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Domenica, 28 Aprile 2024
le rivelazioni

Matteo Messina Denaro attacca i pm: "Mi avete preso per la malattia, non mi pentirò mai"

Nel primo verbale di interrogatorio, adesso depositato, il boss ha affermato di non essere un mafioso e di non sapere nulla di stragi

Nel giorno del ricovero all'ospedale dell'Aquila di Matteo Messina Denaro, il boss mafioso arrestato a Palermo lo scorso 16 gennaio, è stato depositato il primo verbale dell'interrogatorio del 13 febbraio scorso, da cui emergono dettagli notevoli sull'attività mafiosa dell'ex primula rossa. 

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Durante l'incontro, il boss nega di aver commesso stragi e omicidi e di aver trafficato in droga, ma ammette di aver avuto una corrispondenza con il capomafia Bernardo Provenzano. "Io mi sento uomo d'onore ma non come mafioso. Cosa nostra la conosco dai giornali", ha detto l'ex primula rossa nel lungo interrogatorio depositato oggi e reso dopo la cattura al procuratore di Palermo Maurizio de Lucia e all'aggiunto Paolo Guido. "La mia vita non è stata sedentaria, è stata una vita molto avventurosa, movimentata", ha detto ammettendo la latitanza e di aver comprato una pistola, ma di non averla mai usata e di non aver fatto omicidi e stragi.

"Non ho ucciso il piccolo Di Matteo"

E parlando dell'omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio del pentito rapito e sciolto nell'acido, il boss afferma: "Una cosa fatemela dire. Forse è la cosa a cui tengo di più. Io non sono un santo... ma con l'omicidio del bambino non c'entro".

Ed è andato anche oltre, difendendo i complici già arrestati dopo il suo arresto, e quelli non ancora identificati: "Il mafioso riservato è tipo un altro argomento di legge se vogliamo dire farlocco - ha sostenuto nell’interrogatorio - come il concorso esterno". E senza esitazione ha affermato: "Io non mi farò mai pentito".

Poi ha lanciato l'ennesima sfida ai magistrati, affermando: "Non voglio fare il superuomo e nemmeno l'arrogante, voi mi avete preso per la mia malattia". Il capomafia ha raccontato che fin quando ha potuto ha vissuto rinunciando alla tecnologia, sapendo che sarebbe stato un punto debole. Ma poi ha dovuto cedere. Ai magistrati ha spiegato il motivo che ha segnato il cambio di passo sulla gestione della latitanza, dettato dalla malattia. 

Ma, ha precisato, in paese in pochi conoscevano la sua vera identità. "A Campobello mi sono creato un'altra identità: Francesco. Giocavo a poker, mangiavo al ristorante, andavo a giocare", ha spiegato. Una vita normale per passare inosservato.

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