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Sabato, 27 Aprile 2024

Daniele Tempera

Giornalista

Il diritto allo studio è sacro ma in Italia è un lusso

Alla fine la bolla è scoppiata. Da Nord a Sud gli studenti protestano per l’alto costo degli affitti universitari ottenendo come tutta risposta dal ministro dell’Istruzione una polemica politica sintomatica della caratura della nostra classe dirigente attuale.

''I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi'' recita l’articolo 34 della nostra Costituzione. Eppure, come suggerisce il buon senso comune, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. E la realtà è che oggi lo studio costa. E non poco.

Gli studenti "senza casa" che dormono in tenda all'università

Quanto costa oggi studiare 

Secondo uno studio dell’UDU, l’Unione degli Universitari, frequentare l'Università in Italia costa almeno 11mila euro l’anno se si è fuorisede e 5mila se si rimane nella propria città. Sono cifre indicative ovviamente, che sono già mediamente più alte di quelle del resto d’Europa senza tener conto del caro affitti delle grandi città. Servirebbero almeno 15 miliardi di euro per rendere più sostenibili i costi sostenuti dagli studenti secondo lo studio: cifre molto lontane da quanto gli ultimi governi stanziano annualmente.

Ma del resto, da anni, l’istruzione in Italia non è una priorità. Secondo gli ultimi dati Eurostat investiamo quasi metà di quanto fa la Francia e 80 miliardi in meno di quanto fa la Germania. Guardando al rapporto tra spesa per istruzione e Pil, malgrado qualche timido miglioramento, siamo ancora nel fanalino di coda dei Paesi europei. Una dinamica che diventa ancora più evidente se si pone lo sguardo all’istruzione universitaria o di professionalità avanzate (stanziamo appena lo 0,3% rispetto al PIl).

Il costo dell’istruzione superiore è quasi interamente a carico delle famiglie e dei singoli e non è un caso che questa dinamica coincida con un ascensore sociale drammaticamente bloccato da 30 anni e con una crescente polarizzazione sociale

I laureati italiani hanno meno opportunità di quelli europei

Il punto è che non è detto che, una volta sostenuti questi costi, i risultati arrivino. Ha fatto il giro dei social il video della giovane ingegnera che denunciava, con orgoglio, di aver rifiutata una paga misera, di appena 750 euro al mese, per un lavorare all’interno dello studio tecnico dove aveva fatto anche lo stage.

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Una storia che non è purtroppo un’eccezione. Solo il 29,8% dei laureati di primo livello e poco più del 25% di quelli di secondo livello ha un contratto indeterminato a un anno dal conseguimento del titolo. Una percentuale peggiorata negli anni: nel 2008 erano rispettivamente il 41,8% e il 31,5%. E le cose vanno anche peggio se si guarda alla retribuzione. Come rivela Almalaurea, nel rapporto del 2021, dal 2010 a oggi le retribuzioni dei laureati in Italia sono rapportabili a quelle del 2008, con piccolissimi scatti solo se si guarda ai laureati più esperti (5 anni dal conseguimento del titolo). 

E il confronto con ciò che avviene di là dei nostri confini è imbarazzante. Un laureato italiano di primo livello, a cinque anni dalla laurea, guadagna rispettivamente 768 euro in meno al mese rispetto a uno che lavora all’estero. Una percentuale che aumenta se si guarda a chi risiede al centro (-880 euro) e quasi mille al Sud. Le cose non cambiano nel caso della laurea di secondo livello. In questo caso si guadagna in meno 650 euro se si è al Nord, 689 al Centro e 826 euro al mese al Sud.

Le cose non cambiano anche per il  tasso di occupazione. L’82,1% dei laureati italiani è occupato, una percentuale di 4,3 punti percentuali in meno rispetto alla media europea. Se guardiamo agli under 35 che hanno conseguito la laurea da uno a tre anni il gap arriva fino a 17,4 punti. Non stupisce quindi il fenomeno dei cosiddetti cervelli in fuga: quasi 26 mila connazionali laureati che hanno scelto di lavorare all’estero e che ci costano, secondo uno studio di Unimpresa, circa 3,6 miliardi l’anno.

Un modello di sviluppo che ci condanna al declino 

È legittimo, in questo contesto, che in molti si chiedano, studenti e genitori, se conviene o meno proseguire gli studi. La risposta è ovviamente affermativa: i laureati trovano più lavoro e sono pagati meglio anche da noi. Inoltre è innegabile che i benefici della cultura non siano quantificabili solo in ritorni economici e che l'istruzione aiuta a essere donne e uomini e migliori e cittadini consapevoli, al di là del lavoro che si vada poi a svolgere.

I 600 milioni per il caro affitti, fondi promessi e poi scomparsi

Non stupisce però che l’Italia sia ultima, insieme alla Romania per numero di laureati nella UE. E a ben vedere, tutto questo ha a che fare molto con il tipo di Paese che si vuole realizzare. E l’impressione è che da anni si punti sempre più su un modello basato sulla disponibilità di manodopera a basso costo, piuttosto che sull’innovazione e sulla produttività. Un Paese fermo sugli allori dei "bei tempi andati" mentre il mondo corre sempre più velocemente e dove il patto generazionale è saltato da anni.

L’Italia del 2023 assomiglia, sempre più pericolosamente, a quella terra ''Senza più padri da ricordare e senza figli da rispettare'' evocata da una fortunata canzone di Francesco De Gregori. E i figli sono sempre più una merce rara. I giovani sono oggi una minoranza della popolazione in Italia e per questo sono spesso praticamente privi di rappresentanza. Quando provano ad alzare la testa quello che trovano è paternalismo, da almeno 20 anni. Cominciare ad ascoltare realmente le loro istanze e investire realmente su formazione e innovazione potrebbe essere l'unico dei pochi antidoti per frenare un declino inesorabile al quale ci siamo condannati. Forse è troppo da chiedere a un Governo che suggerisce ai giovani disoccupati di ''lavorare nei campi piuttosto che stare sul divano'' e vuole vietare per decreto le parole straniere e ricerca, ma non ci sono alternative. Rendere nuovamente 'conveniente' lo studio per tutti, e non solamente per chi se lo può permettere potrebbe essere un primo passo. A maggior ragione per un Esecutivo che ha avuto la singolare idea di accostare la parola "merito" a quella di Istruzione.

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