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Domenica, 28 Aprile 2024
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Mazzette e ospedali privati, la Cina scopre la "malattia italiana"

Salari bassi, violenze da parte dei pazienti, turni massacranti: sembra un ospedale italiano ma è la Cina. Medici e infermieri fuggono nel sistema ospedaliero privato o accettano mazzette, con il rischio di finire nella rete della campagna anti-corruzione lanciata dal governo

A pochi mesi dalla fine della politica cinese Zero Covid, nella città di Wuhan, la stessa in cui è scoppiato il primo focolaio al mondo del Covid-19, migliaia di pensionati sono scesi in strada per esprimere il proprio malcontento nei confronti del governo di Pechino, che aveva deciso di tagliare il finanziamento alla sanità pubblica. Le rimostranze non hanno sortito l'effetto desiderato dal momento che le autorità cinesi continuano a sostenere che la misura economica, che varierà da provincia a provincia, porterà a più servizi medici ambulatoriali. Spiegazioni che però non convincono gli anziani cinesi. 

L'arrivo del privato

Dopo l'incessante crescita economica segnata con il periodo delle riforme a cavallo tra gli anni '70 e gli '80 dello scorso secolo, il gigante asiatico ha rivisto il suo sistema sanitario. Prima del piano economico lanciato dal "Piccolo Timoniere" Deng Xiaoping, la Cina forniva assistenza medica per l'intera vita della persona, con lo Stato che copriva tutti i costi. Poi sono arrivate le riforme di mercato negli anni '80 che hanno concesso agli ospedali maggiore autonomia di spesa in cambio di minori finanziamenti da parte del governo centrale. Il cambiamento ha visto l'assistenza sanitaria pubblica concedere maggiore spazio al business del settore privato.

Un medico controlla le condizioni di un paziente all'ospedale Jinyintan, designato per pazienti critici affetti da COVID-19, a Wuhan, Cina (marzo 2020, LaPresse)

La situazione è peggiorata nel 2020. Quello dei costi della sanità è diventato un argomento scivoloso dopo il Covid. Negli anni della stringente politica Zero Covid, i governi locali hanno dilapidato le proprie risorse per finanziare i tamponi di massa e i lockdown, alimentando un malcontento popolare per un sistema che evidenzia le disparità socioeconomiche in Cina. Le differenze risaltano all'occhio se si osserva la qualità dei servizi sanitari offerti nelle grandi città e nelle zone rurali e, soprattutto, se si guarda a chi ha la possibilità di accedervi.

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Anche il leader cinese, Xi Jinping, è consapevole di come le disparità socioeconomiche si riflettano direttamente sulla salute dei cittadini cinesi. "Dovrebbero essere compiuti sforzi per aumentare il salario e le cure, lo spazio di sviluppo, ambiente e status sociale degli operatori sanitari in modo da renderli più attivi", è stato il monito lanciato dal presidente Xi durante il National Meeting on Health, che si è tenuto nel 2016 a Pechino.

Da quell'anno numerose cose sono cambiate, complice lo scoppio della pandemia che ha messo in luce ulteriori carenze del sistema sanitario nazionale.

Il 95 per cento dei cinesi ha un'assicurazione, ma con le dovute differenze

La Cina sta portando avanti sforzi significativi per investire nelle infrastrutture sanitarie ed estendere l'assistenza medica al maggior numero di cittadini. Tanto che per rendere più omogenea l'accessibilità dei servizi, ma anche per abbattere il fenomeno della corruzione dei dirigenti e operatori sanitari, il governo centrale ha attuato diverse riforme che prevedono l'aumento dei finanziamenti per il sistema di assicurazione medica e la promozione dell'uso di farmaci generici.

Tra i piani intrapresi di recente, c'è l'Healthy China 2020, varato nel 2009, che ha permesso al 95 per cento della popolazione di ottenere una copertura assicurativa sanitaria di base: si tratta di un successo senza precedenti se si considera che nel 2003, il 45 per cento della popolazione urbana e il 79 di quella rurale non erano coperti da regimi di assicurazione sanitaria sociale. 

Una dottoressa durante un consulto con un paziente, sede centrale di JD.com a Pechino, marzo 2020 (LaPresse)

Ancora in atto, invece, è la riforma Healthy China 2030, varata nel 2016, che mira a rendere entro il nuovo decennio il sistema sanitario cinese più efficiente, grazie a maggiori ricerche scientifiche e investimenti nel settore tecnologico e intelligenza artificiale.

"Queste riforme, accelerate durante il Covid, hanno portato a diversi progressi" spiega a Today.it Francesca Spigarelli, docente di Economia Applicata all'Università di Macerata e autrice del volume The Globalization of China's Health Industry. Industrial Policies (insieme ai colleghi Marco R. Di Tommaso, Elisa Barbieri e Lauretta Rubini). "Oggi la maggiore parte della popolazione ha una copertura assicurativa per pagare le cure, ci sono più strutture sanitarie sul territorio e un maggiore utilizzo della tecnologia e dell'intelligenza artificiale per le cure anche da remoto. Ma ci sono - precisa la docente - ancora tantissime lacune e problematiche relative alla qualità dell'assistenza, disuguaglianze nell'accesso ai servizi, corruzione e inefficienze nella gestione delle strutture sanitarie e nel sistema dei rimborsi assicurativi". 

Il punto di (non) svolta sembra essere il 2020. La pandemia ha ritardato l'attuazione e l'implementazione dell'attuale riforma sanitaria nel Paese, sostiene a Today.it Yanzhong Huang, Senior Fellow for Global Health del think tank statunitense Council on Foreign Relations, precisando che la gran parte dei fondi del Governo sono stati destinati all'aumento dei posti letto negli ospedali pubblici delle principali città cinesi per la cura dei pazienti colpiti dal Covid-19. A farne le spese, invece, sono stati gli istituti sanitari privati che non potevano ricoverare i pazienti positivi al virus, subendo quindi un calo delle entrate.

Con la fine dell'emergenza sanitaria anche in Cina, il governo centrale ha adottato diverse misure per cercare di stimolare la crescita economica. Ma le cose non stanno andando come previsto.

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La ragione sta nella revisione a ribasso della ripresa del gigante asiatico: la Banca Mondiale stima che la produzione economica cinese crescerà del 4,4 per cento nel 2024, in calo rispetto al 4,8% previsto ad aprile e inferiore rispetto agli obiettivi di crescita del 5% previsti da Pechino. Con meno soldi nelle casse statali si registra una riduzione dei fondi che Pechino indirizza ai diversi governi locali e, di conseguenza, al settore sanitario. 

Come funziona la sanità in Cina?

Cerchiamo di capire innanzitutto come funziona la sanità nella Repubblica popolare. Il modello sanitario cinese ha una gestione piramidale. Il governo centrale, quello di Pechino, delinea le risorse da destinare alla sanità sulla base di strategie e riforme nazionali, dopo una valutazione dell'andamento economico del Paese. Alle singole province, invece, spetta la gestione delle risorse sanitarie che, però, deve rientrare negli obiettivi individuati dal Partito comunista. Per questo non manca un bilanciamento tra l'operatività nazionale e quella locale, che varia da provincia a provincia.

Il sistema sanitario cinese, spiega Spigarelli, è finanziato da tre grossi macro pilastri: il governo, che con la sua spesa pubblica contribuisce prevalentemente alla gestione dei piani di prevenzione e che finanzia le assicurazioni sulla salute. Ci sono poi i contributi sociali che vanno a coprire tutte le forme di assicurazione e, infine, i pagamenti diretti che i cittadini vanno privatamente a sostenere. Volendo dividere in percentuale, il governo copre circa il 30 per cento delle risorse destinate alla sanità, mentre la restante parte viene reso dalla popolazione: un 30 per cento arriva dal pagamento diretto dei cittadini e il restante 40 dai contributi sociali.

Attenzione, però, non ci troviamo di fronte a un sistema "universalistico", come il nostro. Come spiega la docente dell'Università di Macerata, le riforme intraprese hanno certamente garantito a tutti i cittadini maggiore accesso all'assicurazione sanitaria pubblica, ma questa generalmente copre solo le principali spese mediche, senza garantire quelle per le malattie gravi o croniche. Inoltre, ci sono tasse e premi assicurativi da pagare e i programmi non sono obbligatori per i singoli individui. Ciò significa che non tutti riescono ad accedere alla sanità pubblica.

Difatti, attualmente l'assicurazione medica di base si suddivide in due rami: l'assicurazione dei dipendenti e quella dei residenti. La prima copre la popolazione occupata urbana, in particolare i dipendenti urbani e i pensionati delle imprese statali, nonché gli attuali dipendenti di alcune imprese del settore privato; la seconda tipologia è destinata alla popolazione urbana non occupata e a quella rurale. In Cina, però, la copertura sanitaria non viene sovvenzionata direttamente e completamente dalle aziende, ma da un pool assicurativo del governo locale. Ed è qui che iniziano a mostrarsi le prime differenze socioeconomiche in ambito sanitario.

Come va negli ospedali cinesi?

La situazione negli ospedali pubblici, specie nelle città, è critica: i reparti sono sovraffollati e il personale sanitario è in affanno. A differenza dei dirigenti, i medici e infermieri non hanno benificiato della crescita economica del settore: la Repubblica popolare, che vanta una popolazione di 1,4 miliardi di persone, conta solo 2,5 dottori e 3,5 infermieri ogni 1000 abitanti - contro una media italiana di 4,4 camici bianchi  e 6,4 infermieri per 1000 abitanti - secondo gli ultimi dati dell'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE). 

Densità di medici per 1000 abitanti. Dati dell'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE))

Per questo, i medici e infermieri del settore pubblico, che lamentano salari troppo bassi, stress lavorativo e abusi da parte dei pazienti, preferiscono lavorare negli ospedali privati. "In Cina si riscontra un aumento del numero di controversie mediche e di violenza contro i camici bianchi - racconta Spigarelli - Ciò indica una mancanza di fiducia nella professione medica da parte della società. Connesso a questo è il tema della corruzione", afferma la docente, facendo riferimento a tangenti e mazzette in cambio di prescrizione di farmaci specifici o per l'approvvigionamento di dispositivi medici, oltre che all'accettazione degli hongbao (regali in denaro in pacchetti rossi) da parte dei pazienti. Ma gli operatori sanitari sono l'ultimo gradino di una piramide fatta di corruzione. I dirigenti degli ospedali sono infatti tra le principali vittime della campagna anti-corruzione lanciata da Xi Jinping. La stretta delle autorità rientra nel piano quinquennale 2023-2027 lanciato di recente dal Gruppo centrale di coordinamento anti-corruzione, che punta a correggere i diversi settori, tra cui quello della sanità.

La campagna anti-corruzione, che ha messo sotto inchiesta oltre 160 dirigenti sanitari, "è uno strumento nelle mani del governo cinese per risolvere problemi di breve termine, spingendo i funzionari del governo locale a rispettare le direttive di Pechino", precisa il professor Huang che sottolinea come la misura repressiva non sia sostenibile nel lungo periodo. Il problema, evidenzia l'analista del Council on Foreign Relations, sono gli scarsi investimenti che il governo destina agli ospedali pubblici, che sono quindi spinti a ricorrere a comportamenti orientati al profitto, seppur illegale. Con la campagna anti-corruzione, Pechino tenta di così di distogliere l'attenzione sulle reali responsabilità del governo. E le spese le pagano i cittadini e gli operatori sanitari. 

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