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Martedì, 30 Aprile 2024
Guerra civile / Sudan

Continuano i combattimenti in Sudan: 100 civili uccisi. L'Onu chiede il cessate il fuoco

Il capo dell'esercito ha chiesto lo scioglimento delle milizie ribelli delle Forze di Supporto Rapido: "Li sconfiggeremo ma siamo pronti a negoziare". Entrambe le fazioni rivendicano conquiste

Il Segretario Generale dell'Onu Antonio Guterres ha condannato con forza i combattimenti in corso in Sudan e ha lanciato un appello ai leader delle Forze Armate Sudanesi e dei paramilitari delle Forze di Supporto Rapido (Fsr) affinché cessino immediatamente le ostilità, ristabiliscano la calma e avviino un dialogo per risolvere la crisi.

"Esorto tutti coloro che hanno influenza sulla situazione a usarla per la causa della pace; a sostenere gli sforzi per porre fine alla violenza, ristabilire l'ordine e tornare sulla via della transizione", ha dichiarato Guterres, sottolineando che "la situazione umanitaria in Sudan era già precaria e ora è catastrofica". Il segretario di Stato americano, Antony Blinken, pure ha chiesto un cessate il fuoco immediato e il ritorno ai colloqui per riportare il Sudan sulla strada di un governo a guida civile, e lo stesso ha fatto il Consiglio superiore dell'Unione Africana. Il capo dell'esercito sudanese ha definito le Fsr un gruppo ribelle e ne ha ordinato lo scioglimento, mentre la fazione si scontrava con l'esercito in scontri che hanno fatto deragliare il passaggio al governo civile e spinto non solo l'Onu ma anche gli Stati Uniti a chiedere un cessate il fuoco.

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In corso è una violenta lotta di potere a livello nazionale che, secondo il Comitato centrale dei medici sudanesi, un gruppo di attivisti, ha causato la morte di almeno 97 civili e 45 soldati, con un totale di 942 feriti, dall'inizio degli scontri nel fine settimana. Bombardamenti e attacchi di jet da combattimento hanno scosso la capitale Khartoum, anche vicino al quartier generale dell'esercito, e poi i combattimenti si sono estesi ad altre parti del Sudan, contrapponendo le forze armate alle Fsr, un'ex milizia che avrebbe dovuto fondersi con l'esercito e i cui leader condividono il potere in un consiglio militare. Il capo dell'esercito, il generale Abdel Fattah al-Burhan, è a capo del consiglio di governo, mentre il leader delle Fsr, il generale Mohamed Hamdan Dagalo, noto come Hemedti, è il suo vice.

L'esercito regolare fedele a Burhan, più pesantemente armato, è sembrato avere la meglio nei combattimenti del fine settimana, ma entrambe le parti stanno facendo affermazioni e controaffermazioni impossibili da verificare. Burhan, ha aperto a negoziati, pur dicendosi convinto che le sue truppe sconfiggeranno "definitivamente" il gruppo paramilitare. In un'intervista a Sky News, il militare ha spiegato di essere disponibile a trattare poiché "ogni guerra finisce al tavolo dei negoziati anche se l'avversario viene sconfitto" e ha aggiunto che "anche se c'è la resa, c'è anche un negoziato".

Il Comando generale dell'esercito sudanese ha esortato i paramilitari delle Rfs a unirsi ai propri ranghi assicurando che non saranno licenziati in un futuro smantellamento della loro milizia. "Facciamo appello ai nostri figli appartenenti alle Fsr, che hanno prestato innegabili grandi servizi, affinché si uniscano alle coraggiose forze armate per servire il loro Paese nei loro ranghi, e rifiutiamo che siano uno strumento per servire gli obiettivi e l'agenda di una sola persona", ha scritto il comando sulla pagina Facebook dell'esercito riferendosi implicitamente ad Hamdan Dagalo.

Le radici del conflitto affondano nella strategia "divide et impera" perseguita dal veterano autocrate islamista Omar al-Bashir, salito al potere nel 1989. Le Fsr provenivano dalla temuta milizia Janjaweed, accusata di genocidio in Darfur, e fungevano da contrappeso all'esercito regolare, della cui lealtà Bashir dubitava. Tuttavia, sebbene le due forze si siano unite per spodestare Bashir nel 2019 dopo mesi di proteste popolari di massa, le relazioni tra loro sono rimaste tese. Molti analisti e diplomatici di Khartoum avevano previsto una violenta contesa dopo un colpo di Stato militare nell'ottobre 2021 che ha fatto deragliare una graduale transizione verso un governo civile.

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