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Venerdì, 26 Aprile 2024

L'analisi

Fabrizio Gatti

Direttore editoriale per gli approfondimenti

Giorgia Meloni è capace di governare?

Non è stato un bell'inizio per Giorgia Meloni. Non tanto per la sostanza delle scelte del suo governo, quelle erano prevedibili. Ma per la serie di gravi errori di grammatica politica, diplomatica e giuridica che ha commesso. Lo scontro con la Francia ne è il risultato più grave. E ora che la leader di Fratelli d'Italia deve affrontare questioni più impegnative in campo economico e previdenziale, il rischio di nuovi pasticci è dietro l'angolo. All'orizzonte dell'alleanza Meloni-Salvini-Tajani potrebbe insomma prendere forma lo spettro del caso Liz Truss, premier britannica da settembre a ottobre 2022, costretta alle dimissioni per l'eccesso di errori. Così, anche intorno a Palazzo Chigi, ci si sta già chiedendo: quanto durerà?

Il tema delle capacità di Giorgia Meloni come presidente del Consiglio è stato ben analizzato su queste pagine da Dario Prestigiacomo e Stefano Pagliarini. Dalla leader della coalizione di destra, che ha avuto la presunzione di far cacciare Mario Draghi, è auspicabile che gli italiani pretendano altrettanta competenza e altrettanto merito. Al contrario, lo scontro tra Roma e Parigi è accompagnato dal tifo cieco dei suoi sostenitori. Esattamente come se ci trovassimo di fronte alla finale del Mondiali 2006, quando l'Italia vinse ai rigori proprio contro la Francia.

Quella in corso, però, non è una partita a calcio. E questa volta, nemmeno il punteggio è a nostro favore. A cominciare dal rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo: 113,1 per cento per la Francia, 150,2 per l'Italia. Giorgia Meloni e tutti noi, proprio per questa ragione, abbiamo bisogno di alleati in Europa e non di avversari. Ma l'aspetto forse ancor più sorprendente, stando alle loro dichiarazioni, è il fatto che né la premier, né il ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi, sembrano rendersi conto degli errori commessi. Tre, a mio parere, sono i più gravi.

Tradire Macron

Primo errore: aver tradito la fiducia personale del presidente Emmanuel Macron. Non possiamo comprendere la dura reazione francese di questi giorni, se non torniamo al 23 ottobre. Quella domenica, ventiquattro ore dopo il giuramento del nuovo governo italiano nelle mani del presidente della Repubblica, Macron vola a Roma. È il primo leader europeo a incontrare Giorgia Meloni. Una disponibilità, la sua, che dà fiducia al nuovo corso italiano, anche davanti alle perplessità di una parte della politica francese. In altre parole, il presidente Macron ci ha messo la faccia. Il comunicato di Palazzo Chigi descrive un confronto cordiale e proficuo: “Sono stati discussi tutti i principali dossier europei: la necessità di dare risposte veloci e comuni sul caro energia, il sostegno all'Ucraina, la difficile congiuntura economica, la gestione dei flussi migratori”.

Ma due settimane dopo, l'8 novembre, un altro comunicato di Palazzo Chigi mette Macron con le spalle al muro e scatena la reazione del governo francese. Sono i giorni del braccio di ferro, sul mancato sbarco di 230 profughi, tra il governo italiano e la nave Ocean Viking dell'organizzazione di soccorso europea Sos Méditerranée. “Esprimiamo il nostro sentito apprezzamento per la decisione della Francia di condividere la responsabilità dell’emergenza migratoria... aprendo i porti alla nave Ocean Viking”, scrive quel giorno la presidenza del Consiglio. Forse non c'è malizia da parte dello staff di Giorgia Meloni, solo un malinteso nell'interpretare l'esito di un incontro tra la premier e il presidente francese, a margine del vertice sul clima a Sharm el-Sheikh. Ma a certi livelli, gli errori non sono ammessi. Malizia o malinteso che sia, Parigi smentisce l'esistenza di un accordo in questo senso e risponde con severità. La questione è estremamente delicata anche in Francia. La destra francese, molto vicina a Giorgia Meloni, attacca quotidianamente Macron e il governo, anche quando devono accogliere migranti dall'Italia.

Senza diplomazia

Secondo errore: Giorgia Meloni accusa la Francia di aggressività. Divergenze e contrasti tra Stati membri sono normali. Ma vanno prima affrontati attraverso la diplomazia e i canali di Bruxelles. L'Unione Europea è nata anche per questo. La premier sceglie invece di rispondere di persona al governo francese durante una conferenza stampa: “Sono rimasta molto colpita dalla reazione aggressiva del governo francese, incomprensibile e ingiustificabile”, dichiara il 12 novembre. Un premier non esprime opinioni personali. La sua voce diventa inevitabilmente la versione ufficiale del governo italiano. E, piuttosto che raffreddare i toni, Giorgia Meloni preferisce accusare Parigi.

Terzo errore: considerare centrale il ruolo delle navi di soccorso delle Ong nelle partenze di barconi dalla Libia. Un'interpretazione, fatta propria dal governo italiano, sostiene che il basso numero di persone sbarcate nel 2018 (23.370) e nel 2019 (11.471), rispetto agli anni precedenti e successivi, sia dovuto alla chiusura dei porti italiani alle navi di soccorso deciso dall'allora ministro dell'Interno, Matteo Salvini. Quindi, secondo l'attuale ministro Piantedosi, oggi basterebbe ripetere l'operazione per ottenere lo stesso risultato. Purtroppo è una visione semplificata utile a conquistare voti e consenso, ma che non ha riscontro nella realtà.

I tre fattori chiave

Anni fa ho avuto l'occasione, durante una mia inchiesta sotto copertura, di farmi reclutare come autista personale da un trafficante di uomini vicino a Sfax in Tunisia. E così gli sono rimasto accanto giorno e notte. Quello che ho visto con i miei occhi è che le partenze dipendono soltanto da tre fattori: il numero di passeggeri pronti a imbarcarsi in prossimità della costa, il numero di imbarcazioni disponibili (barchini, gommoni, pescherecci), le condizioni meteorologiche. Ne è prova la statistica di quest'anno. Sul totale delle persone sbarcate in Italia dal primo gennaio, le navi delle organizzazioni non governative ne hanno salvate e portate in porto più o meno una ogni dieci. Il 26 ottobre, come scrive Andrea Maggiolo, erano diecimila su 79.000: il 12 per cento. Ha senso scatenare una guerra diplomatica, quando lo scontro con la Francia per 230 profughi lascia irrisolto il rimanente 88 per cento? La maggioranza continuerà infatti ad arrivare direttamente o attraverso il soccorso di navi mercantili e della nostra guardia costiera.

Altri errori, in questo caso giuridici, infarciscono il primo decreto del governo, quello sui rave-party già finito davanti alla Corte costituzionale per presunta illegittimità di uno dei suoi articoli. Ma il confronto con la Francia è il dossier più urgente, poiché potrebbe avere conseguenze sulla filiera economica che ci lega a Parigi. Vedremo da questa settimana se e come Giorgia Meloni riuscirà a liberarsi dal vicolo cieco nel quale ha portato l'Italia. Scopriremo anche se il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha idee nuove per affrontare la crisi migratoria coinvolgendo i governi dei Paesi d'origine, affinché i loro connazionali non vengano in Europa passando dalla Libia. La rotta del Mediterraneo centrale resta oggi per migliaia di persone l'unica uscita d'emergenza. Dei tre fattori che determinano le partenze, il meteo e la disponibilità di imbarcazioni non dipendono ovviamente da noi. Ma la politica estera italiana ed europea possono certamente incidere sul numero di passeggeri pronti a imbarcarsi.

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