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Venerdì, 26 Aprile 2024
Il caso

Inchiesta Mose, mazzetta party in laguna

Il grande affare delle barriere anti-maree a Venezia ha come protagonisti imprenditori, politici e magistrati. Tra mazzette portate a casa e promesse di vitalizi a generali in pensione, ecco il business che sconvolge la laguna

ROMA - E' una nuova Tangentopoli. Anzi, se possibile, è anche peggio. L'inchiesta sul Mose, il sistema di dighe mobili progettato per difendere Venezia dall’acqua alta, "è più complessa e complicata" rispetto al sistema di corruzione che sconvolse il mondo politico e finanziario italiano negli anni Novanta. Parola di Carlo Nordio, procuratore aggiunto di Venezia.

Cento indagati, trentacinque arresti. Tra loro il sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, eletto nel 2010 con una coalizione di centrosinistra. Orsoni è accusato di aver ricevuto finanziamenti illeciti dal Consorzio Venezia Nuova per le elezioni comunali di Venezia del 2010. Secondo i suoi legali le vicende contestate sono “poco credibili”. La Procura ha chiesto anche la custodia cautelare per l’ex governatore del Veneto e oggi parlamentare di Forza Italia, Giancarlo Galan. Ora gli atti sono stati trasmessi alla Camera. Le accuse sono di aver ricevuto 800 mila euro dal Consorzio Venezia Nuova nell’ambito delle opere del Mose e di essersi fatto restaurare una villa tramite la Mantovani. Tra gli arrestati anche l’assessore regionale alle Infrastrutture Renato Chisso (Fi), il consigliere regionale del Pd Giampiero Marchese, gli imprenditori Franco Morbiolo e Roberto Meneguzzo nonché il generale in pensione Emilio Spaziante. Il ministro Lupi teme ritardi e aumento dei costi per completare l'opera, ora all'85%.

Le indagini hanno portato alla luce un giro di sovrafatturazioni false create ad hoc e di fondi neri "utilizzati per campagne elettorali e, in parte, anche per uso personale da parte di alcuni esponenti politici - ha spiegato il procuratore - Hanno ricevuto elargizioni illegali persone di entrambi gli schieramenti". L’indagine ha preso le mosse tre anni fa. Lo scorso anno era stato arrestato Piergiorgio Baita, ai vertici della Mantovani. I magistrati avevano scoperto che l’ex manager con il beneplacito del proprio braccio destro Nicolò Buson, aveva distratto dei fondi relativi al Mose, le opere di salvaguardia per Venezia, in una serie di fondi neri all'estero. 20 milioni secondo le Fiamme Gialle la somma occultata, finita poi in conti esteri.

Il denaro, secondo l'accusa, veniva portato da Claudia Minutillo, imprenditrice ed ex segretaria personale di Galan, a San Marino dove i soldi venivano riciclati da William Colombelli grazie alla propria azienda finanziaria Bmc. Qualche mese dopo era arrivato l’arresto di  Giovanni Mazzacurati, ai vertici del Consorzio Venezia Nuova, l'ingegnere "padre" del Mose. Indagando su di lui erano spuntate fatture false e presunte bustarelle che poi hanno portato all'arresto di Pio Savioli e Federico Sutto, rispettivamente consigliere e dipendente di Cvn, e quattro imprenditori che si spartivano i lavori milionari. 

Mose: il cantiere del grande affare a Venezia | Foto Infophoto

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