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Martedì, 30 Aprile 2024
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In pensione a 63 anni ma prendendo meno soldi e l'ipotesi di mini-Quota 100

Le perplessità intorno a Quota 102 e 104 agitano i partiti. La Lega chiede al premier Draghi una deroga su Quota 100 ma soltanto per le piccole aziende sotto i 15 dipendenti. Torna in ballo l'ipotesi Boeri-Perotti con regole "uguali per tutti", ovvero la possibilità di lasciare sempre e comunque il lavoro dai 63 anni con assegni leggermente più leggeri

Tra 48 ore la legge di Bilancio sbarca in Consiglio dei ministri e il nodo più complesso, quello delle pensioni, non è ancora stato sciolto. Anzi. Quando mancano due mesi alla fine di Quota 100 e lo "spettro" del ritorno alla legge Fornero è reale, tutti i partiti provano a ottenere qualcosa. Mario Draghi per oggi pomeriggio ha convocato i segretari confederali di Cgil, Cisl e Uil a Palazzo Chigi: sono pronti alla mobilitazione contro il sistema delle Quote provvisorie. Poi ha incontrato anche Matteo Salvini.

Quota 100 per le piccole aziende

Quota 100 potrebbe non scomparire del tutto. La Lega ha chiesto a Draghi una deroga su Quota 100 per le piccole aziende sotto i 15 dipendenti con la creazione di un fondo ad hoc e sta trattando con i tecnici del governo sulla gradualità con cui superare Quota 100, partendo da Quota 102 il prossimo anno. Salvini è pronto anche a cedere su tutto il resto, ma vorrebbe non farlo a mani vuote. Per questo ha fatto una proposta al premier: istituire un fondo di tutela per i lavoratori usuranti delle aziende sotto i 15 dipendenti, che non godono di alcune tutele, come la cassa integrazione, aiutandoli ad andare in pensione dopo la fine di Quota 100. 

Il Pd dal canto suo chiede di rifinanziare Opzione donna che ha un costo relativamente basso (100 milioni) e di allargare l’Ape sociale a nuove categorie di lavori usuranti. Si tratta. I partiti sono spaccati, con i sindacati al centro del dibattito con la loro richiesta di flessibilità per tutti oltre i 62 anni. 

Il piano del governo coinvolge però pochi lavoratori, secondo alcune stime dei sindacati solo 10 mila persone: 8.524 nel 2022 e 1.924 nel 2023. È l’effetto di Quota 102 e 104 secondo uno studio della Fondazione Di Vittorio della Cgil, mentre i tecnici della Ragioneria generale dello Stato avevano immaginato 50 mila uscite l’anno. I sindacati sono contrari al sistema delle quote perché il problema, ritengono, non è rendere graduale l’uscita da Quota 100, ma riformare complessivamente il sistema. Sì, ma come?

Tutti in pensione da 63 anni ma prendendo meno soldi

Su Repubblica oggi Tito Boeri e Roberto Perotti, due stimati economisti, avanzano di nuovo la proposta per superare Quota 100 basata su "regole uguale per tutti". Non è un segreto che le infinite riforme del sistema pensionistico abbiano creato una giungla di regole. Le ipotesi Quota 102 e Quota 104 (ovvero innalzare il requisito anagrafico gradualmente, a 64 anni nel 2022 e a 66 nel 2023, mantenendo il requisito contributivo minimo di 38 anni, per poi passare nel 2024 al regime ordinario a 67 anni) "riguarderebbe sempre solo le tre generazioni di Quota 100: chi è nato dal 1° gennaio 1960 in poi continuerà ad andare in pensione 5 anni più tardi di chi è nato un giorno prima, come prima di quota 100 - osservano Boeri e Perotti - . Lo scalone verrà abbassato solo agli individui nati tra il 1957 e 1959 che alla fine di quest’anno non avevano ancora raggiunto 38 anni di contributi: 48.000 persone nel 2022 e 23.000 nel 2023. Quasi tutti uomini perché, come per quota 100, i requisiti contributivi elevati penalizzano le donne che hanno carriere contributive discontinue".

Nemmeno l’estensione della gamma di lavori gravosi eliminerebbe davvero lo scalone.  "Dato che l’Inps non raccoglie informazioni sulle mansioni, deve ricorrere ad altre banche dati che coprono solo spezzoni di carriera lavorativa. Per beneficiare di questo canale d’uscita è quindi necessario un gravoso lavoro di raccolta di documentazione; quasi tutti i possibili beneficiari preferiscono farsi licenziare e accedere all’Ape Sociale attraverso lo stato di disoccupazione" spiegano Boeri e Perotti, che poi arrivano al dunque: "Tutte le pensioni hanno ormai una componente calcolata col metodo contributivo e su questa quota operano riduzioni (peraltro modeste) dell’importo dell’assegno per chi vuole andare in pensione prima". Bisognerebbe "estendere queste correzioni alla componente retributiva. Sarebbe un modo di anticipare l’entrata in vigore di regole sull’età di pensionamento che fra 10 anni riguarderanno tutti i lavoratori. Niente più eccezioni; regole uguali per tutti e comprensibili: chi va in pensione prima percepirà la pensione per un periodo più lungo, è dunque assolutamente ragionevole che l’importo annuale venga decurtato di conseguenza".

Nei fatti, i due accademici, tra i massimi esperti italiani di pensioni, ipotizzano una maggiore flessibilità. Ma una flessibilità vera, che ha quindi qualche conseguenza impattante: si può andare in pensione quando si vuole, a partire da 63 anni di età, ma accettando una riduzione attuariale, che oggi si applica alla sola quota contributiva, sull’intero importo della pensione. Sarebbe un modo per ridurre le disparità di trattamento fra le pensioni contributive e le pensioni “miste”, perché permetterebbe anche ai titolari di quest’ultime di andare in pensione prima, purché abbiano almeno 20 anni di contributi e una pensione superiore ad una soglia minima (attualmente circa 1450 euro al mese) per non rischiare di finire in condizioni di indigenza, soprattutto quando incoraggiati fortemente dall’impresa a lasciare. La soglia a 1450 euro è nettamente al di sopra della soglia di povertà Istat. Si potrebbe abbassarla a mille euro, circa 2 volte la pensione minima, rendendo più ampia la platea potenzialmente interessata alla pensione anticipata.

La pensione in due tempi: ipotesi Tridico

A tal proposito, rientra in un ragionamento simile, tra le candidate a sostituire Quota 100 - nell'ambito della Manovra 2022 - l'altra proposta sul tavolo del confronto in corso, assieme a quota 102 e 104 e a quella molto più flessibile dei sindacati. E' quella illustrata a più riprese in parlamento dal presidente dell'Inps, Pasquale Tridico, che ancora la settimana scorsa la presentava come l'unica soluzione "davvero flessibile e finanziariamente compatibile" nei costi e dalla platea molto più consistente di quanto abbia mai portato a casa la sperimentazione leghista. Parliamo della cosiddetta pensione in due tempi: l'ipotesi è di anticipare, per chi abbia compiuto 63-64 anni e volesse lasciare il lavoro, solo la quota contributiva della pensione rinviando l'assegno totale, comprensivo anche della parte retributiva, al compimento dei 67 anni. Una volta raggiunta la pensione di vecchiaia invece al lavoratore spetterà l'assegno pieno, completo di quota retributiva e quota contributiva.

Nessuna 'gabbia' rigida dunque entro cui contenere i futuri pensionati solo l'opportunità della scelta con costi per le casse dello Stato, nel medio periodo, sostanzialmente azzerati. A conti fatti, stimava ancora l'Inps, sarebbero circa 203mila le pensioni aggiuntive attivabili tra il 2022 e il 2024 cui sommarne altre 129mila dal 2025 al 2027 per un totale complessivo di 332mila pensioni dal 2022 al 2027. E anche i costi si aggirerebbero intorno ai 4,2 mln di euro tra il 2022 e il 2027 che sarebbero poi recuperati da risparmi di spesa che dal 2027 al 2031 potrebbero ammontare a circa 2 mld di euro complessivamente.

Per accedere al pensionamento in due tempi, ricordava ancora Tridico, oltre al requisito di età, almeno 63-64 anni occorre essere in possesso di almeno 20 anni di contribuzione e aver maturato al momento della scelta una quota contributiva di pensione di importo pari o superiore a 1,2 volte l’assegno sociale. Questo per circoscrivere la platea che potrà accedere al pensionamento anticipato ed evitare assegni poveri. La proposta prevede inoltre la cumulabilità della mini-pensione con i redditi da lavoro dipendente, autonomo e la possibilità di ancorare la prestazione a futuri meccanismi di staffetta generazionale, legati al part time mentre esclude categoricamente la possibilità di convivenza con il Rdc , l'ape sociale e l'indennizzo per la cessazione dell’attività commerciale.

Pensioni: Uscita dal lavoro "allargata" a 63 anni

Il punto di caduta potrebbe essere trovato intorno al numero 63. Ovvero un'uscita dal lavoro il prossimo anno "allargata" a 63 anni con l’asticella dei versamenti a 39 o 40 anni, secondo il Sole 24 Ore. "L’eventuale Quota 102 (63 anni più 39 di contributi) si esaurirebbe dopo 12 mesi, e sarebbe poi seguita da Quota 103. Nel caso in cui si optasse per Quota 103 immediata (63 anni più 40 di versamenti o “64+39”), la durata dovrebbe essere invece di 24 mesi (e non di un solo anno) prima di tornare alla legge Fornero in versione integrale. Il tutto verrebbe accompagnato dall’ampliamento della platea dei lavori gravosi per i quali è prevista un’uscita agevolata, che dovrebbe restare quella dell’Ape sociale".

Certo è che una eventuale Quota 102 non piace ai sindacati, che per superare Quota 100 propongono da tempo due altre strade: la possibilità di lasciare il lavoro a 62-63 anni con una penalizzazione nell'ordine dell'1-2% degli assegni ogni anno di anticipo rispetto ai 67 e quindi una volta raggiunta questa età ottenere la pensione piena, e l'introduzione di una Quota 41 in modo da rendere possibile lasciare il lavoro con 41 anni di contributi a prescindere dall'età (contro i 42 anni e 10 mesi di oggi per gli uomini ed i 41 anni e 10 mesi delle donne). Ipotesi. Nelle prossime 48 ore si troverà una sintesi.

La trattativa parallela sulle pensioni

I sindacati sono pronti allo sciopero. "Insopportabile" farsi scavalcare dalla Lega nella difesa dei pensionandi, accettare il ritorno alla legge Fornero senza alzare le barricate: i leader di Cgil, Cisl e Uil devono definire la loro strategia. Ci vorrebbe un tavolo, ragionano le parti sociali. Ed è su questo che i sindacati si preparano ad una nuova mossa: proporre al governo di avviare una trattativa parallela (anche sul fisco) mentre il Parlamento esaminerà la legge di Bilancio. Un eventuale accordo potrebbe poi essere trasferito in un emendamento governativo alla manovra da 23,4 miliardi. Non è uno schema inedito, altre volte è stato utilizzato. Farebbe uscire i sindacati dall’angolo e dalla strana competizione con la Lega che cerca in tutti i modi di far rimanere lo schema di Quota 100. Lavori in corso.

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