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Domenica, 28 Aprile 2024
"Utilizzo compulsivo" / Stati Uniti d'America

La class action contro Tinder: "Non aiuta a trovare l'amore e crea dipendenza"

Un'azione legale collettiva lanciata negli Stati Uniti mette sotto accusa l'app di dating più nota al mondo

Tinder, l'app di appuntamenti nota in tutto il mondo, sarebbe progettata appositamente "con caratteristiche di design coinvolgenti e simili a quelle di un gioco" con l'obiettivo di intrappolare gli utenti in un utilizzo "compulsivo", piuttosto che aiutarli a trovare la persona che cercano. Con queste motivazioni, un gruppo di utenti ha intentato un'azione legale collettiva nei confronti di Match group, casa madre di Tinder e di altre due app simili, Hinge e The League. 

Un modello di business predatorio

Nelle motivazioni della class action, depositata in un tribunale federale della California, gli utenti  sostengono sostanzialmente che the Match progetti le sue app per far sì che gli iscritti ne diventino dipendenti e continuino a sottoscrivere abbonamenti premium. Un modello di business definito "predatorio". In pratica, la società farebbe un uso deliberato di "funzionalità psicologicamente manipolative per assicurarsi di far rimanere gli utenti perennemente sull'app, come abbonati paganti". La causa sostiene quindi che le app di Match violino le leggi sulla protezione dei consumatori, dando priorità ai profitti aziendali "rispetto alle sue promesse di marketing e agli obiettivi di relazione con i clienti".

I querelanti sostengono che le app di appuntamenti utilizzino "potenti tecnologie e algoritmi nascosti" per mantenere gli utenti agganciati, basando il proprio modello di business sugli acquisti di abbonamenti e funzionalità premium. Funzionalità che vengono commercializzate come strumenti che potenziano la possibilità di "avvicinarsi all'amore" ma che, in realtà, non fanno altro che trascinare gli utenti in un vortice di utilizzo "compulsivo".

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Se, infatti, Tinder è scaricabile e utilizzabile gratuitamente nella sua versione gratuita, l'interfaccia - come molti altri siti web e applicazioni, del resto - propone di continuo l'acquisto di funzionalità ulteriori a pagamento. "Mi piace illimitati" e "boost", tra le altre, che permettono agli utenti di essere presentati tra i migliori profili in una determinata zona per un periodo di tempo limitato, aumentando quindi la loro visibilità.

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"La responsabilità è nelle mani dell'utente", ha commentato al Washington Post la psicologa Jo Hemming, aggiungendo di ritenere la class action "assurda". Match, la società sotto accusa, ha risposto all'avvio dell'azione legale tramite un comunicato nel quale definisce la causa "ridicola". Il proprio modello di business, ha affermato, "non si basa su metriche pubblicitarie o di coinvolgimento. Ci sforziamo attivamente di portare le persone agli appuntamenti ogni giorno e fuori dalle nostre app"."Chiunque affermi qualcos'altro - prosegue la nota - non capisce lo scopo e la missione del nostro intero settore".

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