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Martedì, 30 Aprile 2024

Il commento

Giulio Zoppello

Giornalista

I 20 anni dell'Ultimo Samurai, ma meritava tutto quel successo?

L’Ultimo Samurai di Edward Zwick, o meglio ancora di Tom Cruise, oggi compie 20 anni e rimane senza ombra di dubbio un oggetto misterioso e di difficile valutazione, capace a suo tempo di raccogliere un successo incredibile al botteghino, tanto quanto di lasciare la critica un po’ interdetta. Oggi, a vent’anni esatti dall’uscita in sala, forse è giusto riguardare a quel film, che si prese la libertà di parlare di quel paese lontano, dei samurai, connettendosi ad una rappresentazione alquanto ibrida.

Un americano nel Giappone in balia dell’anarchia

L’Ultimo Samurai era ambientato nel 1876, quando il Giappone era diviso dalla Ribellione di Satsuma, dove gli ex samurai lottavano contro l’occidentalizzazione decisa dal Governo centrale. Protagonista era l'ex capitano dell'esercito americano Nathan Algren (Tom Cruise) veterano delle guerre indiane, afflitto da sensi di colpa, alcolismo e cinismo. Veniva convinto da un ex superiore ad accettare di diventare consigliere militare dal neonato esercito governativo, che sotto il comando del magnate Omura, braccio destro dell'imperatore Mutsuhito, sta cercando di piegare la resistenza dell'ultimo vero samurai fedele al codice del bushido: Katsumoto.

Il film avrebbe visto il protagonista finire prigioniero del sofisticato e carismatico nemico, cominciando un percorso di automiglioramento e scoperta degli ideali del bushido, fino a diventare amico e alleato dell'ultima resistenza del suo rapitore. L’Ultimo Samurai prendeva ispirazione dalla ribellione guidata da Saigō Takamori, così come da personaggi realmente esistiti come quelli di Eugène Collache and Jules Brunet, ufficiali francesi che lottarono al fianco degli insorti, contro il governo Meiji in favore dello shogunato Tokugawa.

Ma la loro lotta era una lotta contro la democrazia e le libertà universali, questo il film lo nascose, così come il fatto che i Samurai ribelli erano fanatici rotti ad ogni atrocità. La sceneggiatura di John Logan, lo stesso zwick e Marshall Herskovitz è inutile negare che abbia sempre avuto enormi punti in comune con il Balla coi Lupi di Kevin Costner, altra esotica avventura, permeata però dalla sindrome da “Salvatore Bianco” che già molti avevano riscontrato in Un Uomo Chiamato Cavallo di Elliot Silverstein o Lawrence d’Arabia di David Lean.

Tuttavia, bisogna ammettere che questi film cercavano se non altro di muoversi secondo la volontà di essere oggettivo risarcimento verso il modo in cui certi popoli erano sempre stati o quasi descritti da Hollywood. L’Ultimo Samurai non era diverso, perché a ben pensarci, per moltissimo tempo i giapponesi erano stati rappresentati come nemici, come un popolo viscido infido, fanatico. Certo, dagli anni 70 in poi, complice il nuovo corso del cinema di arti marziali, qualcosa si era mosso, ma non abbastanza. Allora come valutare il film di Tom Cruise dopo vent'anni?

Pro e contro di un film che ha cambiato moltissime cose

Partiamo col dire che L’Ultimo Samurai della sua ha una delle migliori colonne sonore mai fatte da Hans Zimmer, una regia incredibilmente evocativa e muscolare, un’atmosfera epica e poetica, ma soprattutto porta in dote oltre la solita dedizione e presenza scenica di Tom Cruise, attori nipponici di incredibile caratura. Su tutti soprattutto il grande Ken Watanabe, ed è indiscutibilmente un grande merito da parte del film aver permesso a questo grande interprete di diventare noto al grande pubblico e alle produzioni internazionali.

Lo stesso dicasi per interpreti del calibro di Masato Harada, Shin Koyamada e Hiroyuki Sanada, poi coinvolti in grandi produzioni occidentali negli anni a venire. Certo, L’Ultimo Samurai è comunque permeato da una forte occidentalizzazione per quello che riguarda la figura stessa del samurai, da decenni mistificata e modificata in funzione della narrativa audiovisiva internazionale.

Ricostruzione storica alquanto fantasiosa quella del film, per non dire oggettivamente assente, ma in cambio dona un'estetica, nonché una chimica tra gli attori protagonisti semplicemente incredibile. Cruise e Watanabe creano un concetto di amicizia viriale e accettazione dell’altro che ancora oggi non può che affascinare. Tuttavia, L’Ultimo Samurai ha in dote una serie di cliché vecchio stile sul Giappone, una visione assolutamente manichea, in cui la modernità è volgare, dittatoriale, il passato dei nobili guerrieri armati di katana un fiore prezioso da preservare. La realtà è che quello scontro portò il Giappone verso una nuova era di diritti e libertà.

Non si può tuttavia negare che oltre a rinnovare l'interesse cinematografico per la storia nipponica, il film abbia anche sortito l'effetto se non altro di ricordarci quanto l'occidente è stato direttamente o indirettamente sempre fautore di enormi squilibri presso altri popoli e nazioni. L'America che esporta ex massacratori di indiani, fucili e mitragliatrici Gatling fa una pessima figura, qualcosa che soprattutto nella Hollywood di quegli anni non era poi così particolarmente frequente.

Certo, rimane una semplificazione eccessiva della storia nipponica, ed un eccesso di romanticismo nel modo in cui i Samurai sono dipinti. Qualcosa che ieri come oggi ha creato numerosi dibattiti. Tutto questo però non può far passare in secondo piano come L’Ultimo Samurai abbia contribuito a rinnovare l’immagine dei giapponesi, staccandosi completamente da una certa ghettizzazione.   

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