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Domenica, 28 Aprile 2024
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Dalla Via della Seta a quella del Cotone: come Meloni dice addio alla Cina

Sulla carta il progetto sembra vincente. E a trarre vantaggio potrebbero essere tutti gli attori protagonisti, in particolare l'Italia. Ma rimangono aperti diversi interrogativi dal punto di vista pratico ed economico

Dal G20 di New Delhi è nata una sinergia tra Occidente e Sud Globale, con l'India di Narendra Modi che fa da ponte tra i due mondi. Perché tra i successi che può intestarsi il leader indiano c'è anche l'India-Middle East-Europe Economic Corridor (Imec), ovvero l'accordo che si presenta come una alternativa al progetto cinese della Nuova Via della Seta grazie alla creazione di un collegamento nave-treno-nave fra l'India, i Paesi del Golfo, Israele, il Mediterraneo e l'Europa. Alternativa così vera tanto da essere stata ribattezzata dai media "Via del Cotone". Il progetto, fortemente voluto dagli Stati Uniti, vede come protagonisti India, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Israele e Unione Europea, nello specifico Francia, Germania e Italia.

Ecco come la Cina potrebbe punire l'Italia se esce dalla Via della Seta

Il suo scopo è semplice: l'Imec contribuirebbe a stimolare il commercio, garantire risorse energetiche e migliorare la connessione digitale, contribuendo nel contempo a normalizzare le relazioni tra Israele e Stati del Golfo. Ma soprattutto si muove su un asse globale alternativo alle mire strategiche cinesi. Nel progetto assumerebbe un ruolo centrale anche l'Italia, grazie alla sua posizione geostrategica nel Mediterraneo. 

Mappa del corridoio dell'Imec (Fonte: India Today)

Andiamo con ordine. La merce potrebbe circolare su un doppio corridoio, biforcato in due direttrici, ferroviarie e marittime, che collegheranno l'India ai Paesi del Golfo e questi ultimi all'Europa. Vediamo nel dettaglio come dovrebbe funzionare. I prodotti partirebbero via mare dalla città indiana di Mumbai per arrivare agli Emirati. Da qui, proseguirebbero su rotaia verso l'Arabia Saudita e al resto dell'area. Dalle ferrovie saudite, la merce potrebbe entrare in Israele, attraverso la Giordania, e arrivare al porto di Haifa che si affaccia sul Mediterraneo. Da qui, i prodotti potrebbero essere imbarcati di nuovo sulle navi e spedite al porto greco del Pireo (nelle mani della compagnia statale cinese Cosco) per poi diramarsi in tutta Europa. 

Tempi e costi del progetto

Il condizionale è però d'obbligo. Il piano, che vede la partecipazione anche degli Stati Uniti, non è ancora stato delineato dei dettagli, ma è chiaro che l'intento è quello di innescare una mole di investimenti infrastrutturali che faccia da contraltare a Pechino. Con Cina e India ai ferri corti (a causa dell'insofferenza di Pechino per il ruolo dell'India nell'area dell'Indo-pacifico, per gli scontri militari sulla zona di confine e per le rivendicazioni cinesi sull'intero Stato indiano dell'Arunachal Pradesh, solo per citarne alcune), il progetto vuole dare una ulteriore spinta al commercio tra subcontinente indiano e l'Europa per un 40 per cento in più. Inoltre, il piano infrastrutturale potrebbe contribuire a normalizzare le relazioni tra Israele e gli Stati del Golfo, motivo per cui gli Stati Uniti sono direttamente interessati. L'iniziativa è allineata con la Global Gateway, lanciata dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, durante il Discorso sullo Stato dell’Unione pronunciato nel 2021 per mobilitare finanziamenti fino a 300 miliardi di euro per progetti infrastrutturali nei Paesi in via di sviluppo entro il 2027.

Dopo mesi di negoziati segreti, Stati Uniti, India, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Germania, Francia, Italia e Unione Europea hanno firmato un memorandum di intesa (che si può leggere qui) in cui però sono delineati solo i contorni del progetto. La firma è stata annunciata durante l'evento Partnership for global infrastructure and investment and India-Middle East-Europe economic corridor che intende valorizzare il lavoro svolto dalla Partnership for Global Infrastructure and Investment (PGII), creata dal G7 per contrastare la Cina nella regione dell'Asia-Pacifico.

Cosa succede ora? Il prossimo passo sarà che i Paesi firmatari creino gruppi di lavoro entro 60 giorni per sviluppare una lista di progetti per l'energia, le ferrovie, ma anche per cercare finanziamenti privati. Si prevede che sul piatto saranno messe risorse per 600 miliardi di dollari, con l'obiettivo di sostenere i Paesi a basso e medio reddito nella costruzione di infrastrutture sostenibili secondo i principi di trasparenza degli investimenti. 

Ma i dubbi sono molti

La rotta tracciata dall'Imec comporterebbe un vantaggio di sette giorni per il trasporto delle merci rispetto a quella via nave che dall'India risale Suez. Ma le difficoltà sono molte. Ne è convinto Jacopo Scita, PhD, policy fellow alla Bourse and Bazaar Foundation di Londra, che a Today.it ha spiegato come i Paesi del Golfo, che vantano di una stabilità interna e una propensione istituzionale agli investimenti infrastrutturali, vedranno però la realizzazione di questi corridoi in un arco temporale molto lungo.

Il ricercatore, sollevando dubbi sulla convenienza economica del progetto, sottolinea comunque il vantaggio politico che potranno trarre tutti gli attori coinvolti. "Anche in risposta alla Cina, la costruzione di un asse di connettività multiregionale e intermodale ha certamente un valore geopolitico - precisa Scita -, ma dal punto di vista pratico ed economico rimangono aperti diversi interrogativi sull'implementazione del progetto". L'enfasi e la soddisfazione dei Paesi firmatari del memorandum hanno fatto emergere le preoccupazioni per le risposte della Cina nei confronti dei Paesi del Golfo e Israele con cui, negli ultimi anni, il gigante asiatico ha rafforzato i legami diplomatici ed economici.

Perché la Cina vuole fare più affari con i paesi arabi

"Non credo - sostiene Scita - che Arabia Saudita ed Emirati Arabi si pongano il dilemma di dover scegliere se recidere o meno i rapporti con il gigante cinese o uscire dalla Belt and Road Initiative". Per lo studioso, il messaggio politico e geopolitico è molto chiaro ed è diretto alla Cina che, negli ultimi dieci anni, ha ramificato le sue relazioni economiche e geopolitiche grazie al progetto della Nuova Via della Seta. I Paesi che aderiscono all'Imec vogliono così proporre un nuovo modello infrastrutturale alternativo a quello cinese che ha mostrato debolezze dal punto di vista di efficienza e affidabilità (basti pensare a molti Paesi che sono finiti nelle cosiddette trappole del debito).

Quali sono i vantaggi per l'Italia?

Sulla carta il progetto sembra quindi vincente. E a trarre vantaggio potrebbero essere tutti gli attori protagonisti, in particolare l'Italia. Roma, infatti, è parte attiva del piano e gioca un ruolo cruciale grazie alla sua posizione geostrategica che la fa essere centrale nelle dinamiche del Mediterraneo.

Potrebbero essere soprattutto le aziende italiane - e quindi i lavoratori - a ottenere un ottimo ritorno economico dall'ingresso del progetto: molte imprese, come Fincantieri o Trenitalia, hanno competenze adatte per svolgere un ruolo chiave nello sviluppo delle infrastrutture dei Paesi di transito.

Ma la Cina come valuterà i movimenti dell'Italia verso l'India? Curioso è che la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, abbia deciso di aderire al progetto che si propone come un'alternativa a quello cinese proprio nel momento in cui ha annunciato l'addio dell'Italia alla Nuova Via della Seta. "Non è casuale la tempistica - sostiene Scita -, anche se resta chiaro l'intento del governo Meloni di confermare la posizione atlantista dell'Italia". Un atlantismo che presenta non poche sfide, come la gestione dei rapporti con la Cina all'indomani dell'uscita della Nuova via della Seta. Ma Roma esce comunque rafforzata dal G20 in India, affermando un protagonismo in una iniziativa strategica che la allontana da Pechino, ma la avvicina a Washington e New Delhi. E poco importa delle contromisure cinesi. Almeno per ora. 

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