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Lunedì, 29 Aprile 2024

Il commento

Giulio Zoppello

Giornalista

Una Poltrona per Due: i 40 anni di un mito cinematografico

Ebbene sì: una Poltrona per Due, il film che da noi è simbolo del Natale da decenni, uscì in piena estate. Era l’8 giugno del 1983 quando la commedia di John Landis usciva in sala, andando incontro ad un successo che sarebbe diventato unico nel suo genere, che avrebbe superato mode, il tempo, il cambiamento della società e del pubblico. Opera genialmente concepita e superbamente interpretata da un cast che definire azzeccato è anche riduttivo, dopo 40 anni è diventato uno dei simboli per eccellenza degli anni ’80, con tutti i pro e contro: va in onda anche quest'anno su Italia Uno in prima serata, proprio nel giorno della vigilia di Natale, il 24 dicembre. Di fatto è una sorta di totem del mito yuppie che dominava su tutto e su tutti.

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La ricetta giusta per sbancare il botteghino

Una Poltrona per Due ebbe un posizionamento sul mercato atipico, in una stagione cinematografica in cui si sapeva che film come il Ritorno dello Jedi e Superman III avrebbero fatto sfaceli. A dispetto dell’ambientazione natalizia si decise quindi di farlo uscire agli inizi di giugno, confidando nell’onda lunga del botteghino. Era una commedia, genere che si pensò potesse funzionare proprio perché antitetico ai kolossal dai grandi effetti speciali. Si rivelò una previsione corretta, visto che una Poltrona per Due rimase in top 10 per 18 settimane di seguito, incassò 120 milioni di dollari a fronte di solo 15 spesi, ma soprattutto si sedimentò presso l’immaginario collettivo in modo profondissimo. Questo in virtù di una sceneggiatura firmata da Timothy Harris e Herschel Weingrod, che seppe essere incredibilmente trasversale nella sua semantica, di spaziare verso ogni angolo della società mentre ci parlava di Louis Winthorpe III e Billy Ray Valentine, un bianco ricco e snob, un nero morto di fame e truffatore di strada fallito. 

Riprendendo il mood delle commedie della Golden Age Hollywoodiana degli anni ’40 e ’50, omaggiando il celebre “il Principe e il Povero” con cui Mark Twain aveva parlato della società come prigione classista predeterminata, quel film offrì una cinica parodia dell’american dream degli anni ‘80. 

Ma nulla di questo sarebbe stato possibile senza quel cast, senza l’emergente Eddie Murphy (lanciato da 48 Ore l’anno precedente), senza l’idolo di quegli anni ed ex Blues Brother Dan Aykroyd e l’allora eroina horror Jamie Lee Curtis. John Landis diresse con ritmo, mano sicura, donò il giusto mix di demenzialità e profondità ad un film che, in tutto e per tutto, era una gigantesca costruzione con cui mise alla berlina il mito della Wall Street di quegli anni e dei brokers, il sogno americano del successo che imperava.

Un film sul vero volto del "sogno americano"

Gli anni ’80 sono stati un decennio incredibilmente contraddittorio e per questo fonte di una narrativa cinematografica e televisiva semplicemente unica. Dopo il ’68, l’era della contestazione, la tragedia del Vietnam, l’America voleva tornare a sognare. Quel sogno galoppava deciso, questa volta non nei cantieri, non nelle grandi praterie, non sposandosi alle masse, ma parlandoci di individualismo, di successo, di materialismo e consumismo. Wall Street Oliver Stone l’avrebbe narrata in modo eccellente nel film che consacrò del tutto Michael Douglas quattro anni dopo, ma intanto il suo regno incontrastato era di fronte a tutti, sorretto dalla retorica reaganiana e dalle idee di Milton Friedman.

Il femminismo smetteva di esistere, i diritti e il welfare erano carta straccia, le minoranze venivano abbandonate a sé stesse e solo il profitto contava. Non importava come lo si otteneva, non importava se magari si infrangeva la legge, come quel Belfort di cui Scorsese ci avrebbe narrato le gesta con Di Caprio. Di tutto questo, una Poltrona per Due fu istantanea satirica, mentre ci mostrava in quell’atroce scommessa fatta due sadici e crudeli fratelli Duke (Ralph Bellamy e Don Ameche, semplicemente eccezionali) e la realtà nuda e cruda: il sogno americano è una gigantesca bugia, l’unica vera differenza non riguarda l’abilità o il talento, ma la classe sociale, dove si nasce, con che possibilità davanti. Fateci caso, Valentine pur senza istruzione, senza preparazione, non prende decisioni sbagliate in quell’incarico che per finta i due Duke gli hanno dato. Forse perché è un genio incompreso? No. Perché Landis ci fa comprendere che quel mondo che ama presumere di sé, si alimenta di umanissimo egoismo e di apparenza. Basti pensare a come Louis finisce in rovina e viene abbandonato in pochi istanti, quanto Valentine ripulito sembri assolutamente uno dei tanti yuppies della Grande Mela famelica. Il fatto più sorprendente? I due alleati avrebbero trionfato diventando più carogne e più spietati delle loro nemesi, con buona pace della moralità e tutto il resto. Yuppies appunto.

Una critica al mondo spietato della finanza

John Landis, regista capace di spaziare in ogni genere sferzando l’ipocrisia della società americana, seppe fare di quel racconto di caduta, poi risalita e rivincita, una grande storia in cui la furbizia, non la rettitudine, erano la chiave vincente. Il finale, stupendo per dinamismo e suspense, mostrò quella bolgia anarchica e spietata che era Wall Street, le invisibili e assurde leggi che la guidavano, come la ricchezza si creava e disfaceva. Dietro le risate, dietro una Jamie Lee Curtis che distrusse il cliché di donna oggetto di quel decennio, oltre le gag irresistibili, c’era l’inquietante distanza tra la realtà delle persone qualunque e quel mondo dorato e spietato della finanza e della speculazione. Una Poltrona per Due, film scorretto fino all’eccesso anche con quella geniale black face che oggi farebbe gridare all’orrore, mix perfetto tra Heist e Buddy movie, rappresenta ancora oggi la fantasia più sfrenata di sempre della vendetta contro il potente, l’oppressore, il privilegiato. Il messaggio sotterraneo era chiaro: non esiste giustizia sociale, non esiste uguaglianza, esiste solo il denaro ed esso stabilisce chi ha torto o a ragione, chi detiene il potere oppure no. Basta pensare all’inizio kafkiano, a Louis che pur innocente si trova rovinato in poche ore. 

Divertente certo, ma anche inquietante e perfetta istantanea della spietata visione che una certa narrativa di quegli anni ha poi reso legge del nostro quotidiano: esisti in base a ciò che possiedi, non a ciò che sei. 

Una Poltrona per Due, che continua a farci compagnia sotto l’albero di Natale, cult eterno e senza fine che ogni volta ci fa crepare dalle risate, risulta anche incredibilmente inquietante per come sa parlarci dell’accettazione dell’ingiustizia sociale. A conti fatti è il dito puntato verso l’accettazione di questo dramma, oggi non più combattuto, ma ritenuto parte dell’ordine naturale delle cose.   

Una Poltrona per Due: i 40 anni di un mito cinematografico

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