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Venerdì, 26 Aprile 2024
i quaderni sul lavoro

Aumentare gli stipendi fa bene a tutti (non solo ai lavoratori)

Le conseguenze di stipendi più alti non riguarderebbero solo il singolo, ma tutta la collettività. In generale, come inquadrare gli stipendi degli italiani? Ne parliamo con il professore di Politica economica Michele Raitano per i Quaderni sul lavoro di Today

Il tema degli stipendi degli italiani si è ripreso il dibattito pubblico. Tra le novità sul salario minimo prodotte dall’Unione Europea e scambi di battute tra le parti sociali interessate si torna a parlare del livello delle retribuzioni in Italia. Il problema di garantire un adeguato salario non riguarda solo i lavoratori, ma tutta la collettività, con conseguenze per tutta l’economia. Ma di cosa parliamo quando ci riferiamo agli stipendi degli italiani? Iniziamo col chiarire che se gli stipendi fossero una torta, le fette non sarebbero tutte uguali e dello stesso gusto. In questo approfondimento per i Quaderni sul lavoro di Today analizziamo il tema con Michele Raitano, professore di Politica economica alla Sapienza Università di Roma. 

Salario minimo: perché la direttiva Ue potrebbe aiutare i lavoratori italiani

In Italia può non bastare un lavoro per vivere 

Quando parliamo di stipendi in Italia ci stiamo riferendo a un fenomeno che ha una grande variabilità e che dipende da diversi fattori. Gli ultimi dati disponibili del Ministero dell’Economia e delle finanze ci dicono che nel 2020 in Italia solo il 4 per cento dei contribuenti ha dichiarato un reddito superiore ai 70 mila euro lordi, mentre quasi la metà dei contribuenti, circa il 45 per cento, si trova al di sotto della soglia dei 15 mila euro.

distribuzione redditi italia 2022-3

Sappiamo che negli ultimi 30 anni gli stipendi reali medi degli italiani sono diminuiti di più di mille euro, di circa il 3 per cento, mentre in tutti gli altri paesi sono cresciuti: ad esempio, in Spagna sono aumentati del 6 per cento, in Francia del 31 per cento e in Germania del 34 per cento. "Dobbiamo sempre comprendere la formazione dei salari, e tenere conto delle ore di lavoro - ha detto il professore Raitano -. In Italia emerge che i salari orari sono bassi. Tra le cause: la contrattazione collettiva e la bassa produttività. La mancanza di crescita dei redditi dei lavoratori dipendenti è drammatica, perché gli stipendi sono rimasti bassi e più o meno fissi". Il problema è legato anche alla qualità dei contratti, perché non tutti i dipendenti lavorano alle stesse condizioni.

Dov’è il tempo indeterminato?

Se si guarda l’andamento generale degli stipendi possono sfuggire dei particolari che in realtà dicono molto. I salari di una tipologia di lavoratori sono aumentati, quelli con i contratti a tempo indeterminato e full time. Nel tempo, la retribuzione per questo tipo di contratti è aumentata, con un problema, però: il numero dei dipendenti che vi hanno avuto accesso è diminuito. Le condizioni economiche di chi ha un contratto a tempo indeterminato sono dunque migliorate rispetto a forme di lavoro precarie, ma il numero di questi lavoratori è diminuito: “Chi lavora full time, a tempo indeterminato, ha avuto un aumento della paga su base oraria, ma il numero di questi lavoratori è diminuito" il commento di Raitano.

Bisogna far passare l'idea che lo stipendio non è un costo

Di conseguenza, si sono moltiplicate forme di lavoro precario, con paghe più basse: "C’è stata una crescita abnorme del part-time e del determinato. Proprio il part-time nasconde modalità contrattuali ‘grigie’. È un problema che influenza anche la qualità del lavoro". Le fasce di popolazione più interessate dalla precarietà sono i giovani, soprattutto le donne: "Il 30 per cento dei lavoratori privati lavora in forma ridotta, di questi la metà è composta da donne. Bisogna agire sui contratti e nel lungo periodo bisogna far passare l’idea che il salario non è un costo" commenta Raitano.

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Se i lavoratori sono poveri

Il salario medio dei dipendenti in Italia è più o meno piatto da quasi un decennio. Questo può essere spiegato con l’aumento di forme di lavoro meno stabili e precarie che hanno favorito il lavoro povero. Il professore Raitano che abbiamo intervistato fa parte del gruppo di lavoro che ha presentato insieme al Ministero del Lavoro il documento dal titolo Interventi e misure di contrasto alla povertà lavorativa (Pdf)

Circa l’11,8 per cento dei lavoratori italiani è considerato povero e quello italiano è il dato più negativo tra gli Stati europei (dove, mediamente, i lavoratori poveri sono circa il 9,2 per cento). La Relazione sottolinea come, in Italia, circa il 25 per cento dei lavoratori percepisca una retribuzione inferiore al 60 per cento della mediana e più di un lavoratore su dieci sia in condizione di povertà. Il peggioramento di questo dato negli ultimi 15 anni è stato notevole: nel 2017 i lavoratori poveri (occupati da almeno sette mesi) erano pari al 12,3 per cento, rispetto al 9,4per cento del 2006. Se si considerano però gli occupati per almeno un mese, questo dato cresce al 13,2per cento (era al 10,3per cento nel 2006). La Relazione mette in evidenza dei punti di interesse:

  • I rischi di povertà lavorativa sono strettamente legati alla tipologia contrattuale del lavoratore: circa il 17,1 per cento dei lavoratori è autonomo (12,1 per cento è invece dipendente). Questo dato è più significativo per i lavoratori che abbiano lavorato almeno un mese con contratto part-time (21,6 per cento);

lavoro povero italia 2022-2

  • I rischi aumentano anche in relazione alla durata dell'occupazione: al decrescere delle ore e dei mesi lavorati durante l’anno cresce l’aumento del rischio di povertà lavorativa. In tal senso, la Relazione mostra come non sia sufficiente lavorare un numero di mesi l’anno (superiore a 1) ma ad essere cruciale è la continuità lavorativa. Il rischio di povertà lavorativa è del 75 per cento per chi lavora 6 mesi l’anno e si riduce al 20 per cento per chi lavora continuativamente nell’anno;
  • La quota di lavoratori “poveri" (o scarsamente retribuiti) è nettamente più alta tra le donne (il 27,8 per cento) che fra gli uomini (16,5 per cento) e, tale quota, resta più elevata tra coloro che lavorano a tempo parziale (53,5 per cento);
  • La povertà lavorativa dipende anche dal settore di riferimento: circa il 64 per cento dei lavoratori poveri lavora in alberghi e ristoranti, solo il 4,8 per cento nel settore finanziario.

settori lavoro povero italia 2022-2

L’esempio della Spagna: i dati sono positivi (per ora) 

La Spagna ha da poco introdotto un’importante riforma del mercato del lavoro attesa da tempo e che ha già prodotto i suoi primi effetti. Il principale obiettivo della riforma della ministra Yolanda Díaz è favorire l’aumento dei contratti a tempo indeterminato, limitando le forme contrattuali di precariato anche tramite delle sanzioni per le aziende che non si adeguano. La riforma prevede solo due tipi di contratto a termine: quello strutturale, per circostanze legate alla produzione, e quello di sostituzione di un altro lavoratore. La prima tipologia si applica nel caso di un aumento occasionale e imprevedibile che necessita una soluzione temporanea come i lavoratori agricoli e stagionali.

riforma lavoro spagna 2022-2

Gli ultimi dati dell’Istituto nazionale di statistica spagnolo sono positivi e al momento certificano la riuscita dei propositi della riforma: in Spagna 12,8 milioni di lavoratori hanno un contratto stabile, un record. Ad aprile sono stati firmati 1.4 milioni di contratti: di questi, quasi 700mila, ovvero il 48,2 per cento, sono a tempo indeterminato, un numero considerevole. “La Spagna è intervenuta sui contratti: rimane il problema del part-time che butta giù i salari e diventa più difficile da regolarizzare. Bisognerà tuttavia aspettare per capire se si tratta di un dato temporaneo o più strutturale".

I benefici di uno stipendio migliore, per tutti

Abbiamo visto che l'Italia è l'unico paese dell'Ocse in cui gli stipendi sono diminuiti negli ultimi 30 anni, quasi del 3 per cento. Ma cosa accadrebbe se aumentassero? I benefici non sarebbero solo per il singolo lavoratore.

"Se alzi i salari aumenti la produttività, e di conseguenza le imprese sono disposte a innovare investendo - ha detto il professore Raitano - Produttività e lavoro si devono muovere in linea. Negli ultimi anni la produttività in Italia è cresciuta poco, ma è cresciuta, i salari no. Quindi i margini per le imprese sono aumentate, anche se non per tutte, soltanto per quelle più grandi. Dipende da quale segmento di mercato si occupa, da come si investe, come ci si posiziona all'interno della catena del valore e come lo si crea. Il problema sono anche le politiche industriali: si preferisce investire in servizi a basso valore aggiunto".

produttività e pil italia 2022

Le ricadute positive di stipendi più alti non riguardano solo le aziende in cui avvengono: "Oltre a stimolare comportamenti virtuosi da parte delle aziende, perché sono più incentivate a investire e crescere, gli effetti positivi di stipendi più alti impattano sulla domanda, sull’economia del paese, sul benessere generale - sottolinea Raitano - In più, la crescita economica migliorerebbe in primo luogo le condizioni delle fasce più deboli, di chi guadagna meno o lavora di meno con forme precarie, riducendo le disuguaglianze". Un lavoro molto citato dell'economista Alfred Kleinknecht ,L'impatto (negativo) delle riforme dal lato dell'offerta nel mercato del lavoro sulla produttività, sostiene che i bassi guadagni di produttività favoriscono la crescita di una classe di lavoratori poveri e la disgregazione della classe media. In più, tutto questo mette sotto pressione i sindacati e i classici partiti socialdemocratici in Europa che hanno poco da offrire ai loro elettori, favorendo, allo stesso tempo, "un terreno fertile per i populismi" si legge nel lavoro di Kleinknecht. Una delle condizioni che permette agli stipendi più alti di migliorare l'economia dello Stato è che la crescita dei salari sia accompagnata da adeguate politiche dell'orario di lavoro.

Nelle prossime analisi per i Quaderni sul lavoro capiremo perché non si è riusciti ad aumentare gli stipendi e cosa si può fare in futuro: migliori condizioni di lavoro per il singolo contribuiscono al miglioramento del benessere generale per la collettività.

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