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Lunedì, 29 Aprile 2024
L'intervista

"I palestinesi non sostengono Hamas ma chiunque sia disposto a combattere"

Per Nur Arafeh, studiosa del Carnegie Middle East Center, gli abitanti di Gaza e Cisgiordania si sentono abbandonati da tutti, dirigenza politica, Paesi arabi e comunità internazionale, ma vogliono resistere all'occupazione

I palestinesi vivono da anni sotto occupazione e vedono costantemente i loro diritti negati, si sentono abbandonati dalla dirigenza politica ma anche dai Paesi arabi e dalla comunità internazionale. Eppure continuano a resistere e pur sentendosi messi all'angolo vogliono combattere. Dopo l'attacco di sabato scorso da parte di Hamas, in cui sono stati uccisi oltre 1200 israeliani, Tel Aviv sta lanciando pesanti bombardamenti su Gaza che hanno causato già la morte di 1.417 persone, il ferimento di altre 6mila e hanno lasciato 300mila persone senza una casa, su una popolazione di circa 2 milioni di abitanti. In vista della campagna di terra ai residenti del Nord della Striscia è stato chiesto di spostarsi al sud, l'Onu ha avvertito che le conseguenze umanitarie potrebbero essere "devastanti". Secondo Nur Arafeh, ricercatrice del Malcolm H. Kerr Carnegie Middle East Center, centro studi che fa parte del Carnegie Endowment for International Peace, storico think tank statunitense che ora sedi in diverse parti del mondo, il diritto di Israele di difendersi non può però significare accettare un "massacro" di palestinesi a Gaza. A suo avviso per capire come si è arrivati all'attacco di Hamas, bisogna voltare lo sguardo indietro e considerare "75 anni di oppressione", nonché le politiche messe in campo dall'ultimo governo di Benjamin Netanyahu, il più estremista della storia del Paese.

Gli aggiornamenti dal conflitto in diretta

"Gli attacchi di Hamas non sono un evento improvviso e inaspettato, ma devono essere inseriti nel più ampio contesto dell'occupazione della Palestina. Sono una risposta a 75 anni di oppressione, apartheid, violenza da parte dei coloni, confische di case, distruzioni di abitazioni e campi coltivati e a 16 anni blocco su Gaza, con la Striscia che è bloccata da terra, cielo e mare, e in cui ci sono state dal 2008 già quattro invasioni che hanno causato migliaia di morti, principalmente civili e bambini, con intere famiglie cancellate dalla faccia della terra. E gli attacchi e le uccisioni sono avvenute anche in Cisgiordania e sono aumentate nell'ultimo anno da quando si è insediato il nuovo governo di Netanyahu", dice la studiosa a Today.it in collegamento video parlando dal suo studio in Virginia, negli Stati Uniti. Prima che iniziasse il conflitto l'Onu aveva dichiarato che il 2023 è stato l'anno più letale per i palestinesi nella West Bank da quando è iniziato il conteggio nel 2006. Più di 200 palestinesi sono stati uccisi dal fuoco israeliano dall'inizio di quest'anno, tra cui 40 bambini, un numero più alto dell'intero 2022, quando i decessi erano stati 155.

"Da parte della dirigenza israeliana è in atto una vera e propria deumanizzazione dei palestinesi, il ministro della Difesa, Yoav Gallant, ha detto di stare combattendo contro animali nell'annunciare il blocco totale di luce, acqua e provviste a Gaza, che avrà un impatto tremendo sulla popolazione. E l'esercito sta bombardando moschee (ne sono state colpite almeno 4, ndr) dove ci sono civili che stano cercando riparo, hanno colpito scuole dell'Onu, ospedali, ambulanze, edifici presidenziali in cui ci sono semplici cittadini e hanno sterminato intere famiglie".

Per Arafeh il conflitto con ogni probabilità si estenderà ad altre parti della Palestina. "Certo per il momento possiamo solo fare speculazioni, ma già vediamo proteste in tutta la Cisgiordania, scontri con i soldati, attacchi da parte dei coloni, che hanno anche dato fuoco a un bambino a Hebron. Con il passare del tempo gli scontri saranno sempre più intensi", e il conflitto potrebbe estendersi anche oltre i confini di Israele. Hezbollah, altra milizia islamica come Hamas che si trova in Libano, "per il momento si sta limitando ad attacchi sporadici e bilanciati, a cui l'esercito israeliano risponde cercando di non alzare l'intensità, ma se come sembra Tel Aviv disporrà l'attacco via terra a Gaza, allora la milizia potrebbe essere più coinvolta", ha ipotizzato la studiosa.

Gli errori di Israele che hanno reso possibile l'attacco di Hamas

Il consenso nei confronti di Hamas è piuttosto alto, o meglio, è alto non il consenso verso l'organizzazione islamica in sé, ma i palestinesi sarebbero favorevoli alla resistenza contro le azioni israeliane. Per i palestinesi "non c'è stato nessun reale orizzonte politico negli ultimi anni e c'è un vuoto di leadership, soprattutto da parte dell'Autorità nazionale palestinese, a cui manca una strategia e visione per arrivare all'autodeterminazione, e a questo si aggiunge un senso di abbandono da parte dei poteri regionali, dei governi degli altri Stati arabi, ma anche della comunità internazionale che ha voltato lo sguardo dall'altra parte rispetto ai crimini commessi finora da Israele, dando a Tel Aviv un senso di totale impunità. E in questo la comunità internazionale ha sbagliato, ha dato troppo supporto a Israele senza pretendere in cambio obblighi verso la popolazione palestinese. Per Tel Aviv il costo dell'occupazione è inferiore ai suoi benefici e questo ha reso conveniente mantenere lo status quo", e non a caso non è stata mai offerta la reale possibilità ai palestinesi di avere il riconoscimento di un loro Stato.

Ma al di là di quanto accaduto nel passato, dopo il tremendo attacco di Hamas, che ha causato la morte di centinaia di civili innocenti, resta la questione del diritto di Israele a difendersi. "Israele ha sempre avuto questo diritto, mentre i palestinesi mai. Il punto comunque è come si realizza questo diritto a difendersi: uccidendo civili, bambini e intere famiglie, distruggendo abitazioni e ospedali? A Gaza è già in corso un massacro e ora potrà andare solo peggio. Se questo significa difendere credo che bisogna ridefinire l'intero concetto di autodifesa".

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