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Lunedì, 29 Aprile 2024
L'intervista

Aumentare le pensioni e sfondare il debito pubblico: il sogno di Borghi, il "giapponese" della Lega

Il senatore, membro della commissione bilancio del Senato, a Today.it rilancia il modello del governo di Tokio, che spende il 250 per cento in più rispetto a quanto produce

Senatore Borghi, cos'è questa storia delle pensioni giapponesi?

"Il discorso ovviamente è lungo e complesso, però se vogliamo fare un parallelo possiamo dire che le economie dell'Italia e del Giappone non sono così differenti. E se uno considera l'economia del Giappone molto più solida della nostra a fronte del debito del 250% rispetto al Pil, beh… forse la narrazione secondo cui la solidità dell'economia dipende dal debito non è poi così vera".

Il rapporto debito pubblico italiano sul Pil è del 145 per cento, quindi siamo ricchi?

"Non ci sono particolari differenze di crescita fra il Giappone e l'Italia, è un Paese che cresce più o meno come noi, con una situazione demografica abbastanza simile alla nostra. Perché dovrebbero essere considerati più solidi?".

In realtà le economie dei Paesi non sono così simili come sostiene Borghi. Il Giappone paga interessi sui titoli di Stato ben più bassi dell'Italia: perché quel debito pubblico, a differenza di quello italiano, gli investitori lo considerano sostenibile. E poi perché il suo 90 per cento è in mano a banche, fondi pensione, assicurazioni e risparmiatori giapponesi, quindi quel debito ha il vantaggio di essere protetto dalle speculazioni dei mercati. Borghi ha lanciato il suo "modello giapponese" in un post su X che ha fatto discutere. Nello stesso commento, ha parlato del rapporto tra immigrati e pensioni, riprendendo il vecchio adagio leghista secondo cui l'immigrazione è un costo e non un'opportunità, tesi che però si scontra con i numeri dei dati Istat e persino con le idee di alcuni compagni di partito dello stesso senatore, come il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia.

Insomma, il debito giapponese è più alto ma più garantito. E poi i giapponesi, quando necessario, lavorano anche dodici ore al giorno, sacrificando la loro vita personale. Dovremmo fare lo stesso?

"No, la domanda è: perché il debito del Giappone non crea nessun problema? Non certo perché è in mano solo ai giapponesi: se a un certo punto i giapponesi percepissero che l'economia del loro Paese non va bene venderebbero esattamente come gli italiani. Non è che il fatto di avere in mano il proprio titolo di Stato comporta una maggiore o minore sicurezza; se così fosse l'investitore domestico non venderebbe mai, invece vende. In realtà nessuno si pone il problema della sicurezza del titolo di Stato giapponese, mentre a quelle condizioni un Paese come l’Italia sarebbe considerato in bancarotta. E questo per un motivo semplice: hanno la loro banca centrale".

Ah, dimenticavo, lei vuole uscire dall'Europa. Senza l'euro però la nostra economia verrebbe affossata dal costo delle materie prime...

"Su quello le mie convinzioni sono arcinote, però sono questioni diverse: se a un certo punto i prezzi dei titoli di Stato giapponesi cominciassero a vacillare, la banca centrale comprerebbe i titoli sul mercato e i prezzi smetterebbero di vacillare. È accaduto in Europa durante il lockdown, quando Lagarde fu presa per la giacchetta si dovette inventare il PEPP, il Programma di acquisto per l’emergenza pandemica: magicamente, come fosse arrivata la fatina di Biancaneve, i tassi andarono a zero su tutta l’Eurozona".

Ma lì c’era un’emergenza che coinvolgeva tutti i Paesi dell'Unione. Era tutto fermo, l'economia paralizzata...

"Perché ci auto creiamo dei problemi? La mia risposta è che in Europa si auto creano i problemi semplicemente per ricattare gli Stati membri. C'è uno stato membro che non si comporta bene secondo l'ottica del momento? Non c'è problema, si smette di comprare i titoli di Stato di quel Paese lì e in questo modo viene disciplinato". 

Parliamo di immigrati. Lei scrive "non solo non ci pagano le pensioni ma ci costano". Non è proprio così: in realtà l’Istat ci dice che costituiscono l'8,6 per cento della popolazione e producono il 9 per cento del prodotto interno lordo. E sì Borghi, ci aiutano anche a pagare le pensioni…

"Questo discorso è totalmente falsato perché l’Istat inserisce nell'elenco i lavoratori che sono in regola e che sono stati assunti in un momento di enorme espansione, pensiamo all’industria veneta nel 2000. In questo momento abbiamo un tasso di disoccupazione che è ancora ben lontano da quello della piena occupazione, non ci vuole un genio a capire che se arriva qualcuno in più, questo qualcuno in più è un peso per l'economia dello Stato e non è una risorsa".

Veramente in quell’elenco ci sono anche lavoratori dei servizi, badanti, operai edili. Non sono risorse?

"Ma certo, ci sono alcuni assunti che continuano a lavorare, magari sono da vent'anni in aziende di costruzione o nelle fabbriche, oppure sono domestiche o simili: nessun problema, ma in questo momento noi abbiamo un tasso di disoccupazione elevato e non è che oggi arriva lo scienziato nucleare o qualche professionalità che noi non abbiamo".

E allora perché il decreto flussi varato dal vostro governo prevede 452 mila nuovi ingressi? Non vi siete parlati?

"Il decreto Flussi regolarizza delle situazioni che sono già in essere, soprattutto per quello che riguarda la cura alla persona, dove peraltro c'è un grosso turnover: non è che c'è un enorme aumento. Ci sono molte persone che tornano nei loro Paesi e vengono sostituite da altri. Il numero delle badanti non è in vertiginoso aumento".

Mi faccia capire, a fronte di un fabbisogno di oltre 833 mila unità dichiarato dalle imprese, il governo fa entrare solo badanti che sostituiscono altre badanti?

"In questo momento c'è disoccupazione italiana e gli stranieri possono fare due cose: o entrare nella delinquenza, come la stragrande maggioranza di loro che non troveranno lavoro e magari li trovi nelle strade o mantenuti nei centri di accoglienza, oppure rientrare nel decreto flussi, quindi essere messi in regola. Questi ultimi, in presenza di disoccupazione italiana, com’è che trovano posto? Semplicemente perché prendono stipendi inferiori a quelli che prenderebbe un italiano".

Sta dicendo che le imprese italiane chiedono più di 800 mila lavoratori per sottopagarli?

"Certo. Il loro interesse è quello di pagare il meno possibile. Meno pagano i stipendi è più alto è il profitto. Il mio mondo ideale, le ripeto, è quello giapponese, dove si fa entrare l’immigrato solo se non c’è un giapponese disposto a fare quel lavoro lì. Penso che siano tanti italiani che farebbero volentieri anche i badanti se solo gli fossero offerti stipendi dignitosi".

Oddio, sarà mica favorevole al salario minimo?

"Io non sono mai stato contrario a prescindere, se devo essere sincero; ma penso che debba essere ponderato con molta attenzione. La proposta frettolosa che era stata presentata non mi convinceva, perché di solito, in Italia, se si fissa un minimo per legge, quello diventa anche il massimo".

Quindi lei non sarebbe contrario al salario minimo ma in Italia, a differenza... che so... del Giappone, gli imprenditori se ne approfitterebbero. 

"Non so se si ricorda quando c'era il minimo del valore catastale per le case: pagavano in chiaro il valore catastale, poi il resto se lo giravano in contanti".

Quindi per lei gli immigrati non servono, eppure anche i governi di destra hanno fatto diverse sanatorie, sin dai tempi della Bossi-Fini. Non è un controsenso?

"Ce ne sono state anche delle altre. L’idea era di fondo era un po’ quella dei condoni: prendo, regolarizzo quello che c'è e poi chiudo le porte. Abbiamo visto che è un po' più difficile del previsto".

La realtà che ci dice che un'Italia fuori dall'eurozona sarebbe massacrata dai mercati. E immaginiamo come saremo ridotti oggi se il Paese avesse dovuto affrontare il periodo della pandemia senza le protezioni che ci sono state garantite e senza poter accedere successivamente ai fondi del Pnrr. E poi c'è una questione meramente culturale: i manager giapponesi che sbagliano strategia fanno harakiri, cioè si mandano all'altro mondo. Da noi nel migliore dei casi restano al loro posto, nel peggiore si buttano in politica e magari diventano ministri.

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