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Domenica, 28 Aprile 2024
Cosa c'è da sapere

Cosa prevede il disegno di legge sull'Autonomia (e perché l'opposizione è sul piede di guerra)

Il testo del DDL Calderoli sull'autonomia differenziata è stato approvato ieri al Senato ed è in attesa ora di passare alla Camera: ecco cosa prevede e perché sta creando non poche polemiche

Al primo passaggio in Aula non sono mancati momenti di tensione. Durante il voto in Senato del DDL Calderoli sull'autonomia differenziata l'opposizione ha intonato l'inno di Mameli e sventolato bandiere tricolori per protesta. Ora la parola spetta alla Camera dove si preannuncia un'altra battaglia parlamentare. Ma cos'è il disegno di legge sull'Autonomia differenziata e perché sta agitando così tanto le acque della politica italiana? Andiamo con ordine e procediamo per punti. 

1) L'Autonomia differenziata esiste nella Costituzione, il DDL Calderoli è una legge ordinaria

In primis dobbiamo sottolineare che non è certo il disegno di legge che si sta votando alle Camere a istituire la cosiddetta "autonomia differenziata delle regioni italiane".  Tutto questo era già previsto dalla riforma del Titolo V varata dal centrosinistra nel 2001. Nell'articolo 117 vennero ai tempi individuate tutte le materie di competenza statale e quelle di materia "concorrente" tra Stato e autonomie locali. Tutte le materie non indicate rimanevano ad appannaggio delle regioni.

Non solo: nell'articolo 116 si specificava che le Regioni potessero chiedere ulteriori forme di autonomia allo Stato. "La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata" recita la carta costituzionale dopo la riforma del 2001.

Ed è proprio su queste basi che si innesta il disegno di legge Calderoli che non ha quindi valenza costituzionale, ma è una legge ordinaria dello Stato. Tradotto: servono due passaggi parlamentare e la maggioranza assoluta dei componenti per la sua approvazione. Attualmente la palla è passata al Parlamento. 

2) Cosa prevede la legge Calderoli

La legge si compone di 11 articoli in cui vengono indicate le procedure legislative e amministrative per l'applicazione del terzo comma dell'articolo 116 della Costituzione: ovvero quella che regola la concessione di "ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia". Mira quindi a definire le intese tra Stato e regioni. Le richieste devono partire dalle stesse Regioni sentiti gli Enti locali.

La materie di legislazione concorrente sono 23 e sono molto variegate: si va dalla tutela della salute all'istruzione, dallo sport all'ambiente, dall' energia ai trasporti, dalla cultura al commercio estero. Il rischio è ovviamente quello di trovarsi di fronte a uno Stato che viaggia a più velocità e a forte rischio frantumazione. Per evitare tutto questo si è pensato ai "Lep", acronimo che sta per Livelli Elementari di prestazione e proprio per questo Fdi ha varato un emendamento che modifica, in parte, il disegno di legge originale leghista. 

3) Cosa sono i Lep e a cosa servono 

Ulteriori forme di autonomia sono concessi solo sulla base della definizione dei Livelli Elementari di Prestazione (Lep), ovvero degli standard minimi di servizi che devono essere erogati sul tutto il territorio nazionale. Ma come avviene la definizione dei Lep? Sulla base della ricognizione storica (dell'ultimo triennio) della spesa dello Stato in ogni regione.

Un emendamento di Fratelli d'Italia stabilisce che ulteriori autonomie saranno concesse solo sulla base della definizione dei Lep e delle risorse erogate nella legge di Bilancio. Senza Lep e senza risorse quindi l'Autonomia di fatto non viene attuata. È prevista inoltre una sorta di "cabina di regia" statale che dovrà  provvedere a una ricognizione del quadro normativo in relazione a ciascuna funzione amministrativa statale e delle regioni ordinarie. 

4) Quali sono le tempistiche e che si intende per "clausole di salvaguardia" 

La deadline è fissata in due anni. Entro 24 mesi dall'entrata in vigore della legge il governo dovrebbe determinare i livelli e gli importi dei Lep per rendere la legge esecutiva. Il tempo per trovare un accordo tra Stato e Regioni, una volta definito questo passaggio, è invece di 5 mesi.

Nel testo rivisto in Commissione è stata inserita anche una clausola di salvaguardia: lo Stato può sostituirsi alle autorità regionali quando le autorità locali siano inadempienti nei confronti dei trattati internazionali e della normativa comunitaria. Ma anche nel caso che non riescano a soddisfare i livelli essenziali di prestazione (Lep) per quanto riguarda i diritti civili e sociali dei cittadini. 

5) Perché le opposizioni affermano che la riforma potrebbe spaccare l'Italia 

Quasi tutta l'opposizione è concorde: la riforma voluta dalla Lega aumenterà il divario tra le regioni italiane, in particolare tra Nord e Sud, soprattutto in settori strategici ed essenziali. Il rischio è quello di una vera e propria secessione "de facto" delle regioni del Nord a scapito di tutta l'unità nazionale. Forti dubbi si hanno, ad esempio, sulla tenuta del Servizio sanitario nazionale, già in crisi per le liste di attesa bloccate e per la scarsità di risorse investite a livello statale. In molti evidenziano inoltre come il "regionalismo" abbia portato a una sostanziale lievitazione dei costi per tutta la collettività piuttosto che a un contenimento della spesa pubblica. 

Le opposizioni vedono inoltre il pericolo dell'austerità di bilancio con il rischio di servizi essenziali, come la sanità, ridotta al collasso, e la ratifica del divario tra cittadini di "Serie A" e altri di "Serie B". Il Pd attacca in particolare Fratelli d'Italia colpevole di aver barattato questa riforma con quella del premierato forte. Ma le incognite sono tante, anche dal punto di vista amministrativo ed economico e a criticare la riforma c'è anche un report di Bankitalia dello scorso luglio. 

6) I dubbi di Bankitalia: la riforma potrebbe abbassare la produttività italiana

Le materie su cui le regioni potrebbero chiedere maggiore autonomie sono molte: dal commercio estero ai trasporti, dall'istruzione alla ricerca scientifica e il punto è che per molti di questi settori servirebbe coordinazione a livello nazionale (e spesso anche sovranazionale). Lo afferma Bankitalia in una relazione messa a disposizione del Senato. In particolare il rapporto evidenzia come durante la pandemia l'Italia abbia pagato la sua frammentazione regionale a livello sanitario. Per Via Nazionale il decentramento non conviene sempre e bisognerebbe produrre analisi "caso per caso", per capire quando è il caso di concedere maggiore autonomia. 

Per Bankitalia con questa riforma lo Stato perderebbe inoltre il controllo di una parte rilevante della spesa pubblica con il compito, tra gli altri, di dover intervenire, più di quanto faccia ora, in caso di dissesto delle finanze regionali. Non solo: la riforma abbasserebbe anche uno dei talloni d'Achille della nostra economia, vale a dire la produttività.

Il decentramento dei servizi andrebbe in direzione opposta del risparmio realizzabile utilizzando grandi centri per una questione di quella che in economia viene definita "Economia di scala". Con questo termine  si intende relazione esistente tra aumento della scala di produzione (di un'impresa, di un'unità produttiva o di un impianto) e la diminuzione del costo unitario del prodotto. Per fare un esempio comprensibile a tutti: uno stesso servizio sanitario potrebbe utilizzare la stessa piattaforma informatica e lo stesso servizio contabile o rivolgersi agli stessi produttori di beni per abbattere i costi. Le cose sono molto più complicate quando i centri sono frammentati e non coordinati tra di loro a livello nazionale. Il rischio è quindi quello di avere dei servizi più costosi e qualitativamente "meno efficienti", specialmente nelle regioni più povere del Paese. 

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