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Sabato, 27 Aprile 2024
Narrò l'orrore dei lager

È morto Boris Pahor, aveva 108 anni

"Necropolis" è il suo capolavoro. Accostato ad autori come Primo Levi, Robert Antelme e Imre Kertész, era stato più volte candidato al Nobel per la Letteratura, si è spento nel sonno

Addio a un gigante della letteratura. Lo scrittore di madrelingua slovena Boris Pahor, testimone delle discriminazioni verso la minoranza slovena nella Venezia Giulia, sopravvissuto ai lager nazisti, difensore della dignità e della libertà dell'individuo, degli umiliati e degli offesi, è morto nella sua casa di Trieste all'età di 108 anni.

Addio a Boris Pahor

Pahor, sloveno d’Italia, che per la drammaticità della sua opera è stato accostato ad autori come Primo Levi, Robert Antelme e Imre Kertész e più volte candidato al Nobel per la Letteratura, si è spento nel sonno alle 4 di questa mattina, come ha confermato la sua famiglia all'Adnkronos. Nato a Trieste il 26 agosto 1913 da genitori sloveni, all'età di 7 anni assistette all'incendio del Narodni Dom, sede centrale delle organizzazioni della comunità slovena di Trieste: un'esperienza che lo segnò per tutta la vita, che affiora spesso nei suoi romanzi e racconti. Dopo aver frequentato il liceo classico presso il seminario di Capodistria, nel dopoguerra si laureò in Lettere all'Università e quindi, si dedicò all'insegnamento della letteratura italiana. Arruolato e mandato al fronte in Libia, tornò a Trieste dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, ma venne arrestato dai nazisti e quindi internato in vari campi di concentramento in Germania e in Francia. Sopravvissuto alla tragica esperienza dei lager, al termine del conflitto a Trieste aderì a numerose imprese culturali social-democratiche e divenne uno dei più importanti punti di riferimento per la giovane generazione di letterati sloveni. La sua opera più nota è "Necropoli" (Fazi), romanzo autobiografico sulla prigionia a Natzweiler-Struthof. È stato tradotto in francese, tedesco, serbo-croato, ungherese, inglese, spagnolo, italiano, catalano e finlandese. La vita dello scrittore è strettamente legata agli eventi storici della sua terra d'origine, dall'epoca della dominazione dell'impero asburgico al fascismo, e all'esperienza della comunità slovena, tra i due conflitti bellici e nel secondo dopoguerra, che ha messo al centro dei suoi libri, una trentina tra narrativa e saggistica. 

Pahor aveva pagato la sua appartenenza a una minoranza linguistica anche dopo la guerra, nei panni di letterato, poiché il valore delle sue opere venne riconosciuto, colpevolmente, con grande ritardo.

Le opere più note

Tra i suoi libri figurano "La città nel golfo" (Bompiani), "Triangoli rossi. I campi di concentramento dimenticati" (Bompiani), "Così ho vissuto. Biografia di un secolo" (Bompiani), "Figlio di nessuno. Autobiografia senza frontiere" (Rizzoli), "Dentro il labirinto" (Fazi), "Qui è proibito parlare" (Fazi), "Una primavera difficile" (La nave di Teseo), "Tre volte no. Memorie di un uomo libero" (Rizzoli). Le sue opere sono tradotte in francese, tedesco, serbo-croato, ungherese, inglese, spagnolo, catalano e finlandese. Pahor ha vinto numerosi riconoscimenti: il Premio Internazionale Viareggio-Versilia (2008); il Premio Preseren, maggiore onorificenza slovena nel campo culturale (1992); il Premio San Giusto d'Oro (2003); il Premio Napoli (2008) per "Necropoli"; il Premio Letterario Internazionale Alessandro Manzoni - Città di Lecco per l'autobiografia "Figlio di nessuno" (2012). Nel 2007 è stato insignito con la onorificenza francese della Legion d'onore e nel 2008 gli è stato conferito il Premio Resistenza per il libro "Necropoli" ed è stato eletto "Libro dell'Anno" da una giuria di oltre tremila ascoltatori del programma di Radio3 Rai, dedicato ai libri, Fahreneit.

"Forse la sua longevità - scrive oggi Paolo Rumiz - era una vendetta, mi venne da pensare, contro il fascismo che gli avevano rubato venticinque anni vita, impedendogli di parlare la sua lingua. Era la risposta all’ostracismo di chi, nel dopoguerra, non aveva voluto si sapesse che nella città “italianissima” c’era un uomo capace di scrivere in un’altra lingua, tanto più se si ostinava a sbugiardare le amnesie di una terra dove il fascismo aveva dato il peggio di sé. Era il conto da regolare con una fama beffarda, che l’aveva fatto conoscere ovunque nel mondo, ma non nel suo Paese. Una diga rotta appena a 95 anni, quando il suo capolavoro, “Necropolis”, sul suo internamento in un Lager nazista, era stato “scongelato” dopo 40 anni e tradotto in Italia".

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