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Venerdì, 26 Aprile 2024
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Briga senza filtri nel nuovo disco: "Sentivo l'esigenza di mettere un punto" | INTERVISTA

Il 1 giugno esce "Che cosa ci siamo fatti", un concept-album che segna un cambiamento importante per il cantautore romano

Amore, famiglia, viaggi, relazioni, crisi generazionale, domande, dubbi e certezze: Briga si mette a nudo nell'ultimo album "Che cosa ci siamo fatti" - in uscita il 1 giugno - che definisce autobiografico. Tutti gli 11 brani parlano di lui, di esperienze vissute sulla sua pelle o attraverso il racconto di altri, anche se poi ama lasciare "il beneficio del dubbio" come ci ha raccontato, insieme a tante altre cose.

"Che cosa ci siamo fatti" è un album molto intimista, il più maturo rispetto ai tuoi esordi...
"Assolutamente. Questo album nasce dall'esigenza di dover mettere un punto nella mia vita, su alcune situazioni, in un mondo così frenetico che ti fa smarcare le cose che ti fanno riflettere. Fermarsi è una cosa più unica che rara, ormai se ti fermi perdi tempo e ti fai superare dagli altri. Io mi sono fermato un attimo a riflettere e a guardarmi dentro per analizzare e accettare tante cose. L'album si collega a 'Novocaina', il mio libro, i due progetti sono legati. Me ne sono voluto fregare delle dinamiche dei suoni radiofonici o da reggaeton, la mia musica viene dal cuore e dalla pancia".

11 brani, partiamo da quello che dà il nome l'album, "Che cosa ci siamo fatti". Una canzone sulle storie d'amore di questa generazione. E' più una denuncia o una richiesta d'aiuto, visto che il tema della solitudine è comunque centrale?
"Io credo che fondare una relazione su una richiesta d'aiuto sia la cosa più sbagliata. Una relazione stabile e duratura deve basarsi su piani equilibrati, sui bisogni di tutti e due che sono bisogni primari. E' una canzone di denuncia, un monito alle nuove generazioni sull'atteggiamento errato con cui si affrontano le relazioni oggi. Il senso di dislocazione, l'insicurezza, la frustazione, la mancanza di un ruolo nel mondo, tutto questo fa mancare sicurezza. Tutto questo va a influenzare negativamente la relazione perchè non si trovano punti di incontro, si basa la relazione su punti che non hanno nulla a che fare con il voler bene. La storia è autoreferenziale e deriva da una delle mie esperienze".

Un album intimista, come abbiamo detto, ma forse tra tutte la canzone più intima è "Ciao papà", una lettera che scrivi a tuo padre e in cui parli di te...
"Di solito si dedicano canzoni alle persone scomparse o che non fanno più parte della nostra vita. Mio padre c'è, gli voglio un bene dell'anima, e non c'è cosa più bella di potergli dedicare una canzone. E' senza dubbio uno dei pezzi più intimi del disco, una preghiera di ritorno alla normalità. Da adolescente dovevo sempre uscire dalle righe per sentirmi vivo, invece adesso che sono cresciuto e sono popolare quanto mi piacerebbe andare allo stadio con papà e bermi una coca cola, come quando ero bambino. Gli ho voluto scrivere anche questo".

Un brano molto nostalgico. Come te?
"Per me la nostalgia è un sentimento meraviglioso che ti riporta indietro senza filtri. Non la puoi chiamare, viene quando viene. Kierkegaard diceva 'Ormai sono cresciuto e provo nostalgia della mia prima nostalgia', questo ti lascia intendere che la prima volta che provi questo sentimento è meraviglioso. A me capita ancora alla soglia dei 30 anni".

In "Mi viene da ridere/ Trastevere", ti consoli pensando alle cose che restano sempre lì mentre tutto intorno cambia. Tra queste c'è Roma, la tua città. Che rapporto hai con lei? Come la trovi?
"Ho viaggiato molto, ho vissuto anni fuori Italia, ma sono sempre tornato. Tante volte mi hanno proposto di vivere a Milano, non ho mai voluto. Sono molto legato a Roma, la amo profondamente e vorrei vederla meglio, com'è nella sua bellezza cinematografica, con San Pietro e il centro storico, non con la sporcizia intorno o come un ristorante a cielo aperto. Vorrei vederla meno commerciale e più pulita e amata. Vorrei fosse governata meglio. Roma è come se fosse la mia mamma, una città che mi coccola e io me la vado a cercare. Per me chi è riuscito a parlarne meglio è Antonello Venditti, io con la mia poetica e il modo di scrivere prendo il suo amore come punto di riferimento, il suo modo di renderla una persona, con i suoi luoghi meravigliosi descritti come lati del carattere o parti del corpo, come se Campo de' Fiori fossero gli occhi, San Pietro il suo cappello. Cerco di scrivere di Roma in questo modo, non è la prima volta. In "Dicembre Roma" ho descritto la città in inverno". 

Tra tutte le tue canzoni quale senti più tua e quale più per il pubblico?
"E' molto difficile che scriva per il pubblico. Il cantante deve fare il cantante e il pubblico il pubblico, non bisogna invertire i ruoli. Io non ho mai scritto per il pubblico, ho scritto sempre per me e facendolo cerco di attirare l'interesse di chi si riconosce nelle mie parole. Posso dirti la canzone più difficile a livello emotivo, "Se ti sbranassero gli squali". Quella più mia è quella per papà, molto privata e intima, accompagnata dal piano. L'unica che un po' si discosta dalle altre, invece, è "Dopo di noi nemmeno il cielo", storia più adolescenziale e magari si avvicina maggiormente al pubblico".

A quale invece sei più legato?
"'Negli occhi tuoi', credo sia un pezzo molto sincero. Quando ti rendi conto di amare una persona che non fa per te e la ami ancora di più perché sai che un giorno la perderai. Anche lì racconto cose molto private. 'La mia tuta coi buchi che mettevo per scendere forse non era il tuo genere', perché ho avuto una storia con una ragazza fissata per il lato estetico, cosa molto lontana da me. Descrivo immagini anche crude, ma mi piace raccontarle per abbattere i tabù".

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