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Sabato, 27 Aprile 2024

Fabrizio Gatti

Direttore editoriale per gli approfondimenti

Cosa ci insegna il disastro nelle Marche

Siamo abituati a considerare la protezione civile come un dipartimento dello Stato. Il disastro di queste ore nelle Marche e il bilancio delle vittime devono invece spingerci a pensare che la protezione civile siamo noi. Facciamoci due domande. Quanti di noi sanno dove sono i punti di raccolta per mettere al sicuro i cittadini nei paesi o nei quartieri dove abitiamo, in caso di alluvione, incendio o terremoto? Quanti di noi sanno cosa devono fare quando si verificano queste emergenze? Fino a quando non sapremo o le autorità non sapranno darci risposta su questo, possiamo concludere che la protezione civile non esiste.

La legge prevede che ogni singolo municipio definisca e pubblichi il suo piano di protezione civile. Prendiamo l'esempio del Comune di Ostra, uno dei più colpiti dall'alluvione in provincia di Ancona. Il sito comunale pubblica un piano, costituito da una relazione di 92 pagine aggiornata nel 2018 e da sette mappe.

Il piano di Ostra

Le sei pagine del capitolo “Eventi meteorologici violenti” ci forniscono una serie di comunicazioni, tra le quali: mantenersi sempre aggiornati sulla situazione di emergenza, non utilizzare mezzi di trasporto su due ruote, indossare scarpe adatte, fare scorta di sale presso i supermercati e i consorzi agrari, acquistare preventivamente pale o badili... Ma se mi trovo a Ostra e il cielo mi cade in testa con una pioggia eccezionale, dove mi rifugio, dove porto i miei familiari al sicuro, dove sono i luoghi di raccolta per non essere travolti dalla piena?

In questi anni, per rispettare la legge, i comuni italiani hanno prodotto quintali di carta con piani, tavole, prescrizioni di protezione civile che ritroviamo sulla rete, spesso in pagine difficili da consultare. Tante istruzioni per l'uso che hanno fatto conoscere meglio il territorio agli addetti ai lavori. Ma che non sono state tradotte in messaggi chiari, precisi, aggiornati alla popolazione, così da rendere rapido e agevole l'uso della protezione civile. Come faccio a mantenermi aggiornato sulla situazione di emergenza? Chi mi deve aggiornare? Con quali mezzi di comunicazione?

Protezione civile digitale

Eppure, nella nostra rivoluzione digitale, ciascuno di noi ha in tasca lo smartphone che potrebbe avvertirci con tempestività se in una valle una cellula temporalesca sta scaricando in poche ore le piogge di sei mesi. Lo strumento per misurare il livello di acqua che sta cadendo si chiama pluviometro, uno strumento collegabile in rete che oggi può costare meno di cento euro. Quando la pioggia supera una certa quantità, potrebbe facilmente scattare l'allarme attraverso una app nazionale verificata e convalidata. Una sorta di meteorologia dal basso che potrebbe avvertirci, istante per istante, quando si manifesta un grave pericolo ed è meglio rifugiarsi nei centri di raccolta comunali.

Questo approccio richiederebbe un'impostazione meno cartacea e più pratica, cioè efficiente, dell'organizzazione della protezione civile. Molti lettori, sono sicuro, penseranno che è facile parlare dopo che è avvenuta una tragedia. Ma, quando si tratta di decidere come proteggere milioni di cittadini, è proprio questo il momento della discussione e della programmazione.

La protezione civile si costruisce in tempo di pace, tra un'alluvione e l'altra, tra un terremoto e l'altro. Bisogna però ridefinire i concetti: rivalutare le portate dei bacini idrografici – l'area compresa tra spartiacque che alimenta un corso d'acqua – secondo le nuove quantità di precipitazione, stabilire i livelli di allarme, istituire centri di raccolta per la popolazione, soprattutto per quanti vivono in zone esposte ad allagamenti importanti e ondate di piena, e mettere il risultato in rete attraverso app ufficiali di protezione civile disponibili a tutti.

L'errore della pandemia

Un'onda di piena non è mai improvvisa come un terremoto. Il bacino idrografico impiega tempo per alimentarsi e di solito, a differenza delle onde sismiche, sappiamo che l'acqua va sempre in un'unica direzione: dall'altro verso il basso. Immaginiamo che i pluviometri a monte registrino precipitazioni eccezionali e scatti immediatamente l'allarme a tutto il bacino a valle. Non sarebbe utile?

Dipendiamo invece da modelli di previsione meteorologica che hanno le loro radici nei tempi di Edmondo Bernacca, il meteorologo della Rai famoso nel secolo scorso. Modelli che, dopo estati così roventi, faticano a calcolare la quantità di calore locale dell'atmosfera e quindi a prevedere cosa accadrà su scala regionale o sovracomunale. Ma è proprio questo che, andando verso una frequenza di fenomeni violenti, ci serve ora.

Nel 2020, quando è cominciata la pandemia di Covid19, il sito nazionale della Protezione civile pubblicava questa informazione: “Il rischio sanitario è sempre conseguente ad altri rischi o calamità, tanto da essere definito come rischio di secondo grado”. Il virus Sars-CoV-2 ci ha dolorosamente insegnato che il rischio sanitario può essere indipendente da altre calamità e il messaggio è stato corretto. Ecco, dipartimento nazionale, regioni e comuni cambino al più presto e correggano il loro (e nostro) approccio al nuovo rischio meteorologico che, all'improvviso, può trasformare un temporale di fine estate in una strage.

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