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Domenica, 28 Aprile 2024
Il racconto della guerra

Così la propaganda di Pechino alimenta l'antisemitismo mentre promette la pace

L'ondata di antisemitismo e sentimento anti-israeliano cresce sui social media della Repubblica popolare cinese dove è netta la posizione propagandistica del governo cinese. Ma il popolo cinese non è sempre stato antisemita

La stella di David affiancata alla svastica nazista marchiano i muri del quartiere ebraico di Roma. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz chino a lucidare con un fazzoletto due pietre d'inciampo nel giorno dell'85esimo anniversario della "Notte dei cristalli". Robert Habeck, il vice cancelliere tedesco, che ribadisce quanto la sicurezza di Israele sia per la Germania una responsabilità storica, in risposta agli attacchi di Hamas contro Israele e alle manifestazioni nella Federazione tedesca in cui sono apparse bandiere dell'Isis. Dopo la recrudescenza del conflitto israelo-palestinese e il crescente numero di vittime nella Striscia di Gaza (che in un solo mese ha superato la soglia dei 10mila morti, per lo più civili) l'antisemitismo si è risvegliato in Europa e nel mondo.

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La Cina, responsabile paciere del conflitto

Una soluzione per risolvere la secolare questione israelo-palestinese sembra sia ancora lontana. Ma al Palazzo di Vetro di New York c'è chi sta già pensando a un piano per stabilizzare la Striscia di Gaza. Il governo di Israele è convinto di poter sradicare Hamas dall'enclave palestinese, paventando l'idea di una occupazione che però viene respinta dagli Stati Uniti. Il risultato più immediato da raggiungere è "una de-escalation" nel più breve tempo possibile per poi arrivare alla soluzione dei due Stati. Nel frattempo, sarà necessaria un periodo di transizione, magari affidato ai caschi blu dell'Onu, già presente a Gaza con diverse agenzie (cruciali per il sostegno economico e umanitario della popolazione palestinese). Il coinvolgimento dell'Onu richiede il via libera del Consiglio di Sicurezza e quindi il consenso, non ancora acquisito, di Russia e Cina. La Cina, che questo mese ha assunto la presidenza del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, è stata una delle 120 nazioni a votare a favore di una risoluzione dell'Assemblea generale sul cessate il fuoco a Gaza.

Come reagisce la Cina alla guerra tra Israele e Gaza

Ci sono però delle motivazioni che spingono la Repubblica popolare a osservare una posizione ondivaga anche in questo scenario di guerra, come accade d'altronde dall'inizio dell'invasione russa in Ucraina. La Cina si sta presentando nella regione mediorientale come un mediatore di pace tra Paesi che storicamente sono venuti alle armi. Pechino è stata una sostenitrice dei palestinesi fin dal periodo maoista, ma da decenni ha consolidato la vicinanza con Israele per opportunità commerciali ed economiche. Non sorprende quindi che il gigante asiatico si presenti come un paciere, fedele al suo storico principio di non interferenza negli affari degli altri Paesi, a differenza di quanto farebbero gli Stati Uniti che - secondo la propaganda di Pechino - starebbero gettando benzina sul fuoco. La posizione della Cina è sia una risposta alla continua rivalità con gli Stati Uniti, che sono uno dei principali sostenitori di Israele e che hanno votato contro il cessate il fuoco alle Nazioni Unite, sia al suo desiderio di essere vista come la superpotenza globale più responsabile.

Cosa dicono i media cinesi

I media statali cinesi sfruttano la difficile situazione del popolo palestinese per accusare gli Stati Uniti di chiudere un occhio sulla risposta israeliana agli attacchi di Hamas, perpetuando al tempo stesso i cliché del controllo ebraico sulla politica americana. L'amministrazione Biden ha infatti dato il suo appoggio per la campagna militare di Israele a Gaza e per l'obiettivo di distruggere il gruppo terroristico e non chiede un cessate il fuoco, ma pause umanitarie, come quella finestra di quattro ore quotidiane che ha ottenuto da Tel Aviv il 9 novembre dopo giornate di pressing sul premier israeliano. E Pechino non vuole perdere una così succulenta occasione per imputare a Washington le colpe di un atteggiamento colonialista portato avanti per secoli, soprattutto in ottica di miglioramento dei rapporti con i Paesi arabi.

L'oro nero che lega la Cina all'Iran e Hamas

Della posizione propagandistica del governo cinese ne è piena la discussione sui social media della Repubblica popolare, dove sta crescendo un'ondata di antisemitismo e sentimento anti-israeliano. La copertura dei media statali, condiviso anche sui social network, è stato arricchito da molte risposte degli utenti cinesi, che trasudavano stereotipi antisemiti e commenti che minimizzavano gli orrori dell'Olocausto. L'account ufficiale sui social media dell'ambasciata israeliana in Cina è stato invece inondato di giudizi sulla risposta violenta del governo di Netanyahu, avanzando paragoni alle atrocità commesse dagli israeliani all'indomani del 7 ottobre con quelle perpetrate dai nazisti durante la Seconda guerra mediale. 

Oltre al sentimento antisemita e a una maggiore attenzione sul ruolo della Cina sulla scena mondiale e su come le sue richieste di soluzioni pacifiche contrastino con le politiche statunitensi, su Weibo, così come su altre piattaforme social cinesi come Douyin e Xiaohongshu, i netizen cinesi sostengono la causa palestinese. I commenti più favorevoli verso la Palestina trovano forza nella politica filo-israeliana degli Stati Uniti, nei pregiudizi e nelle teorie cospirative con protagonisti gli ebrei. A giustificare il sostegno alla causa palestinese è il sentimento anticolonialista, che affonda le radice nella storia della Repubblica popolare. Molti netizen associano la questione palestinese alle storiche cicatrici della Cina dei "cento anni di umiliazione", come il periodo dell'imperialismo delle potenze occidentali e l'occupazione giapponese.  

Prima l'amore e poi il disprezzo: cosa è cambiato con tra cinesi e israeliani

Ma il popolo cinese (soprattutto nella sua interezza) non è sempre stato antisemita. In passato, gli ebrei godevano di una forte considerazione da parte dei cinesi, che lodavano il loro spirito lavorativo e la loro abilità finanziaria. Ci sono anche connessioni storiche. Durante la seconda guerra mondiale, migliaia di ebrei in fuga dalle persecuzioni in Europa trovarono riparo a Shanghai e nella città settentrionale di Harbin. Nella discussione su dove fondare uno Stato ebraico nel periodo successivo alla guerra, entrambe le località furono menzionate. Ancora oggi, i resti delle sinagoghe riportano in vita la permanenza degli ebrei nella Repubblica popolare. Qualcosa però è cambiato quando il nazionalismo è diventato un sentimento crescente durante la presidenza di Xi Jinping, che con la sua politica ha permesso la nascita e crescita di un senso di sfiducia nei confronti dell'occidente e della diffusione delle teorie cospirazioniste sui social cinesi.

Stiamo parlando tuttavia di una parte minoritaria e non della maggioranza della società cinese. Come sappiamo, nella Repubblica Popolare il dibattito sui social è controllato e supervisionato dalla Cybersecurity administration of China, l'ente regolatore della sfera digitale. Talvolta, però, le piattaforme digitali dei social network abbracciano l'autocensura per attenuare un discorso divisivo, per parlarne il meno possibile ed evitare che gli estremismi proliferino sul web. È il caso dei colossi tecnologici Baidu e Alibaba che hanno scelto di oscurare il nome di Israele dalle loro mappe. In realtà, i confini e la toponimia dello Stato ebraico è presente nella navigazione tramite app, ma non dal web. Una decisione che conferma la necessità delle piattaforme tecnologiche di nascondere, attraverso i cunicoli creati dagli algoritmi, l'informazione anziché cancellarla, in modo da evitare di incappare nella stretta imposta del governo cinese. Il Partito comunista, però, è intervenuto sul tema, che aveva alimentato la condanna dell'opinione pubblica internazioanale. Il portavoce del ministero degli Esteri, Wang Wenbin, ha precisato che nelle mappe emesse dalle autorità cinesi "i Paesi interessati sono indicati chiaramente". Una precisazione che sprona i molti utenti cinesi che guardano al conflitto a lanciare un invito alla pace. Proprio come fa Pechino, seppur per diverse motivazioni. 

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