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Sabato, 27 Aprile 2024
la repressione

Io donna musulmana condannata per aver letto il Corano a 5 anni

Moschee "armonizzate", libri vietati, detenzioni arbitrarie e donne in carcere per aver studiato il Corano durante l'infanzia: così Pechino riscrive l'islam per controllare il paese con la scusa della guerra al terrorismo

È inevitabile: l'Islam nello Xinjiang "deve essere sinizzato". Tradotto: la religione di fede musulmana deve assumere tutte le caratteristiche culturali e ideologiche della Cina e del Partito comunista. Parola di Ma Xingrui, il segretario del Partito dello Xinjiang, la regione nordoccidentale cinese abitata dalla minoranza uigura di religione islamica. È l'ennesima vergata di Pechino, che dal 2017  - secondo le accuse dei gruppi per i diritti umani e poi un rapporto dell'Onu - porta avanti diversi abusi nei confronti dei milioni di uiguri, kazaki, kirghisi e altre popolazioni minoritarie, come la negazione e l'impedimento della piena libertà religiosa e la detenzione arbitraria in prigioni dove è stato istituito un sistema di lavoro forzato. La Cina si è sempre difesa sostenendo che si tratta di "campi di rieducazione", per reprimere la minaccia terroristica (in risposta agli attacchi rivendicati da gruppi estremisti religiosi), creare unità sociale e promuovere lo sviluppo economico.

Cosa dicono i "Xinjiang police files" sulla detenzione degli uiguri in Cina

Ma l'aumento dell'apparato repressivo e di controllo nella regione, attraverso check point, controlli costanti sulla popolazione, divieto di espatrio, prelievo di Dna e prigionia forzata contraddicono le affermazioni del Partito comunista. I "campi di rieducazione", definiti da Pechino "vocazionali" per legittimare il processo di sinizzazione, diventano quindi uno strumento nelle mani del governo cinese per frenare lo spirito indipendentista nella regione e colpire un movimento che da anni è ostile al Partito. Secondo un rapporto della Human Rights Watch, i detenuti nei centri sono malnutriti, maltrattati psicologicamente e fisicamente, e non possono avere alcun contatto con i parenti durante i mesi o anni di prigionia.

Il centro di detenzione n. 3 di Urumqi a Dabancheng, nella regione autonoma dello Xinjiang (2021, LaPresse)

Colpirne uno per educarne cento

Anche i numeri delle sentenze sono preoccupanti. Lo studioso e antropologo Darren Byler, in un lungo articolo su Chinafile, ha raccolto i dati dei procedimenti giudiziari eseguiti dal 2017. Partiamo da un presupposto: in Cina i dati relativi alle condanne non sono facilmente accessibili, ma generalmente il 99 per certo delle persone processate sono poi condannate. Secondo i dati diffusi dagli uffici della "procura" nazionale e dello Xinjiang, più di 615mila persone sono state formalmente perseguite nella regione dal 2017, anno in cui è iniziata la campagna di rieducazione. Solo nel biennio precedente, dal 2014 al 2016, il totale dei procedimenti giudiziari nello Xinjiang è stato in media di circa 41,7mila all'anno. Nell'anno dell'inizio della repressione delle minoranze etniche musulmane dello Xinjiang, quindi, c'è stato un incremento del 437 per cento dei processi con oltre 220mila procedimenti giudiziari. Si è dovuto attendere qualche anno per notare un calo del fenomeno, che deve essere letto come il risultato di una repressione giudiziaria e psicologica operata dal Partito comunista. La punizione verso pochi ma importanti personaggi della comunità locale uigura è un esempio per il resto della popolazione, che sceglie la via dell'autocensura.

È il caso dell'imam Nurlan Pionier della piccola contea di Altay. Secondo i documenti del verdetto della Corte della contea di Jeminay - pubblicati su Xinjiang Victims Database -, Pioner è stato condannato il 31 agosto 2018 a una pena detentiva di 17 anni per tre distinti capi di accusa: raduni di persone pericolosi per l'ordine pubblico, uso dell'estremismo per indebolire le forze dell'ordine e possesso illegale di oggetti che propagano l'estremismo e il terrorismo. La decisione dei giudici si è basata sul rilevamento di prove tollerate solo fino a pochi anni prima: le pratiche religiose quotidiane (come matrimoni e lettura di testi sacri) e il possesso di libri in vendita nelle normali librerie sono ormai considerate reato. Come spiega l'antropologo Byler, il verdetto sull'imam Pioner è il risultato dell'applicazione retroattiva di norme che, all'epoca del "crimine", non erano state ancora promulgate.

sentenza pioner

Solitamente l'accusa riconosce, tra i reati commessi, la lettura di libri che promuoverebbero il pensiero religioso estremista, la guida di un mezzo per raggiungere luoghi religiosi e il digiuno osservato durante il Ramadan. 

Cosa ne sarà quindi delle minoranze religiose in Cina? Raggiunto da Today.it, l'antropologo Byler ha detto: "Il perseguimento retroattivo della pratica islamica dimostra come la retorica e la pratica della guerra globale al terrorismo siano state utilizzate in Cina per perpetrare atrocità contro uiguri, kazaki e altri popoli musulmani nello Xinjiang. Il futuro di questi popoli è messo in discussione, poiché ampi aspetti del loro mondo vengono cancellati. Non sono più in grado di essere autori della propria storia, il che significa che non sono nemmeno in grado di costruire il proprio futuro".

Il nuovo look delle moschee

Il vero scopo della cosiddetta de-radicalizzazione è eliminare la fede e attuare la sinizzazione del territorio, ha denunciato il World Uyghur Congress, una ong di esiliati uiguri con base in Germania. Alla base delle preoccupazioni dei gruppi di difesa dei diritti della minoranza di fede musulmana è il modello messo in atto da Pechino, che prevede altri fenomeni come la migrazione forzata, le separazioni familiari, la sorveglianza di massa, l'esproprio di terre e la cancellazione di elementi culturali. Il segretario comunista della regione Ma, a margine delle "due sessioni" che si sono concluse l'11 marzo, ha invece elogiato lo sviluppo economico dello Xinjiang, diventato un'attrattiva per il turismo e gli investimenti stranieri. Il presidente cinese Xi Jinping ha ripetutamente chiesto la sinizzazione delle religioni come Islam, Buddismo e Cristianesimo, esortando i fedeli a seguire l'ideologia del Partito Comunista.

Un processo che inizia dai luoghi di culto, che devono riflettere le "caratteristiche e lo stile cinese". Per questo, tra il 2018 e il 2023 gran parte delle moschee nello Xinjiang sono state distrutte o hanno assunto elementi tipici dell'architettura cinese, dopo la rimozione dei minareti e scrittura araba, e la copertura delle cupole con una struttura che rimanda alle pagode. Lo scorso novembre, il Financial Times ha pubblicato un'interessante inchiesta che mostra, attraverso le immagini satellitari, come oltre 1.714 edifici religiosi in tutta la Cina siano stati demoliti o modificati per essere "armonizzati" con la cultura cinese. Si tratta dell'ennesima misura che il governo cinese ha adottato per reprimere la libertà religiosa, nonostante questa sia tutelata dalla Costituzione della Repubblica popolare.

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Donne colpevoli di aver studiato il Corano durante l'infanzia

Anche "l'altra metà del cielo", le donne elogiate dal leader della Rivoluzione culturale Mao Zedong, subisce le conseguenze della politica fortemente repressiva che il Partito ha attuato nello Xinjiang. Un rapporto pubblicato a inizio febbraio 2024 dall'organizzazione Uyghur Human Rights Project, con sede a Washington, evidenzia la correlazione tra la negazione delle libertà religiosa e quella dei diritti delle donne. "Vent'anni per imparare il Corano: le donne uigure e la persecuzione religiosa" racconta come le donne siano le principali vittime dell'incarcerazione di massa nello Xinjiang, che rientra nelle campagne anti-terrorismo del governo: nella regione centinaia di migliaia di donne in età avanzata - anche 80enni - sono state condannate per comuni e semplici attività religiose. Molte condanne sono state emesse con effetto retroattivo, per "crimini" che le donne avrebbero commesso quando erano bambine. È per esempio il caso di Ezizgul Memet, classe 1970. All'età di sei anni, studiò per tre giorni il testo sacro con sua madre Buhelchem ​​Memet, ora deceduta. Quarant'anni dopo, nel 2017, la donna è stata condannata a cinque anni di prigione per aver imparato i versi del Corano. Stessa sorte è toccata a Tursungul Emet, che studiò il Corano con sua madre nel 1974 per cinque giorni, all'età di cinque anni. È stata condannata a 11 anni di prigione. 

ezizgul memet-2

Non solo le donne. Anche i minorenni vengono privati della loro libertà di religione. Ai più piccoli è stato impedito di entrare nei luoghi di culto islamico, per "proteggerli" dalla religione durante la loro crescita. Tuttavia, ha precisato Byler, "rimangono ancora spazi per la fede in Cina. Anche nello Xinjiang le persone continuano a pregare, anche se devono farlo in silenzio o in segreto. L'aspetto più problematico è che i bambini avranno molte meno opportunità di comprendere e praticare la loro fede". Nel 2018, l'Associazione islamica cinese, gestita dal governo, ha chiesto alle moschee di organizzare attività patriottiche, come alzare la bandiera cinese e istituire gruppi di studio sulla Costituzione, sui valori socialisti e sulla cultura tradizionale cinese. Così l'islam ha una nuova forma ed espressione in Cina. E a dettare le regole è il Partito comunista cinese. 

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