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Sabato, 27 Aprile 2024
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I tre (grossi) problemi del centrodestra

L'indicazione del nome del candidato premier prima del 25 settembre non ci sarà (Meloni ci sperava). La suddivisione dei collegi è un rebus molto complicato da risolvere. La defezione dell'ala moderata di Forza Italia rischia di avere un peso superiore al previsto

Se al centro e a sinistra i dubbi sulle varie alleanze in vista del 25 settembre sono numerosi, anche a destra i problemi non mancano. Tra i nodi da sciogliere nel centrodestra c'è, in primis, quello di come dividersi le candidature nei collegi uninominali: Fdi preferirebbe che si tenesse conto delle percentuali di consenso che i partiti hanno attualmente nei sondaggi ("Per i collegi sarà tutto più facile di come si racconta. Si è sempre fatta la media dei sondaggi" dice Rampelli) mentre azzurri e Lega ritengono che si debba comunque tenere in considerazione anche lo storico degli ultimi anni. Ma ci sono anche altri scogli, dall'indicazione del candidato a Palazzo Chigi (non sarà "preventiva", Meloni ci sperava) alle conseguenze dell'esodo da Forza Italia.

Chi sarà il candidato premier?

In ballo c'è soprattutto la questione del candidato premier. Meloni rivendica il criterio sempre utilizzato in passato, ossia che tocchi al capo del partito che prende un voto in più degli alleati. Salvini e Berlusconi continuano a spiegare che la faccenda sarà invece affrontata più avanti. Indiscrezioni maliziose ipotizzano un "diabolico meccanismo" a cui starebbe lavorando qualcuno dentro Lega e Forza Italia: il candidato premier lo esprime chi prende il 50% più 1 dei voti della coalizione. In questo modo Lega, Forza Italia e i centristi si tengono di fatto aperta una possibilità: sommando le rispettive percentuali, la possibilità di superare Fdi è concreta. Difficile che Meloni accetti un piano del genere, se ne parlerà comunque solo ad agosto. Ma se a destra si aspettano che prima del voto arrivi l'incoronazione di Meloni candidata premier da parte di Berlusconi, probabilmente si sbagliano: "Non è il momento di parlare di nomi e leadership", dice la fedelissima Licia Ronzulli. E chissà se quel momento arriverà prima del 25 settembre. Forse no.

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"Se non dovessimo riuscire a metterci d’accordo su questo, non avrebbe senso andare al governo insieme". Giorgia Meloni, leader di Fratelli d'Italia, risponde così al Tg5 a una domanda sul nodo della premiership all'interno del centrodestra a due mesi dalle elezioni politiche 2022. "Confido che si vorranno confermare, anche per ragioni di tempo, regole che nel centrodestra hanno sempre funzionato, che noi abbiamo sempre rispettato e che non si capisce per quale ragione dovrebbero cambiare oggi", aggiunge.  Le parole della leader di Fratelli d’Italia arriva all’indomani delle voci che vorrebbero il Ppe preferirle come premier Antonio Tajani. E dopo l’uscita dell’articolo del New York Times, che ricordava però nulla più di un dato di fatto, ovvero la presenza di nostalgici del fascismo dentro il suo partito.

La Lega di Matteo Salvini è staccata nei sondaggi di almeno dieci punti da FdI, e il segretario pare ormai "rassegnato" ad accontentarsi del Viminale nel futuro possibile governo delle destre: "Lasciamo a sinistra divisioni e litigi. Chi avrà un voto in più avrà l’onore e l’onere di indicare il premier", ha detto ieri. Una campagna elettorale, quella di Salvini,  tutta incentrata sul tema sicurezza: "Sono ormai quotidiane le notizie di violenza che arrivano dalle città: non vediamo l’ora di tornare al governo con il centrodestra per riportare buonsenso e regole con i nuovi Decreti Sicurezza", dice il leader della Lega.

E' però sempre in campo anche l’ipotesi che a indicare il premier siano gli eletti dei tre partiti di centrodestra dopo il voto. Giorgia Meloni non ci sta e ricorda come nelle precedenti elezioni il centrodestra si fosse recato al Quirinale per chiedere che venisse conferito l’incarico a Matteo Salvini: la Lega aveva preso più voti nella coalizione di centrodestra. Tuttavia una "incoronazione" di Meloni già ora, sulla base dei sondaggi, non conviene a Salvini e Berlusconi, che vogliono per due lunghi mesi giocare il ruolo di forze trainanti del centrodestra. 

La scelta del candidato premier interno al centrodestra "è un tema che non mi appassiona. Non mi sembra che a sinistra abbiano indicato alcun candidato". Il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, si tiene lontano dalle polemiche circa la premiership interna. E dalle pagine del Corriere dice: "Agli italiani interessano le nostre proposte per uscire dalla crisi, per dare speranze ai giovani e sicurezza agli anziani, per ridurre le tasse e creare occupazione, per tagliare la burocrazia, per difendere l'ambiente. Non mi pare che i nostri avversari abbiano indicato un candidato premier". Quanto alle voci circa un suo ruolo come presidente del Senato in cambio della spallata al governo Draghi, il leader azzurro respinge del tutto il retroscena: "Io non ho bisogno di alcuna ricompensa. Chi ha voluto indicarmi per la seconda carica dello Stato ha compiuto un atto di riguardo e di amicizia nei miei confronti che apprezzo particolarmente. Devo però aggiungere che non sono in alcun modo interessato a quel ruolo". 

Rebus collegi

Difficile che il centrodestra si presenti agli elettori con un candidato unico, la legge elettorale non lo impone e nelle altre elezioni non c'era un candidato unico. "Qui bisogna vincere, se troviamo un candidato premier, ma poi non vinciamo, resta solo un candidato. Delle regole si troveranno. Insistere su questo dibattito comporta un rischio, quello di oscurare i programmi e fare il gioco della sinistra che ci vuole divisi. Più che la leadership l'importante è avere una classe dirigente seria con esperienza in grado di governare il Paese. Serve una squadra, non un uomo o una donna sola al comando", dice Antonio Tajani. parole che non faranno piacere a Meloni. La leader di Fratelli d'Italia vuole sedersi al tavolo con gli alleati senza il timore di ricevere sgradite sorprese. Ma la questione leadership è tutt'altro che chiusa, e non si può escludere anche l'ipotesi che in caso di vittoria non clamorosa, la presidente di FdI possa alla fine sparigliare le carte indicando un altro nome per la presidenza del Consiglio; a tal proposito nelle ultime ore è tornato a circolare il nome di Letizia Moratti, vicepresidente della Regione Lombardia. Ma la sensazione è che se mai ci sarà un treno per Palazzo Chigi per Meloni, è quello in partenza il 25 settembre.

Anche la suddivisione dei collegi non è così semplice come sembra. La regola di basarsi sui risultati delle ultime elezioni amministrative e sui sondaggi è interpretabile in modi diversi. Francesco Lollobrigida, capogruppo di FdI, azzarda: "Ce ne spettano il 50% a noi e il 50% agli altri", visto che la somma di Forza Italia e Lega è al di sotto della percentuale attribuita al partito di Meloni. Lega e Forza Italia propongono: 40% a FdI, 30% al Carroccio, 20% a Fi, 10% ai partiti minori della coalizione. Ci sarà da discutere. Scenari e sondaggi sono molto favorevoli, il centrodestra può ambire a conquistare l’85% dei seggi della quota uninominale. Che sommati al 40% del proporzionale portano a una percentuale di vittoria del 56-57%. Il bottino fa gola a molti.

Esodo da Forza Italia

Proseguono intanto gli addi da Forza Italia. Dopo Mariastella Gelmini e Renato Brunetta, Stefano Cangini e Roberto Caon, ieri è stata la volta di Annalisa Baroni, dell'atleta paralimpica Giusy Versace. Addio anche dell'assessore regionale alla Casa della giunta lombarda Alessandro Mattinzoli. Figure considerate vicine al ministro degli Affari regionali, le prime due hanno spiegato di non aver condiviso la scelta di non votare la fiducia a Draghi. Baroni, Versace e Mattinzoli son esponenti chiave (un assessore regionale oggi vale anche più di due deputate) del partito lombardo pazientemente costruito negli anni da Gelmini, quando ne era coordinatrice, prima di essere sostituita da Ronzulli. Gelmini puntava a un'organizzazione ramificata nel territorio, e non solo sul carisma del leader. Berlusconi ha sempre ritenuto invece che il calo di consensi continuo, da anni, di Forza Italia, sia stato causa del suo forzato allontanamento dalla scena politica quotidiana. E pensa che un suo ritorno possa invertire il trend.

Ora tutti gli occhi sono puntati su Mara Carfagna, che giovedì scorso aveva duramente criticato la linea del partito, parlando di "presa di distanza". Per il momento la ministra del Sud non ha abbandonato il gruppo parlamentare, ma nel partito si ritiene quasi inevitabile un addio e lei stessa dice che a breve tirerà le somme. La defezione dell'ala moderata del partito quanto peserà? C'è molta apprensione per i prossimi sondaggi, che forniranno una prima indicazione. Se Forza Italia si allontanerà in modo marcato da quel 10 per cento, scendendo fino intorno al 5 per cento, è scontato immaginare una immediata controffensiva mediatica di Berlusconi, che non ci starà mai a farsi mettere in secondo piano dagli "amici Matteo e Giorgia".

Sullo sfondo c'è sempre il caso Sicilia: Fratelli d'Italia vuole ricandidare alla presidenza della Regione Musumeci, sul quale c'è l'ostilità piena della Lega e di parte di Forza Italia. Si vota in autunno (dopo le elezioni politiche). Possibile che dalle interlocuzioni dei prossimi giorni emergano novità anche su questo fronte.

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