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Venerdì, 26 Aprile 2024
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L'anti Superlega: la romantica storia di sudore e follia dell'Atlético Nacional di Higuita

Una squadra di soli colombiani; passione, tifo sfrenato e un portiere folle e fenomenale. Come il calcio può e sa essere l'altra metà dell'universo di "Call of Duty"

Mercoledì 31 maggio del 1989 quasi 50mila persone invadono le tribune e le strade attorno allo stadio El Campin di Bogotá, in Colombia. 30mila arrivano lì dopo dieci ore di viaggio in "carretera" dalla città di Medellín. Magliette verdi e bianche ammucchiate fuori dal tempio del pallone della capitale. Gente con bandiere in mano e biglietti in tasca o, per lo meno, la speranza di trovarne uno da comprare all'ultimo minuto. Anche pagandolo a un prezzo ingiusto.

Il calcio legato al terriorio dell'Atlético Nacional

Dopo ore d'attesa, finalmente, il fiume umano varca la soglia di quella che solitamente non è "casa" per la loro squadra ma che eccezionalmente per quell'unica partita, la più importante di sempre, lo sarebbe stata. L'Atlético Nacional di Medellín, un club che da un paio di anni è tornato all'idea romantica dei suoi fondatori - quella di tesserare soltanto calciatori colombiani - ha dimostrato che si può fare: lavoro sul territorio, successi sportivi e quindi economici, sono possibili senza dover per forza strafare. Solo sudore, passione per lo sport e meritocrazia. La compagine del dipartimento di Antioquia sta mostrando all'intero continente che la regione non è solo Cartello di Pablo Escobar: che pure ci prova, fallendo, a interferire con l'andamento di alcuni arbitraggi. Fatti denunciati nel tempo dagli stessi protagonisti.

Lo Verdes devono ribaltare il risultato della finale d'andata ad Asunción, in Paraguay, dove la blasonata Olimpia ha sconfitto i "Puros Criollos", come è denominata dalla stampa la squadra di soli colombiani, per 2 a 0. I pronostici sono ostici per gli uomini guidati Francisco Maturana, Pacho, un ex calciatore divenuto dentista ma soprattutto stratega del rettangolo verde. La cavalcata finisce come meglio poteva per la squadra di casa. Come non era mai successo nella storia dell'intera Nazione. René Higuita, John Jairo Carmona, Luis Perea, Andrés Escobar, Gildardo Gómez, Leonel Álvarez, Alexis García, Luis Fajardo, Jaime Arango, Albeiro Usuriaga, John Jairo Trellez, e poi Felipe Pérez, Níver Arboleda, hanno sancito che una scelta drastica - come quella di giocare solo con piedi e teste nate in un certo territorio - può anche pagare.

Higuita, emblema di un progetto e idolo di Medellín

Al termine dei novanta minuti di gioco, i cafeteros hanno portato la doppia sfida sul 2 a 2. La cavalcata inaspettata che da seconda classificata al torneo locale nel 1988, dietro a Millonarios, li ha portati a poter scrivere il proprio nome sulla Libertadores, massima competizione per club in Sudamerica, è arrivata a un punto decisivo. Un punto di gesso, posto a undici metri di distanza da quella rete di nylon da far gonfiare con la palla. Quel momento nel quale conta un po' meno anche l'essenza stessa del calcio, ovvero il gioco di squadra. Vera forza degli uomini di Pacho che del possesso palla - la "tocata verde" - aveva fatto una religione da contemplare e venerare a suon di «olé».

Nella solitudine dei calci di rigore a far sentire tutti un po' più uniti ci pensa uno che negli anni sarebbe diventato un idolo internazionale. "El loco", René Higuita. Folle perché in campo lo era davvero: portiere che con la palla tra i piedi era in grado di dribblare avversari e avanzare fino ai limiti dell'altra area. Rischiando tanto, a volte sbagliando, spesso azzeccando ma sempre emozionando tifosi e appassionati. Higuita, nato e cresciuto in uno dei quartieri più difficili di Medellín: Castilla. Dove in tanti lo ricordano ancora da ragazzino nei tornei per strada e nei campetti di terra. Un rione nel quale non solo non è mai stato dimenticato ma dove ha sempre fatto ritorno, arricchendo quell'intreccio di racconti e leggende che alla fine fa innamorare le persone al calcio e all'umanità spesso miticizzata dei professionisti dello sport.

Vivai, tifosi e territorio: assenti nel progetto della Super League 

Una storia, quella di quello che furono i Verdolagas in quegli anni, talmente legata al territorio e ai tifosi che sembra nata esclusivamente dal basso. Anche se, ovviamente, dietro c'era una società sportiva, allora guidata dal presidente Sergio Naranjo Pérez: tra i principali fautori del progetto "Puros Criollos", a cui nel tempo dopo vari cambi societari, i nuovi dirigenti non sono sempre rimasti fedeli. Una storia, per certi versi, anacronistica pensando al calcio contemporaneo, anche se un ottimo e attualissimo esempio si trova nella Liga spagnola con l'Athletic Bilbao, che dimostra che il successo e il business nel calcio è possibile anche restando "abbracciati" al territorio.

Il recente caso della Super League è parecchio significativo e conferma che la svolta nel calcio non è certo quella di puntare a scimmiottare l'Nba e molto meno i videogames che, al contrario, proprio allo sport giocato si ispirano. Le reazioni diffuse dei tifosi di molte delle stesse squadre fondatrici - Manchester City, Chelsea, Liverpool, Arsenal, Tottenham, Manchester United, Juventus, Milan, Inter, Real Madrid, Barcellona e Atlético Madrid - sono l'evidenza che nella pancia degli stadi l'affetto per il proprio club è prima di tutto legato al senso di sfida - alla pari - in campo. Sia esso locale, regionale, nazionale o internazionale deve essere il frutto di un merito sportivo e non di una posizione economica. Il radicamento, il senso di sfida, la consapevolezza che la vetta la si raggiunge solo per poi iniziare la discesa. Ma soprattutto la "narrazione": è questo ciò che manca alla SuperLega. Perché siamo tutti "fatti di storie", e sono le storie e la loro forza ciò che avvicina un bimbo allo sport più praticato al mondo.

I Verdi di Medellín, che perderanno la Coppa Intercontinentale per 1 a 0 contro il Milan di Arrigo Sacchi, gol di Alberico Evani segnato all'ultimo minuto supplementare, hanno fatto la storia. Nella loro terra di sicuro, dove sull'onda dell'entusiasmo di un progetto così vincente sono aumentati i movimenti sportivi amatoriali e giovanili. Attività che animano e alimentano da dentro l'evoluzione di quello che notoriamente è considerato lo sport più popolare del mondo. Una definizione legata sia alla fama che alla relativa semplicità delle regole e della pratica stessa. Basta un pallone e qualcuno con cui giocare e si abbattono barriere. 

I calci di rigore più emozionanti della storia

Barriere, come quella che l'idolo Higuita non ha piazzato bene contro il calcio di punizione di Evani. Barriere come quella che lo stesso René ha costruito con i suoi guantoni quella sera di mercoledì 31 maggio. I calci di rigore nella finale tra l'Atlético Nacional e l'Olimpia sono tra i più emozionati che gli almanacchi del calcio ricordino. Da quel disco bianco, davanti agli occhi dell'intero continente, sono stati calciati ben diciotto penalty. 

Il primo a calciare è il portiere dell'Olimpia, Almeida, che si fa stoppare dal suo collega colombiano. Poi tocca ad Andres Escobar che fa gol. Lo stesso Escobar che sarà ucciso dopo i Mondiali di Usa '94 quando viveva la fase più bella della sua carriera. 1-0. Poi è il turno del gol di Benítez per i paraguaiani al quale risponde subito "El Paolomo" Usurriaga. Anche lui finisce ucciso dalla violenza della sua terra quindici anni dopo. 2-1. A Chamas dell'Olimpia risponde Tréllez. 3-2. Poi segna Mendoza, ma per i colombiani sbaglia il capitano García. E i conti tornano pari: 3-3. E’ il turno di Amarilla, che non sbaglia, così come non sbaglia lo stesso Higuita, che con un tiro potente e centrale fissa la sfida sul 4-4 al termine dei cinque tiri regolamentari. 

Si va a oltranza: un calcio a testa e chi sbaglia perde. Una condizione in cui si esalta "El Loco". Prima dice "no" a Gonzales, ma il colombiano Pérez la butta contro il palo. Ancora 4-4. Higuita para ancora, stavolta contro Guasch ma Gómez calcia fuori. Sempre 4-4, dopo 14 rigori. Rene "El Loco" para il suo quarto rigore a Balbuena. Incredibilmente il Nacional sbaglia ancora con Perea. Il 4-4 resiste come una maledizione per i cuori dei tifosi sugli spalti e davanti alla tv. E’ il momento di Sanabria che calcia in tribuna il nono rigore dell'Olimpia, Higuita stavolta non si tuffa nemmeno. Preludio del gol finale: Leonel Álvarez dopo una corsa lenta e un tiro di piattone destro alla sinistra di Almeida, gonfia la rete per i padroni di casa. I "Puros Criollos" ne hanno segnati 5 e l'Olimpia 4. Il Nacional di Medellìn vince e con loro vince un progetto calcistico che ancora oggi potrebbe fare scuola.

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