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Venerdì, 26 Aprile 2024

Nicolò Giraldi

Responsabile Trieste Prima

Foibe e l'esodo degli italiani d'Istria da ricordare non solo il 10 febbraio

"Quando scoppiò la guerra Nicolò indossò la divisa del V Landwehr e venne spedito sul fronte orientale a combattere contro i russi. Dopo qualche giorno, assieme ad altri commilitoni, venne fatto prigioniero dai Cosacchi e portato a Novogorod, una città a sudest di Mosca. Gli anni del conflitto li passò lì, imparò qualche parola di russo e quando tutto finì, un po' a piedi e con qualche mezzo di fortuna, rientrò nella sua casa di San Bortolo, in Istria. Davanti a quelle saline dove ai tempi degli Asburgo era solito lavorare, trovò un nuovo padrone: l'Italia. Dopo la presa del potere del fascismo, per poter lavorare il sale bisogna iscriversi al Partito Nazionale Fascista. Nicolò si professava socialista. Rifiutò e se ne tornò a lavorare la terra. Quando poi esplose la seconda guerra mondiale, suo figlio partì per il fronte. Una volta rientrato a casa, dopo el ribaltòn, solo perché italiano, venne messo in galera dai partigiani di Tito. A tirarlo fuori da dietro le sbarre fu Paolo Sema, comunista che, dopo l'Esodo in Italia, divenne senatore della Repubblica. Nicolò rimase in Istria fino all'estate del 1956. Quando tutti quelli che aveva conosciuto se ne erano andati, compresa la speranza, chiuse la porta della sua casa, raccattò le ultime cose e venne a Trieste. Morì nel rione triestino di San Giovanni nel 1970. Suo nipote, Dario, stava svolgendo il servizio militare a Bologna. L'esercito gli negò il permesso di partecipare al funerale del nonno". 

Le ragioni della giornata

L'attacco è lungo ma serve a spiegare le tante sovrapposizioni con cui abbiamo a che fare noi gente di frontiera. Oggi si celebra il Giorno del Ricordo, data in cui viene ricordata la tragedia degli italiani d'Istria, Fiume e Dalmazia, ovvero del cosiddetto popolo giuliano-dalmata. La legge, che poneva al centro come primo firmatario l'onorevole Roberto Menia, è giunta al suo ventesimo anniversario. Un traguardo importante, tanto per tirare le somme sul fronte della sedimentazione del Ricordo, quanto per capire se e cosa si è sbagliato. In tutta la penisola sono centinaia, forse migliaia, le città che hanno dedicato una via, un parco o un viale, ai martiri delle foibe, o alle "più complesse vicende del confine orientale". Dappertutto vi sono celebrazioni - anche se di una tragedia storica ed umana di tale portata non è che resti molto da celebrare, se non quella onnipresente dignità del suo popolo. 

Cosa succede sulla frontiera, cosa succede in Italia

A Trieste, ogni 10 febbraio, arrivano i vari Salvini, Meloni, Tajani e chi più ne ha più ne metta. Per moltisismo tempo - anzi troppo - la sinistra è rimasta a guardare, riducendo il dramma di quegli eventi, sminuendo il sentimento del dolore, anteponendo un'analisi politica a ciò che era stato tragedia soprattutto sociale. La destra l'ha fatto suo e ne è diventata titolare senza incontrare grossa opposizione. Quando l'impianto culturale italiano era dominato dal Pci, parlare di foibe o dell'Esodo a livello nazionale era tutt'altro che una passeggiata. Ma il rapporto tra questa frontiera e Roma è sempre stato complicato, e non dall'8 settembre 1943. Quegli stessi argomenti che oggi vengono ricordati, noi ce li siamo ritrovati nel piatto, ogni sera a cena. Ogni sera. Per anni, per decenni. Ed i racconti si mischiavano tra quel dialettale "maledeta quela barca che li ga menai" (dopo la prima guerra mondiale l'esercito italiano giunse sulle coste dell'Istria grazie ai mas, piccoli motoscafi) e i partigiani di Tito che infoibavano sacerdoti o gente comune, spesso senza nessuna colpa, se non quella di parlare l'italiano. E' complicato possedere il passaporto di questa frontiera. 

Chi sapeva, chi ignorava

Nel resto d'Italia sono poche sono le regioni che sapevano qualcosa. Le Marche e la Puglia, forse perché adriatiche e da sempre attente a ciò che accade ad oriente; o ancora quelle zone dove erano stati istituite le centinaia di campi profughi per istriani, fiumani e dalmati. Molti di essi vennero trattati con umanità ma non mancarono gli episodi di violenza contro gli istriani. Fuggirono in Italia per scappare dal comunismo titoista e vennero chiamati fascisti. La maggior parte di essi era gente povera, contadini o pescatori, senza grandi slanci ideologici, né cieche appartenenze. Pochi quelli benestanti. Qualcuno era stato un convinto fascista, certo. La maggior parte, invece, quel regime l'aveva subito. E qui, sulla frontiera, il fascismo fu più duro che altrove, soprattutto con gli sloveni. Oggi, di tutto questo, resta il Ricordo. Non solo il 10 febbraio, giorno in cui nel 1947 da Pola iniziò l'esodo di oltre 30 mila persone. Di tutto quel mondo, oggi, resta un ricordo che si è fatto istituzionale. Si parla nelle scuole, finalmente. Ed è lì che sta il grande successo della legge sulla Giornata del Ricordo, nell'esser riuscito ad alimentare il dibattito. 

Sono stati fatti errori?

Ma se la storia va lasciata agli storici, allora dove sopravvivono gli errori? C'è un tema, quello dell'Esodo, che il 10 febbraio viene solamente sfiorato. Si ricordano soprattutto le foibe. La condizione di sradicamento forzato, nelle generazioni che abbandonarono tutto, invece, rimane laggiù, in un angolo. Il dramma psicologico ed emotivo, la paura di non tornare più, di non ricordare abbastanza o di ricordare troppo: chi analizza tutto ciò? Approfondire la condizione esistenziale e scavare nella psichiatria, nei suicidi, in tutto ciò che davvero non è mai stato raccontato. Capire il disagio e le conseguenze sui figli e nipoti. Spesso ci sentiamo bistrattati dall'Italia. Sarà lì, forse, il problema? 

Cosa studiare ancora?

Il dramma subito dalla popolazione istrodalmata è di proporzioni bibliche e risiede nella progressiva perdita della secolare italianità di quella parte d'Adriatico orientale. Lì, dove per secoli vissero latini e slavi assieme, il comunismo assassinò nel nome di Tito. Lì, in quelle zona, ancora oggi sopravvive una Comunità nazionale italiana - l'unica autoctona al di fuori dei confini - che fa fatica ma che è depositaria, a tutti gli effetti, dell'ultimo tricolore rimasto sui palazzi di origine veneziana. Ha commesso errori, è stata travolta da scandali finanziari, eppure è lì, che ci guarda, come una sentinella. Da quella terra son partiti in tanti. Qualcuno ha fatto carriera, qualcuno no. Qualcuno è morto dimenticato da tutti, altri stanno ancora aspettando. Tanti hanno condotto una vita normale, altri, come i Luxardo da Zara, sono stati trucidati e gettati in fondo al mare dai partigiani. Il dramma è molto più grande di quanto venga ridotto. Il tema è difficile da digerire, se non si conosce l'argomento.     

La speranza

Tempo fa intervistai Marino Lombardo, terzino del Torino che vinse lo scudetto nel 1976. Era nato a Trieste in un campo profughi vicino alla stazione. La sua famiglia era fuggita dall'isola di Cherso. Dopo la carriera da calciatore e quella da allenatore, Lombardo tornò nella sua Cherso perché chiamato dal sindaco del paese Nivio Toich, per guidare la squadra locale. Nell'undici titolare c'erano due ex militari, un disoccupato ed uno studente. Si cambiavano in un container portato lì dal porto di Fiume (oggi Rijeka, in croato). Vinse tre campionati e portò la società, con tanto di trasferte in traghetto, fino alla serie C croata. E' morto nel 2021 a Castelvenere, un piccolo borgo in Istria. Durante quell'intervista mi raccontò del corso fatto a Coverciano con Marcello Lippi, della sua appartenenza a quel mondo, dei suoi successi calcistici, delle feste a Torino e di quando la città si colorava di granata, quando battevano la Juve. "Sì ma alla fine son esule come i altri, no sta pensar". 

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