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Domenica, 28 Aprile 2024
Rischio escalation / Iran

Perché si parla di conflitto con l'Iran, ma si bombarda Iraq e Siria

Il raid ordinato da Biden ha colpito oltre 85 obiettivi nella regione che sarebbero collegati alle Guardie rivoluzionare

Ha atteso sei giorni, troppi per i suoi avversari politici, ma alla fine Joe Biden ha dato seguito alla sua promessa: gli Stati Uniti hanno condotto una serie di raid aerei in Siria e in Iraq, colpendo oltre 85 obiettivi. Si tratta della risposta all'attacco che domenica scorsa ha ucciso tre soldati Usa in una base in Giordania. Oggi come allora, sullo sfondo c'è l'Iran e il rischio di un'escalation militare nel Medio Oriente che porti a un confronto diretto tra Washington e Teheran.

Iraq e Siria si aggiungono a Gaza e Yemen: i fronti del conflitto con l'Iran 

L'attacco ai militari statunitensi in Giordania era stato infatti rivendicato dal gruppo Resistenza islamica, un'organizzazione cappello nata all'indomani dell'attentato di Hamas in Israele e che riunisce milizie in Iraq e Siria che vengono sostenute a distanza dall'Iran. A dare loro manforte c'è la Forza Quds, una ramificazione delle Guardie rivoluzionarie di Teheran. E sarebbe stata proprio la Forza Quds a finire nel mirino dei raid Usa di queste ore. 

L'Iran, che ha finora negato qualsiasi coinvolgimento nell'attacco in Giordania, ha anche smentito la notizia secondo cui le sue Guardie rivoluzionarie siano state bombardate in Iraq e Siria: "Le notizie di Washington su un attacco contro la Forza Quds in Siria sono false. Si tratta di una chiara aggressione contro la Siria e l'Iraq che mina la stabilità della regione", si è limitata a dire Teheran.

I raid aerei Usa su Siria e Iraq

La sensazione è che in questo momento né gli Usa, né l'Iran vogliano impegnarsi in uno scontro diretto. Il presidente Biden ha più volte ribadito la sua volontà di fermare l'escalation in Medio Oriente, per arrivare a una tregua a Gaza che faccia ripartire i negoziati tra Israele e Autorità palestinese. Il primo campanello d'allarme dell'escalation sono stati gli attacchi a navi container e petroliere occidentali nel Mar Rosso da parte degli Houthi dello Yemen, altro gruppo sostenuto da Teheran. Attacchi a cui Washington ha risposto con una pioggia di raid "mirati" e non allargati anche all'Iran. 

Il secondo rischio di escalation è adesso tra Iraq e Siria, lì dove i soldati Usa sono diventati sempre più obiettivo di attacchi dalle forze che vorrebbero scacciarli dalla regione (oltre 160 dallo scoppio della guerra a Gaza). In Iraq, una larga fetta dei leader politici chiede che gli Stati Uniti abbandonino le ultime postazioni nel Paese. In Siria, Washington sostiene di avere circa 900 soldati che stanno lavorando a fianco delle forze democratiche siriane curde per sconfiggere lo Stato islamico. Ma a dare loro manforte ci sono anche i 4.000 soldati stanziati in Giordania, che sono stati presi di mira dall'attacco di domenica scorsa.

Anche in questo caso, il presidente Usa non ha reagito immediatamente e ha voluto rispondere con raid "mirati". Lo ha fatto nonostante la pioggia di critiche dei repubblicani, che vedono nelle difficoltà in Medio Oriente un'occasione per indebolire l'immagine di Biden (già in crisi del resto) e lanciare ancora più la rincorsa alla Casa bianca di Donald Trump. Per il momento, l'anziano presidente, che fa della sua competenza in politica estera uno dei suoi punti di forza, non si sta facendo trascinare nella mischia, e non cede alle pressioni repubblicane. La sua speranza si chiama tregua a Gaza: la fine del conflitto, nell'ottica di Biden, potrebbe portare alla normalizzazione dei legami israelo-sauditi, alla creazione di uno Stato palestinese e alla riduzione dell'influenza dell'Iran nella regione. Un successo diplomatico da rivendicare in vista delle elezioni presidenziali di fine anno.

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