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Sabato, 27 Aprile 2024
Cambiamenti climatici / Messico

L'uragano su Acapulco mostra come le catastrofi climatiche saranno sempre più comuni

I climatologi lo ripetevano da tempo: il riscaldamento globale renderà sempre più frequente il repentino aumento di velocità delle tempeste tropicali come quella che ha devastato Acapulco con venti fino a 300 chilometri orari

Vittime e danni per miliardi di dollari: l'uragano Otis ha colpito gli oltre 800mila abitanti di Acapulco con raffiche di vento di oltre 300 chilometri orari lasciandosi alle spalle una scia di distruzione che in molti hanno paragonato a quella di un potente terremoto. E a stupire non è stato solo l’arrivo di un uragano tanto distruttivo in una regione del Messico che solitamente viene risparmiata da questi eventi meteo estremi, ma anche la velocità con cui Otis ha guadagnato potenza: in 24 ore la sua classificazione è passata da semplice tempesta tropicale ad autentico uragano di categoria 5 (la più pericolosa). Una trasformazione pressoché inaudita per le tempeste che si formano nelle acque del Pacifico, almeno in passato: da tempo, infatti, gli scienziati avvertono che i cambiamenti climatici renderanno possibili, e sempre più comuni, queste impennate nella velocità dei venti delle tempeste tropicali. Che rischiano quindi in futuro di farsi sempre più dannose, e soprattutto difficili da prevedere. 

Acapulco devastata dall'uragano Otis

Di norma, le tempeste tropicali aumentano di potenza molto più lentamente di quanto visto con Otis. Per i meteorologi, un aumento della velocità massima dei venti che raggiunga i 55 chilometri orari nelle 24 ore è considerato rapido. Otis in questo senso ha superato ogni record, accelerando di ben 177 chilometri orari in 24 ore. Colpa delle temperature elevate delle acque dell’Oceano lungo le coste meridionali del Messico, che hanno fornito energia alla tempesta. E in particolare, del fatto che in questi giorni non erano calde solamente le acque superficiali, ma anche quelle più profonde, che non hanno quindi messo freno alla crescita dell’uragano una volta portate in superficie dalla furia dei venti. 

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Come dicevamo, si tratta di una possibilità che è stata prevista dai climatologi, come effetto collaterale dei cambiamenti climatici. Già nel 2017, ad esempio, una ricerca pubblicata sulla rivista dell’American Meteorological Society ammoniva che le possibilità di prevedere l’arrivo di uragani pericolosi si faranno sempre più limitate in futuro, perché il riscaldamento del pianeta, e quindi delle acque dell’oceano, renderà sempre più comuni l’aumento di potenza delle tempeste tropicali appena prima che raggiungano la terra ferma. 

Dello stesso tenore, anche i risultati di un altro studio pubblicato nel 2018 sulla rivista Geophysical Research Letters, che ha analizzato gli uragani che hanno colpito il continente americano tra il 1986 e il 2015, concludendo che concentrando l’attenzione su quelli più catastrofici, l’intensificazione media della velocità dei loro venti nelle 24 ore è aumentata di 6,5 chilometri orari ogni 10 anni. Per ultimo, un articolo pubblicato proprio nelle scorse settimane su Scientific Reports suggeriva come negli ultimi 50 anni il rapido intensificarsi delle tempeste tropicali si sia fatto sempre più comune, e più rapido, proprio a causa dell’aumento delle temperature dovuto al riscaldamento globale. 

Lo studio è stato svolto utilizzando i dati degli uragani che si formano sul versante atlantico del continente americano. Ma gli stessi autori negli scorsi giorni hanno confermato che gli effetti del riscaldamento globale non sono limitati alle acque dell’Oceano Atlantico, e che quindi quando dimostrato da un lato del continente si applica, molto probabilmente, anche al versante Pacifico. Nei prossimi anni, insomma, sembra proprio che il problema degli uragani, almeno sulle coste americane, sia destinato a farsi sempre più grave, e imprevedibile. E potrebbe andare anche peggio se il riscaldamento del pianeta continuerà indisturbato: la National Oceanic and Atmospheric Administration statunitense prevede infatti che se le temperature raggiungeranno i 2 gradi in più rispetto al periodo preindustriale (se insomma gli accordi di Parigi non daranno i frutti sperati), la forza degli uragani salirà in media del 10%. E questo, unito alla difficoltà delle previsioni, potrebbe rivelarsi realmente drammatico per le popolazioni delle zone costiere americane. 

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