li riconoscevo quando la gente per strada si fermava con loro e chiedeva gli autografi. Ma allora c’era educazione, si aspettava, si stava lontano cinque, sei metri... Oggi si fanno i selfie, arrivano, invadono con il telefonino...

Ma come faceva lei a trovare il momento giusto per scattare una foto?

Restavo con i colleghi tra piazza di Spagna e via Condotti. Mi mettevo davanti al negozio di Gucci, perché lì non è che ci andava la persona comune. Arrivava la macchina e ti accorgevi dentro c’era un personaggio. Io intanto scattavo foto, poi dopo chiedevo chi era, mica potevo conoscerli tutti. Conoscevo Virna Lisi, Gina Lollobrigida, Sophia Loren, Delia Scala.

Ma nascevano amicizie?

No no, assolutamente! Non puoi proprio essere amico di un personaggio, perché altrimenti lui ti chiederà sempre di non fare le foto: un giorno perché non è truccata, un giorno perché ha le unghie non tagliate, un altro perché ha i capelli così… Devi mantenere per forza una certa distanza. Anzi: se sei odiato è ancora meglio. Vede, oggi sui settimanali le foto non sono firmate. Perché? Perché per avere lo scoop tu devi fare uscire cose che su quel personaggio non si sanno. Se il personaggio sa chi ha fatto quelle foto… Dramatic situation, succede come Tomba che ti butta la coppa in faccia. Meno il personaggio sa su chi ha fatto quelle foto meglio è, perché altrimenti si arriva anche a capire come abbia fatto a saperlo.

Oggi esiste ancora il vero scoop?

Oggi serve lo scandalo, qualcosa che sia il contrario di quanto si possa pensare.

Quanto poteva arrivare a costare una foto?

Tanto, anche 600, 700 milioni di lire. Per dirle, il bacio tra Lady Diana e Dodi Al-Fayed venne pagato un miliardo di lire.

Il personaggio che le è rimasto nel cuore più di altri?

Sono tanti, ma nel cuore forse resta più di altri Sophia Loren, la donna più conosciuta del pianeta. Io ho viaggiato tanto nel mondo e tutte le volte che l’ho nominata "Oh my God", mi hanno detto: tutti impazziscono ancora per lei.

E invece c’è qualcuno che, tornando indietro, non fotograferebbe più?

Ma no, nessuno: il personaggio più è cattivo e più vale.

Quindi ha perdonato anche Peter O’Toole con cui, ancora minorenne, ebbe quella famosa lite che le costò qualche danno fisico...

Certo, abbiamo fatto la pace al Caffè Greco (storico caffè della Capitale in via Condotti, ndr). Io comprai per sua moglie delle rose.

Piccola parte di quel milione di lire che ottenne da lui come risarcimento per i danni fisici che le causò durante quella rissa…

Quello lo diede a mio padre, io allora ero minorenne. Mi diede un pugno. Sfasciai la macchina fotografica, ma salvai la pellicola. Quattro punti mi diedero… Però quella foto l’ho venduta.

Lei è stato definito ed è riconosciuto tutt’ora come "the king of paparazzi". C’è qualcuno che oggi è in grado di minacciare il suo ‘trono’?

Per me chiunque, sono tutti bravi. Siamo in democrazia, l’articolo 21 della Costituzione è importante: è la libertà di parola e di pensiero che si manifesta anche con le foto.

Cosa pensa quando legge o sente chiamare Fabrizio Corona 'ex re dei paparazzi'?

Tutti possono essere chiamati re, principi, the king. L’importante è il rispetto della gente, la credibilità. Non la quantità, ma la qualità del tuo lavoro.

Com’è cambiato il lavoro di fotografo del mondo dello spettacolo con l’avvento dei social? Ora i ‘vip’ pare non abbiano più bisogno di voi.

Eh, ma così tu così ti distruggi come personaggio. Una volta con una notizia si finiva su tre copertine di un settimanale. Oggi quello che fai è notizia per te, lo fai per giocare. It’s different, tu ti bruci, bruci tutto, non c’è più nulla da dire su di te. C’è un’agonia del personaggio. Oggi è un fallimento completo, vedi persone che sono un negozio vivente: le scarpe di Gucci, i pantaloni di Chanel…

Lei ha detto che in quegli anni in via Veneto succedeva sempre qualcosa: "Il personaggio era un genio, sapeva benissimo che se si inventava qualcosa di diverso c’era il fotografo che scattava una foto che poteva fare il giro del mondo e alimentare la sua fama senza bisogno di pubblicità". Oggi vede ‘geni’ in giro?

Oggi scappano, hanno paura di tutto, temono di essere massacrati in tv o sui giornali. E sa perché succede? Perché non hanno una storia. Ci sono troppi troppi troppi personaggi. Non c’è più il Marcello Mastroianni, il Renato Salvatori, Amedeo Nazzari… Oggi il successo c’è, ma dura poco.

Lei ha detto che “ogni foto è come una canzone, ti rimanda a un periodo di vita”. Che foto scatterebbe oggi affinché tra 40, 50 anni possa rappresentare questo momento storico?

Lei, per esempio, lei che bacia la mano della sua mamma con la mascherina sul viso. Oppure una coppia di giovani che si sposa e poi si bacia con la mascherina. Noi finché campiamo ricorderemo questo periodo, ma quelli che oggi hanno 8, 10, 13 anni, tra qualche anno potrebbero dimenticare questo momento. Ecco io, io lo ricorderei così questo periodo, bisogna ricordarlo. 

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