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Sabato, 27 Aprile 2024
Misteri del mondo animale

Perché alcuni animali, come i cavalli, hanno il muso così lungo

Una ricerca australiana sembra chiarire un vecchio mistero della biologia: perché alcuni mammiferi hanno il muso molto lungo, e altri molto corto? La spiegazione chiama in causa un mix di dieta e dimensioni corporee

Alcuni animali hanno musi estremamente lunghi. Altri, tozzi e corti. Come mai? La scienza se lo chiede da tempo, perché la spiegazione è meno banale di quanto si potrebbe pensare. Non basta infatti guardare alla dieta, alle parentele genetiche, o alle dimensioni di un mammifero come il cavallo, per trovare la chiave evolutiva che lo ha dotato del suo lungo muso. Un team di ricercatori australiani ritiene però di aver trovato la soluzione di questo enigma evolutivo: gli animali con il muso più lungo – spiegano nel loro ultimo lavoro, appena pubblicato sulla rivista Biological Reviews – sono così perché, semplicemente, possono permetterselo. Che cosa intendono? Vediamolo insieme. 

Il mistero

Come dicevamo, la lunghezza del muso dei mammiferi è un tema che intriga gli scienziati da molto tempo. E questo perché osservando il mondo animale, si osserva un pattern piuttosto regolare: all’interno di un gruppo di specie vicine tra loro sotto il profilo evolutivo, gli animali di dimensioni maggiori tendono ad avere il muso più lungo di quelli di taglia minore. Pensiamo ai bovidi, famiglia di cui fanno parte erbivori molto diversi tra loro come le pecore, dal muso corto e di dimensione contenuta rispetto ai bovini loro parenti, che guarda caso hanno musi molto lunghi. O ancora, ai cervidi, in cui i caprioli hanno musi corti e taglia piccola, mentre le enormi alci hanno musi lunghi e affusolati. 

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In inglese viene chiamata “craniofacial evolutionary allometry” (allometria craniofacciale evolutiva), e sono state proposte diverse teorie per spiegarla. Una delle più recenti propone di pensare all’allungamento del muso come una caratteristica collegata in modo innato allo sviluppo del cranio dei mammiferi, qualcosa che avviene inevitabilmente all’aumentare delle dimensioni del cranio. Il problema – come fanno notare gli autori del nuovo studio – è che non tutti i mammiferi rispettano questa regola. 

Le orche ad esempio appartengono alla famiglia dei delfinidi, di cui rappresentano la specie di dimensioni maggiori, e hanno il muso più tozzo rispetto ai normali delfini, di taglia molto più piccola. Lo stesso vale per i diavoli della Tasmania, membri della famiglia dei dasiuiridi di cui fanno parte molti piccoli marsupiali dal muso allungato, e per le lontre marine, mustelidi dal muso molto più schiacciato di tante specie imparentate di piccole dimensioni, come gli ermellini. La dimensione relativa del corpo, insomma, non sempre è correlata alla lunghezza del muso. E i ricercatori australiani ritengono di avere una spiegazione più convincente. 

Dieta, ma non solo

Per iniziare, i ricercatori fanno notare che gli animali strettamente imparentati tra loro tendono ad avere un’alimentazione simile. Pecore e mucche mangiano erba, così come caprioli, cervi e alci. Al contempo, gli animali di piccole dimensioni hanno muscoli e ossa naturalmente più corti delle loro controparti di taglia extralarge. E se per un bue o un’alce masticare vegetali non richiede grandi sforzi, vista la loro dimensione, per una pecora è più faticoso, e farlo con un muso allungato richiederebbe uno sforzo maggiore dei muscoli della mandibola, posti a grande distanza dai denti. Per questo – ipotizzano i ricercatori – in questi casi gli animali di taglia più piccola tendono a sviluppare con l’evoluzione musi schiacciati, che ottimizzano la potenza del loro morso. Mentre quelli di grandi dimensioni, naturalmente dotati di forza maggiore, non subiscono pressioni evolutive. A patto, ovviamente, di avere la stessa dieta dei parenti più piccoli. 

Se l’alimentazione cambia, mutano anche le esigenze anatomiche degli animali. Le orche ad esempio sono grandi predatori marini, mangiano mammiferi, pesci di grandi dimensioni e persino altri cetacei, e hanno quindi bisogno di mordere con molta più forza, anche in proporzione alla loro taglia, rispetto ai delfini, che si nutrono di prede di piccole dimensioni. Per questo il loro muso avrebbe subito una pressione selettiva che lo ha accorciato, potenziandone il morso. Lo stesso si può dire dei lupi, che hanno il muso più corto delle piccole volpi, e cacciano prede molto più grandi. E anche dei diavoli della Tasmania, celebri per la potenza del loro morso, capace di spezzare anche le ossa di un essere umano. 

Secondo la nuova teoria, insomma, gli animali con il muso allungato sono il risultato di un’evoluzione che non ha avuto necessità di potenziare le capacità di masticazione. Se il muso di un animale è invece più corto di quello di specie imparentate di dimensioni più piccole, deve aver subito una pressione selettiva per incrementarne la potenza. “La nostra analisi di 22 famiglie di mammiferi – sottolinea Vera Weisbecker, ricercatrice della Flinders University che ha partecipato allo studio – ha dimostrato che quando un mammifero di piccole dimensioni ha il muso più lungo dei suoi parenti di taglia più grande, è praticamente sempre possibile identificare un corrispondente e radicale cambiamento nella sua alimentazione”. 

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