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Lunedì, 29 Aprile 2024

Marò, cinque milioni per lasciarli prigionieri in India

Sono più di due anni che Salvatore Girone e Massimiliano Latorre sono bloccati in India per l'omicidio di due pescatori indiani. Intanto l'Italia ha speso cinque milioni di euro in avvocati. Ma i risultati non si vedono

ROMA - Hanno passato tre mesi in una cella del Kerala. E più di due anni ai "domiciliari" presso l'ambasciata italiana a New Delhi. Giorni, mesi, anni di paura, ansia, terrore per una storia che sembra non avere mai fine. Solo qualche intermezzo, come il ritorno in Italia per il voto, poi di nuovo a pie' pari nell'incubo. Sempre di più. Dalla minaccia dell'applicazione del "Sue Act", la legge antipirateria indiana che prevede la pena di morte per l'omicidio, alla battaglia per l'internazionalizzazione del caso e del processo, passando per l'onta di un esame sostenuto via Skype. E' stato, ed è, un lungo tunnel buio per Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i due fucilieri di marina italiani trattenuti in India per l'omicidio - il 15 febbraio 2012 - di due pescatori indiani al largo del Kerala. E' stato, ed è, un lungo tunnel buio anche per l'Italia - che intanto ha cambiato tre governi: Monti, Letta, Renzi - fatto di fallimenti, improbabili prove di forza. E sprechi.

Sì, perché, dal febbraio del 2012 l'Italia ha speso ben cinque milioni di dollari - circa 3,6 milioni di euro - per la difesa dei due marò. In stragrande maggioranza i soldi sono serviti a pagare le costose parcelle degli avvocati indiani che hanno rappresentato i fucilieri e in minima parte come anticipo del baronetto inglese ingaggiato per intraprendere la via dell'arbitrato internazionale. Soldi che, alla luce degli eventi, sono stati finora buttati. 

A fare i conti è Il Giornale che attacca:  

Un esborso assurdo tenendo conto dei risultati raggiunti fino ad ora, poco superiori allo zero. Non solo: Mukul Rohatgi, il principe del foro più costoso dell'India assoldato dall'Italia, il 28 maggio è stato nominato procuratore generale del nuovo governo di Narendra Modi, il politico nazionalista mangia marò. Oltre al danno milionario si è aggiunta la beffa.

Di risultati, però, neanche l'ombra. L'unico successo degli avvocati indiani, per ora, è stato quello di far ottenere ai militari italiani i "domiciliari" in ambasciata. Poi nulla più. Eppure la liste delle parcelle, e degli studi legali che le hanno intascate, è bella lunga. Prima lo studio Titus & Co di Nuova Delhi, che annunciava di aver schierato ben nove legali sul caso dei marò. Poi l'avvocato Mukul Rohatgi, uno dei dieci legali più pagati dell'India, che è finito a lavorare per chi i marò - il premier Modi - vuole bloccarli in India. Quindi, carta della disperazione, lo studio legale di Sir Daniel Behtlehem, principe del foro britannico, che ha schierato tre avvocati sul caso, i quali dovrebbero essere a loro volta affiancati da altri sei colleghi italiani.

"Al momento le spese per gli avvocati indiani ed i nuovi legali britannici si aggirano sui cinque milioni di dollari - confessa una fonte di governo a Il Giornale - Il costo è stato suddiviso fra il ministero della Difesa e quello dell'Interno, che ha un capitolo apposito per questi casi". Tanti soldi ma poche idee chiare. 
 

"È sempre stato un errore battere sulla giurisdizione indiana. Bisogna imboccare decisi la strada dell'arbitrato davanti ad un giudice internazionale - spiega sempre a Il Giornale, Angela Del Vecchio, esperta di diritto internazionale -. Abbiamo atteso due anni e mezzo e adesso che il nostro avvocato difensore è diventato procuratore generale a Delhi stanno valutando se ricominciare da zero. Basta, tagliamo questo nodo gordiano e passiamo con decisione all'arbitrato".

Questa dovrebbe essere la strada che seguirà il nuovo pool italo-inglese scelto dal governo. Ma per ora l'India fa "orecchio da mercante". E all'Italia non resterà che alzare la voce. E, magari, abbassare le spese. 

Fonte: Il Giornale →
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