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Sabato, 27 Aprile 2024
Il fenomeno / Kenya

Il Paese che ha un problema con le punizioni corporali a scuola

Bambini picchiati fino al coma, o addirittura uccisi dai loro insegnanti. Una pratica vietata, ma che viene considerata ancora utile ai fini educativi

Picchiato fino a entrare in coma per aver rubato del pane dalla mensa scolastica. O peggio, venire uccisa per un'acconciatura considerata non consona. Non siamo nell'Iran dei fondamentalisti islamici, ma nella cristianissima Kenya. Dove le punizioni corporali a scuola, introdotte proprio da missionari e colonizzatori per imporre la loro autorità, sono un fenomeno sempre più preoccupante che il governo fa fatica ad estirpare. 

L'ultimo caso è quello di Caleb Mwangi, 13 anni. Il ragazzino aveva fame, e aveva pensato bene di prendere del pane extra e del the alla mensa della sua scuola, il Gremon education center di Bamburi, vicino a Mombasa. Quando è stato scoperto, è stato pestato così selvaggiamente da finire in coma. Il padre ha raccontato alla tv britannica Bbc che il figlio aveva ferite così profonde che il chirurgo ha dovuto rimuovere grandi pezzi di pelle dalle cosce da utilizzare come innesti cutanei. Dopo 11 giorni di terapia intensiva, Caleb ha ripreso conoscenza a ha denunciato la preside, Nancy Gachewa: sarebbe stata lei a picchiarlo e a ordinare ad altri studenti di fare lo stesso. 

A Caleb è andata pure bene, visto che oggi può raccontare il trauma subito. Negli ultimi cinque anni, i media locali hanno riportato più di 20 studenti morti a causa delle punizioni corporali a scuola. Tra questi potrebbe esserci la quindicenne Ebbie Noelle Samuels: il 9 marzo 2019 sua madre fu chiamata dalla segretaria dell'istituto, la Gatanga di Muranga, cittadina a 60 chilometri da Nairobi, la quale le aveva comunicato che la figlia si era sentita male ed era stata trasportata al vicino ospedale. Quando è arrivata, Ebbie era già morta. La scuola ha detto che si era trattato di un malore, ma sulla testa aveva una ferita profonda che non era compatibile con una caduta, ma piuttosto con un corpo contundente. 

Quando la madre ha cominciato a indagare da sola, diversi studenti le hanno raccontato che Ebbie era stata picchiata dalla vicepreside a causa del modo in cui portava i capelli. La vicepreside è stata arrestata lo scorso gennaio, quasi quattro anni dopo il presunto omicidio, ma ha negato le accuse. "Farò tutto quello che devo fare finché sarò viva per garantire che sia fatta giustizia per mio figlia", assicura la madre di Ebbie. 

"Le punizioni corporali nelle scuole hanno una lunga storia in Kenya, risalente all’epoca in cui missionari e colonizzatori vi facevano affidamento per affermare la loro autorità", ricorda la Bbc. Nel 2001, il governo di Nairobi ha vietato questa pratica, ma per molti insegnanti e presidi, ma anche per tanti genitori, si tratta di una pratica necessaria per l'educazione di ragazzi e ragazze.

Organizzazioni ufficiali come la Teachers service commission, che si occupa della formazione e dell'assunzione degli insegnanti nelle scuole, o ong come la Beacon Teachers Africa, stanno cercando di affrontare questo fenomeno. Robert Omwa è uno dei 3mila professori della ong Beacon in Kenya, e insegna ai colleghi come gestire le classi senza ricorrere alle punizioni corporali: "All'inizio ero scettico al riguardo - racconta alla Bbc - Pensavo che questa fosse l'ideologia occidentale, un bambino africano deve essere picchiato. Ma quando l'ho provato, mi sono sentito sollevato, più leggero". Secondo i dati interni della Teachers service commission, negli ultimi tre anni le denunce di pestaggi gravi sono più che quadruplicate. Ma il grosso dei casi resta ancora all'interno delle mura scolastiche. 

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