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Venerdì, 26 Aprile 2024
Il punto

Così il governo trova i soldi per armare l'Italia (e la Nato)

Se sarà rispettato l'impegno assunto dal governo il nostro paese potrebbe arrivare a spendere 104 milioni di euro al giorno in armamenti

Portare l'investimento italiano in armamenti dal 1,6 per cento al 2% del prodotto interno lordo: questo l'obiettivo del governo come manifestato dal presidente del consiglio Mario Draghi al Parlamento Italiano. Un impegno preso dal nostro paese in seno all'alleanza atlantica che porterà ad un rafforzamento della Nato ma anche del nascente esercito europeo. 

L'esercito Ue per ora è una brigata. E sarà pronta nel 2025

"Io tengo a mente che i fondatori dell'Unione europea - ha detto Draghi citando De Gasperi - avevano come obiettivo la pace nel continente europeo, e proprio per questo abbiamo progettato la comunità europea di difesa e vogliamo creare una difesa europea. Proprio per questo vogliamo adeguarci all'obiettivo del 2% del Pil, che abbiamo promesso nella Nato" spiega Dragh rispondendo a una sollecitazione della deputata Mara Lapia del Gruppo Misto. 

Ma di quanto aumenterà l'impegno italiano negli armamenti? Se l'Italia rispetterà gli impegni le spese per la difesa in Italia passerebbero dagli attuali 25 miliardi di euro a ben 38, circa 104 milioni al giorno. Tuttavia bene notare come collegare preventivamente un livello di spesa pubblica con un parametro che comprende anche la produzione di ricchezza privata, ed è soggetto a fluttuazioni indipendenti dalle decisioni fiscali, rende del tutto aleatoria e scollegata da reali esigenze la definizione tecnica e concreta di tale spesa. Da dove arriva l'impegno del 2%? L’indicazione di spesa in percentuale del PIL in ambito NATO deriva da un accordo informale del 2006 dei Ministri della Difesa dei Paesi membri dell’Alleanza poi confermato e rilanciato al vertice dei Capi di Stato e di Governo del 2014 in Galles (obiettivo da raggiungere entro il 2024), in cui si è anche indicata una quota del 20% di tale spesa da destinarsi ad investimenti in nuovi sistemi d’arma. Queste dichiarazioni di intenti al momento non stono mai state ratificate formalmente dal Parlamento italiano con un voto avente forza legislativa e quindi non costituiscono un obbligo vincolante per il Bilancio dello Stato.

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In Italia a inizio anni ‘50 alla difesa veniva destinato tra il 3 e il 4% del PIL, dato che poi è sceso nel tempo con un minimo dell’1,2% nel 2015. La quota indicata del 2% rispetto al PIL non ha nei fatti una giustificazione specifica ma è stata usata come segnale verso una nuova crescita di spesa.  

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A livello internazionale l'impegno di spesa militare dell'Italia (1,6% del proprio PIL) è in linea con quello della Germania e della Spagna (1,4%), ma inferiore al 2,1% del Portogallo e della Francia e al 2,3% del Regno Unito. L’Italia nel 2020 ha investito l’1,6% del proprio PIL in spese militari: un livello simile a quello della Germania e della Spagna (1,4%), ma inferiore al 2,1% del Portogallo e della Francia e al 2,3% del Regno Unito. Nell’Est Europa salgono le spese militari: le tre repubbliche baltiche (Estonia, Lettonia e Lituania), la Polonia, la Serbia e la Romania sono al 2,1-2,3%, ma è la Grecia, col 2,8%, lo Stato europeo che più spende per la difesa. L’Ucraina, invece, nel 2020 ha investito il 4,1% del proprio PIL in difesa, un dato molto simile a quello della Russia (4,3%) e superiore a quello degli USA (3,7%) e Cina (1,8%).

In termini assoluti, nel 2020 nel mondo si sono spesi 19 mila miliardi di dollari (pari a circa 17 mila miliardi di euro) per la difesa. I paesi della Nato da soli valgono 10,9 mila miliardi di dollari e, di questi, 766 miliardi sono riconducibili agli Stati Uniti. 

Per aver un parametro di confronto l'Italia spende per la sanità circa il 7% del Pil dopo l'emergenza covid, circa 120 miliardi di euro (un minor impatto è previsto per gli anni successivi) mentre nel 2015 si è arrivati a spedendere poco più del 6,6% nel 2015.

Le armi made in Italy a gonfie vele: l'export cresce più di quello degli Usa

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Tutto questo avviene mentre Kiev chiede all'Occidente di inviare all'Ucraina "armi offensive" come "mezzo di deterrenza" contro l'aggressione della Russia. Un appello a cui pure l'Italia sembra voler dar seguito, almeno nelle parole di Draghi. "Non aiutare militarmente i paesi attaccati significherebbe che difendiamo il paese aggressore" e sosteniamo l'idea che "gli ucraini accettino pacificamente la schiavitù" ha detto il presidente del consiglio alla Camera rispondendo ad una interrogazione dell'onorevole Sgarbi. "Capisco la sua tristezza, onorevole Sgarbi, di fronte alla carneficina ed è anche la mia" ma l'ipotesi, ventilata da alcuni parlamentari, di non inviare aiuti militari all'Ucraina, a chi viene aggredito "è un terreno molto scivoloso che ci porta a giustificare tutti gli autocrati, a cominciare da Hitler e da Mussolini, tutti coloro che hanno aggredito paesi inermi".  

"È vero che la carneficina non distingue le divise, ma distingue i bambini. Se sviluppiamo le conseguenze di questo ragionamento, dovremmo dire non aiutare militarmente i Paesi che vengono attaccati. Allora difendiamo il Paese aggressore non intervenendo, dovremmo lasciare che gli ucraini perdano il loro Paese e accettino pacificamente la schiavitù. È un terreno scivoloso che ci porta a giustificare tutti gli autocrati, tutti coloro che hanno aggredito Paesi inermi, a cominciare da Hitler e Mussolini" afferma Draghi.

Il premier pone poi lo sguardo sull'esercito comune europeo mostrando (come abbiamo fatto anche noi qui sopra) che l'Unione europea spende tre volte quello che spende la Russia per la difesa. Forse non è tanto il tema di spendere di più quanto quello di coordinare gli sforzi. "Il compito più difficile è quello del coordinamento -spiega Draghi- quando avremo risolto questo potremo parlare di difesa comune europea". La lezione della pandemia è ancora fresca: da soli nessuno può riuscire. 

Non c’è bisogno di essere pacifisti per prendere atto che nelle guerre l'Italia non potrà che giocare la parte di autorevole e credibile mediatore solo in seno ad una alleanza europea. Auspicando un futuro di pace nella consapevolezza che nelle prossime decadi il controllo delle risorse sarà sempre più terreno di scontro tra nazioni, il tema vero non sarà quello di spendere di più in armamenti ma quello di spendere meglio.

Come spiegato dal generale Vincenzo Camporini del comitato direttivo dell’Istituto affari internazionali, lo strumento militare europeo ha senso solo se è al servizio di una politica estera comune, anche cominciando da un piccolo gruppo di Paesi. La corsa al 2% del Pil in armi, insomma, rischia di essere affrettata e soprattutto sbilanciata a scapito degli investimenti per salute, educazione, sviluppo sostenibile, cooperazione, tutte scelte che prevengono squilibri e conflitti. 

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