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Sabato, 27 Aprile 2024

Donatella Polito

Giornalista

Caro Lucio ti scrivo, ma non è facile distrarsi un po’

Caro Lucio ti scrivo, così mi distraggo un po’. Che poi fosse facile distrarsi così, col pensiero che te ne andavi dieci anni fa come oggi, a tre giorni da quel 4 marzo che ti aveva battezzato Gesubambino per la gente di un porto a cui l’assenza pesa sempre. 

Da quando sei partito di novità ce ne sono. Grosse come le cose che ancora qui non vanno. 

Chissà se lo sai. Chissà se sai come funziona adesso, che se si esce poco la sera può darsi sia perché il Covid spaventa ancora. Oppure per una serie appena uscita su qualche piattaforma streaming che ti prende così tanto da estrometterti per ore e ore dalla realtà. Da quella vera sicuro, dall’altra, virtuale, non è detto, considerata la prassi di stare davanti a uno schermo e contemporaneamente condividere pensieri e parole in una Piazza Grande tanto, troppo diversa dalla tua. Per esempio, non saresti l’unico a sapere i guai e gli amori degli innamorati, tutti pronti a raccontarli in prima persona ai cari amici con una foto di coppia scattata e pubblicata subito dopo la pronuncia del sì. E poi, in caso, aggiornati pure sull’addio, ché “l’hanno vista bere a una fontana che non era lui, spogliata la mattina, birichina biricò”, ci sono video e foto a dimostrarlo... 

Dal salto nel duemila sono passati ventidue anni e oltre le porte dell’universo, non serve telefonarsi per dirsi. Whatsapp, Telegram, Instagram, Facebook, Tik Tok: questo ci siamo inventati per poter riderci sopra, per continuare a sperare. Uno spazio sconfinato in cui ognuno, a modo suo, colma pure lui il bisogno di carezze, il bisogno di sognare che però riesce sempre più difficile quando la televisione informa di una trasformazione al giorno, al minuto. Altro che nuovo anno. 

È l’era della globalizzazione, della connessione, del click che ti porta dall’altra parte della luna. Eppure, i russi, i russi, gli americani… Gli stessi della Guerra Fredda, del Muro, di quella Futura immaginata bella come una stella fanno parlare ancora. Ancora, sì, nonostante l’Europa, i decenni, nonostante la Storia, oggi le notti sono tornate ad essere di fuoco. Perché il mondo, Lucio, non è che sembra, è fatto di vetro. E adesso davvero sta cadendo a pezzi come un vecchio presepio in mezzo ai razzi e a un batticuore che lento, lento… Magari battesse più lento. 

Siamo gatti neri, pessimisti, siamo i cattivi pensieri. Ma come si fa sennò? Come si fa a confidare mentre la radio manda in onda che uno stato d’emergenza non è nemmeno finito che un altro ne comincia? Le città iniziano ora a muoversi di nuovo come due anni fa, con le piazze e i giardini e la gente nei bar col greenpass, vaccinata una, due, tre volte. Ci siamo pensati arrivati in salute al gran finale, pronti a riprenderci in mano la vita con allegria. E invece quale allegria se piomba un altro dramma collettivo di questo mondo che indubbiamente pare cattivo? I missili, le trincee, la fuga; i bunker, i coprifuoco, tutto sta raccontando che non basta inventarsi la commozione per rimettere d’accordo tutti. Tanto oggi è come ieri.

E adesso che pena, che nostalgia non guardarti negli occhi e dirti la bugia che oggi è diverso, che è Natale tre volte l’anno, si fa festa tutto il giorno e furbi e cretini di ogni età sono spariti senza grandi disturbi. Ma la verità sta in questo materasso di parole scritte apposta per te, living together e stando sempre attenta. Al lupo, ma anche alla sera dei miracoli, ché guai a smettere di crederci.

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