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Lunedì, 29 Aprile 2024

Dimenticate il Green deal, ora l'Europa indossa l'elmetto

Dall'Europa della rivoluzione verde a quella con l'elmetto il passo è stato breve. Nel giro di pochi anni, il Green deal, il grande progetto per la transizione ecologica dell'Ue, sembra già passato in secondo piano nella lista delle priorità, a Bruxelles come nelle capitali del continente. Oggi, le parole chiave sono sicurezza e difesa.

La svolta, a dire il vero iniziata da qualche tempo, è stata ufficializzata dalla presidente Ursula von der Leyen nei giorni scorsi. Nel 2019, quando venne nominata alla guida della Commissione europea (lasciando il precedente incarico di ministra tedesca della Difesa), la priorità numero uno doveva essere la doppia transizione ecologica e digitale dell'economia del continente. Sicurezza e difesa erano relegate a un paragrafetto nascosto della sua "agenda per l'Europa". Tutto il contrario di quello che è emerso dalle parole della leader Ue quando il 21 febbraio ha delineato ai giornalisti di Bruxelles i punti cardine della sua candidatura per un secondo mandato. 

La fine del Green deal

Del Green deal non vi è più traccia: in 27 minuti di conferenza stampa, la presidente di quella Commissione che sarebbe dovuta passare alla Storia per la rivoluzione verde, non ha citato neppure una volta il piano per la transizione ecologica. Al suo posto, ci ha pensato Manfred Weber, il leader del Ppe, il partito dei popolari di centrodestra, il quale sta lavorando da tempo a riformulare il Green deal rompendo l'asse con centrosinistra e verdi, e con l'appoggio dei conservatori di Giorgia Meloni e, se del caso, anche dei sovranisti di Matteo Salvini e Marine Le Pen (sempre più in alto nei sondaggi in vista delle elezioni europee di giugno).

I primi risultati si sono avuti in questi mesi: la legge sui pesticidi è stata cassata, quella per la ristrutturazione degli edifici è stata annacquata, al pari delle norme sugli imballaggi. Anche una delle misure simbolo della transizione ecologica, lo stop alle auto a benzina e diesel, fissato per il 2035, rischia di venire rinviato, come annunciato dalla stessa von der Leyen. Ma il muro contro cui il Green deal si è scontrato, uscendone con le ossa rotte, è quello dell'agricoltura: dei 27 testi annunciati nell'ambito della strategia Farm to fork (il corollario agricolo del piano green dell'Ue) è rimasto ben poco, checché ne dicano i trattori e le organizzazioni di settore. Adesso, la parola chiave è competitività, il che tradotto, secondo le ong ambientaliste, vuol dire consentire all'industria inquinante di continuare a portare avanti il suo modello di business senza troppi vincoli ecologisti. 

Corsa alle armi

La altre parole chiave del nuovo corso dell'Europa, come dicevamo, sono difesa e sicurezza. Von der Leyen, annunciando la sua candidatura, le ha citate ben 12 volte. "Vogliamo rafforzare la democrazia dell'Europa e dell'Unione Europea e vogliamo affrontare tutte le sfide che ci circondano, ma in modo che i cittadini sappiano che all'interno dell'Unione Europea c'è sicurezza e protezione per loro", ha detto. Come? Attraverso il consolidamento della "nostra base industriale della difesa", ha spiegato, aggiungendo di voler istituire il primo commissario Ue con un portafoglio specifico sulla difesa.

Il piano della presidente della Commissione, che ha trovato l'apprezzamento entusiasta del governo italiano, è giungere a una strategia della difesa comune che abbia un ruolo focale nell'agenda Ue come l'ha avuta il Green deal fino a poco tempo fa. Uno dei punti di questo piano è aumentare gli acquisti congiunti di armi, che oggi sono fermi al 18% dell'intera spesa in armamenti dei 27 Stati Ue, ma anche convogliare sempre più risorse verso la produzione bellica, comprese quelle della ricerca (come del resto già avvenuto con la recente rimodulazione del bilancio europeo). Non tutte le capitali sono d'accordo, e la Nato teme di venire messa in secondo piano. Ma al netto degli equilibri di potere intorno alla gestione della difesa, tutti concordano sulla necessità di aumentare gli investimenti nel settore.  

Non che i Paesi europei non l'abbiamo già fatto. Dall'inizio della guerra in Ucraina e dinanzi alle minacce crescenti della Russia di Vladimir Putin e di un disimpegno degli Usa (leggasi Donald Trump) dalla difesa del continente, la spesa dei membri Ue della Nato in armi e personale militare è passata da 218 miliardi di euro nel 2022 a 262 miliardi nel 2023. E per il 2024 è attesa una crescita ulteriore (si stima sui 330-350 miliardi). Nel giro di un biennio, i governi del blocco sono riusciti a tirare fuori dai loro bilanci ben oltre 100 miliardi di euro in più. Per il Fondo sociale per il clima, il pacchetto di risorse che dovrà fornire sostegno economico ai cittadini e alle imprese più colpiti dalla transizione ecologica (si pensi ai sussidi per l'acquisto dell'auto elettrica), i 27 hanno concordato un investimento di 65 miliardi. Per 7 anni.

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