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Lunedì, 29 Aprile 2024
L'analisi

Quanto hanno guadagnato le banche italiane con l'aumento dei tassi di interesse

Ricavi record per ammissione degli stessi banchieri. La tassa sui profitti extra voluta dal governo divide la politica e gli esperti. Chi ha ragione? Un po' di dati per farsi un'idea

Misura di "equità sociale", o mossa populista dagli effetti controproducenti? La tassa sugli extraprofitti delle banche italiane annunciata dal governo a inizio settimana e confermata dal decreto Omnibus ha diviso i partiti politici, e ha sollevato un coro di critiche. Come spiegato dal vicepremier Matteo Salvini, l'imposta nasce con l'obiettivo di riequilibrare gli effetti del progressivo aumento dei tassi di interesse attuato da un anno a questa parte dalla Banca centrale europea: lo Stato preleva una parte dei profitti accumulati dagli istituti grazie a tale aumento, e li redistribuisce a chi è stato colpito dalle rate dei "mutui sulla prima casa" più alte. Il prelievo, stando alle stime iniziali, dovrebbe essere tra i 2,5 e i 3 miliardi di euro. Ma contro il provvedimento si sono schierati diversi esperti, i quali hanno sottolineato il rischio che una tassa del genere possa indebolire la sostenibilità degli istituti più piccoli, o spingere i banchieri nostrani a comprare meno titoli di Stato, o ancora portare a una ricaduta negativa sui clienti finali, ossia famiglie e imprese, con maglie del credito più strette e commissioni più alte. Il contrario, dunque, dello spirito con cui è nata l'iniziativa dell'esecutivo. 

Ricavi in aumento 

Se queste critiche siano eccesive o meno è dibattito per economisti. Ma anche i non addetti ai lavori possono farsi un'idea. A tal fine, abbiamo preso alcuni dati. I primi provengono dall'agenzia di rating Dbrs Morningstar e riguardano le 5 principali banche italiane (Unicredit, Intesa Sanpaolo, Bpm, Bper e Mps). Da quando è scattata la corsa al rialzo dei tassi di interesse, questi istituti hanno visto crescere nettamente i loro ricavi: tra luglio 2022 e giugno 2023, sono stati 58,9 miliardi di euro, quasi il 20% in più rispetto ai dodici mesi precedenti. 

E i profitti? Restando su queste cinque banche, il primo semestre del 2023 è stato eccezionale (in positivo): nell'insieme, tali istituti hanno fatto registrare 13,4 miliardi di euro di profitti. "Abbiamo prodotto il migliore primo semestre di sempre", ha detto il ceo di Unicredit, Andrea Orcel. Mentre Bpm ha salutato quello appena concluso come "il miglior semestre di sempre" (non solo il primo). Dichiarazioni entusiaste rilasciate pochi giorni prima che il governo guastasse la festa con il suo decreto. Il quale, però, non si applicherà sui profitti, ma su un'altra voce del bilancio delle banche: il margine di interesse. 

Il margine di interesse

La scelta di questa voce è significativa: detta in soldoni, il margine di interesse è la differenza tra quanto una banca incassa con mutui e prestiti (elargiti grazie ai soldi depositati dai suoi clienti), e quanto questa banca versa ai suoi clienti per remunerare depositi e conti corrente. Quando i tassi di interesse salgono, dovrebbero aumentare non solo le rate dei mutui, ma anche gli interessi pagati dalle banche ai correntisti. Ma se i primi schizzano in alto, e i secondi arrancano, ecco che il margine di interesse per le banche lievita (e con esso i profitti). Ed è quello che è successo in Italia. 

Stando a Dbrs, tra il 2019 e il primo semestre del 2022 (ossia prima dei rialzi della Bce), le cinque principali banche italiane accumulavano nel complesso mediamente 5 miliardi di margine di interesse per trimestre. Nel secondo trimestre del 2023, tale margine è salito a 9,3 miliardi, quasi il doppio. Considerati i dodici mesi da quando i tassi hanno cominciato ad aumentare, il conto arriva a 32,3 miliardi. Nel 2021, il margine complessivo era stato di 21,8 miliardi. È chiaro, dunque, che i profitti eccezionali realizzati dalle big italiane del credito siano attribuibili a questa voce di bilancio.

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Per il momento, a beneficiare degli utili in più sono stati principalmente i dirigenti e gli azionisti degli istituti. Gli stipendi dei lavoratori del settore sono fermi da anni. E i sindacati dei bancari, come abbiamo raccontato, hanno chiesto un aumento di 435 euro lordi al mese che sta incontrando le resistenze dell'Abi, l'associazione delle banche italiane. Resistenze che cozzano con i compensi d'oro ai piani alti e i dividendi staccati ai soci. Unicredit, per esempio, nel solo 2022 ha distribuito ai suoi azionisti ben 5,2 miliardi, più dei 4,8 miliardi versati in tasse in giro per il mondo (la banca è presente in 23 Paesi). Forse come premio per tali risultati, il colosso italiano ha deciso di portare lo stipendio del suo amministratore delegato Orcel a 9,75 milioni di euro all'anno, il 30% rispetto a prima. Un aumento che persino la governatrice della Bce, Christine Lagarde, ha bacchettato, sottolineando il "lato reputazionale in questo tipo di decisioni di cui i leader delle banche dovrebbero essere consapevoli".

Un cane che si morde la coda

E a proposito della Bce, c'è un altro elemento di riflessione che si può aggiungere quando si parla di extraprofitti. Come è noto, l'aumento dei tassi è stato deciso da Francoforte per rispondere all'inflazione. Se la mossa non ha ancora dato i risultati sperati è anche per via dell'eccessivo accumulo di profitti: lo ha detto la stessa Bce lo scorso marzo, spiegando che continuando di questo passo, l'obiettivo "di riportare tempestivamente l'inflazione" al livello target "sarà più difficile. E ciò potrebbe richiedere una risposta politica più forte".

Sempre la Bce, nel suo bollettino di agosto, segnala come "i criteri per la concessione di prestiti a famiglie e imprese hanno registrato un ulteriore inasprimento, giacché le banche nutrono maggiori timori circa i rischi a cui è esposta la clientela e sono meno disposte a sostenerli". In altre parole, la Banca centrale europea alza i tassi di interesse per fermare l'inflazione e aiutare l'economia. Ma il rialzo viene sfruttato dal settore bancario per accumulare profitti, e questo accumulo spinge in alto i prezzi, vanificando gli sforzi di Lagarde. In tutto questo, proprio a causa dell'inflazione, le famiglie e le imprese sono in difficoltà, ma le stesse banche (che con i loro profitti sono in qualche modo responsabili di tale difficoltà) chiudono i rubinetti del credito, peggiorando la situazione. Un cane che si morde la coda.   

Dare e avere

Altro spunto di analisi. La tassa italiana sugli extraprofitti bancari non è un caso isolato: misure simili sono state adottate in Spagna, Repubblica ceca e Lituania. Nel suo decreto, il governo di Madrid ha ricordato che "nel recente passato sono state mobilitate ingenti risorse pubbliche per il salvataggio di alcuni soggetti finanziari". È successo in Spagna, ma anche in Italia: secondo uno studio dell'Università Cattolica, al 2018 lo Stato italiano aveva versato circa 18 miliardi di risorse pubbliche (quindi dei contribuenti) per salvare gli istituti in difficoltà. Almeno 5 miliardi non saranno mai recuperati. 

Infine, le tasse: nel 2022, i primi cinque istituti italiani hanno registrato, prima delle tasse, 10,8 miliardi di profitti dalle loro operazioni in madre patria (cioè esclusi i profitti realizzati all'estero). In compenso, l'incasso per lo Stato dalle imposte sugli utili è stato di circa 800 milioni. Un'aliquota del 7,4%.  

Questi sono i dati. Ognuno, poi, si faccia la propria opinione. 

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