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Venerdì, 26 Aprile 2024

Massimiliano Tonelli

Direttore Editoriale CiboToday

Quello strano senso di Giorgia Meloni per la meritocrazia

Non si è limitata a far esordire il concetto nella nuova denominazione del Ministero dell’Istruzione, da oggi Ministero dell’Istruzione e del Merito. Giorgia Meloni ha ribadito la cosa anche durante il suo discorso programmatico reso in Aula. E lo ha fatto più volte, convintamente. Ha parlato di “talento”, ha utilizzato il termine “meritocrazia”, ha promesso che questo approccio “libererà le migliori energie” del Paese - ops, della Nazione - e ha assicurato che questo si farà anche se si dovessero “scontentare alcuni potentati”. 

Come si fa ad essere meritocratici e difendere le lobby?

Beh, come si fa a non condividere? Senza eccessi ed estremismi, questa cura da cavallo è proprio ciò che serve all’Italia probabilmente. Già, peccato che fuori dai buoni propositi e dai discorsi solenni, l’applicazione pratica di tutto questo potrebbe sconfessare qualsiasi afflato thatcheriano. 

Come si concilia infatti la ricerca del merito con la lotta alla concorrenza che è lo strumento principe per misurare il merito stesso? Come si concilia l’atteggiamento ostile verso le liberalizzazioni? Come può essere meritocratico un settore come quello dei taxi dove, in cambio di un servizio non sempre all’altezza, titolari di licenze pubbliche ostacolano al rilascio di ulteriori licenze per non rischiare di perdere il valore delle loro? Come si può liberare energie e poi opporsi coltello in bocca alla Direttiva Bolkestein che punta proprio a disarticolare i lacci che imbrigliano l’economia? 

“Non ci tireremo indietro nel fare scelte che non dovessero essere capite nell’immediato da alcuni cittadini perché il coraggio non ci difetta”, ha detto Meloni a Montecitorio. Il coraggio però di dire la verità sulle concessioni balneari non c’è mai stato da parte del suo versante politico. Pezzi pregiatissimi di Stato consegnati in cambio di due soldi ad operatori privati che vi guadagnano sopra milioni, senza neppure la possibilità di tornarne in possesso per assegnarli a migliori offerenti. Un giovane oggi che voglia fare impresa in Italia trova, indipendentemente dal suo merito, più ostacoli che in qualsiasi altro paese europeo proprio a causa delle corporazioni medievali sistematicamente difese a spada tratta dal partito dalla nuova Prima Ministra. L’unica maniera per innescare un’autentica meritocrazia è liberare l’economia da questi ostacoli che dovunque in occidente sono stati superati da  tempo.

Strizzare l’occhio agli evasori è meritocrazia?

E non ci si ferma solo ai tassisti, agli ambulanti o ai balneari, si scende giù giù fino alla categoria elettoralmente più appetibile: quella dei piccoli evasori. Ai quali è stato comunicato, con grande chiarezza, di star tranquilli. Raccontando al Parlamento la solita filastrocca delle grandi multinazionali e delle enormi truffe fiscali. Peccato che il problema dell’Italia sia proprio la somma di milioni di piccole micro evasioni: un autentico furto allo stato e una violenza a chi si comporta onestamente. 

In che modo possiamo chiamare “meritocrazia” il paventato allentamento della guardia sulla piccola evasione fiscale? “La nostra nazione si è collocata al punto più basso per crescita economica in Europa” ha tuonato Meloni. E ha ragione. L’Italia fa fatica a crescere perché la sua economia è un groviglio veterocorporativo, perché lo stato non incentiva i cittadini a comportarsi in maniera rigorosa, perché un giovane che vuole fare la professione del tassista o vuole investire in uno stabilimento balneare semplicemente non può farlo visto che in questi e in altri settori produttivi è la clientela politica ad essere determinante non certo il merito. In Lega ha già depositato una proposta per alzare a 10mila euro la quota di pagamenti in contanti. Magari a breve arriverà anche il condono edilizio. La bizzarra meritocrazia degli abusivi, degli evasori, dei privilegiati, dei miracolati dalle concessioni pubbliche.

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