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Lunedì, 29 Aprile 2024
Mondiali di calcio

Storie mondiali, 1962: la battaglia di Santiago e la gamba più corta di Garrincha

In finale, contro la Cecoslovacchia, furono decisivi i gol di Amarildo, Zito e Vavà

Il Brasile, ormai, è la Seleçao. Dopo la vittoria del '58, Pelè e compagni sono destinati a bissare. A Lisbona, nel 1956, la FIFA decise di riportare, dodici anni dopo il Campionato mondiale di calcio 1950, il Mondiale del 1962 in Sud America, e precisamente nel "povero" Cile. Grande fu lo scalpore: in primo luogo dell'Argentina, che era la favorita ad ospitare una manifestazione a cui ambiva da tempo, e poi dei paesi europei, compresa l'Italia: fecero sensazione, in Cile, gli articoli di molti giornalisti del Bel Paese che si chiedevano come un paese sottosviluppato come quello potesse pensare di ospitare una manifestazione tanto importante. 


A peggiorare la situazione già critica del Paese sudamericano contribuì anche il Grande Terremoto Cileno del 22 maggio 1960, il sisma più forte del XX Secolo che, d'altra parte, mobilitò l'orgoglio nazionale: alla fine, il Mondiale non incontrò alcun problema organizzativo. Rimase però un torneo fortemente condizionato dal comportamento non esemplare degli arbitri. Si giocò in sole quattro città, ma attenzione a non far arrabbiare i cileni. 


A Santiago sbarcarono sei nazioni americane e dieci europee; due gli esordi, quelli della Bulgaria e della Colombia. Fuori la Francia, la Scozia e la Svezia, seconda nel 1958 e beffata dalla Svizzera. L'Italia, quattro anni dopo la disfatta di Belfast, riuscì a qualificarsi alla fase finale vincendo i due non gravosi impegni contro Israele (4-2 a Ramat Gan e 6-0 a Torino). Sebbene la critica fosse speranzosa, gli azzurri, guidati da Mazza e Ferrari, vennero inseriti in un girone piuttosto duro, con Germania Ovest, Svizzera e i padroni di casa del Cile. 

Contro i cileni, l'Italia si giocò tutto. Gli azzurri schieravano Lorenzo Buffon, i difensori Giacomo Losi, Cesare Maldini e Luigi Radice nonché gli attaccanti Gianni Rivera e Omar Sívori, furono sostituiti da Carlo Mattrel, Mario David, Paride Tumburus, Francesco Janich, Bruno Mora e Humberto Maschio. In quella che rimase nella storia come la Battaglia di Santiago, i sudamericani vendicarono quanto scritto dai giornalisti italiani in una delle partite più violente mai giocate. 

L'arbitro designato per l'incontro fu l'inglese Ken Aston ma il suo arbitraggio in questa partita venne in seguito ricordato soprattutto per gli errori e le sviste che condizionarono il risultato e contribuirono alla fama negativa dell'incontro. Al 7º minuto, un fallo di reazione dell'azzurro Giorgio Ferrini, per un intervento da tergo del cileno Honorino Landa provocò la prima espulsione. Durante la discussione che ne seguì, l'azzurro Humberto Maschio, oriundo, fu colpito con un pugno dal giocatore cileno Leonel Sánchez. L'italo-argentino cadde a terra con il naso fratturato e rimase in campo completamente stordito.

Al 38° di gioco vi fu lo scontro peggiore della partita: Leonel Sánchez, che avanzava sulla fascia sinistra, finì a terra su un regolare contrasto di Mario David. Il cileno (figlio dell'ex campione di pugilato Juan Sánchez) si rialzò repentinamente e sferrò un pugno al volto di David, senza ricevere alcuna sanzione da parte dell'arbitro che fischiò una punizione a favore del Cile.

Pochi minuti dopo David entrò nuovamente su Sánchez, con un calcio volante in gioco pericoloso, colpendo il cileno alla spalla: in questo caso Ken Aston vide lo scontro e cacciò senza appello il giocatore italiano. La polizia dovette intervenire altre tre volte durante la partita. Gli italiani resistettero contro l'undici sudamericano fino al 74', per poi capitolare. Gol di Ramírez prima e Toro poi: Italia a casa. 

Il Cile arrivò in semifinale e si arrese solamente di fronte al Brasile. I verdeoro in finale trovarono la sorprendente Cecoslovacchia. All'Estadio Nacional di Santiago, però, mister Moreira non potè contare su Pelè. Serviva un altro profeta allora. L'uomo del giorno fu Manoel Francisco dos Santos, meglio noto con lo pseudonimo Garrincha soprannome che gli fu attribuito da una sorella perché il suo aspetto minuto le ricordava quello di un'omonima specie di uccelli che egli era solito cacciare da bambino. Quando Garrincha cominciò a praticare il calcio il soprannome avrebbe mutato accezione, ben attagliandosi alla particolare andatura dovuta all'handicap fisico che veniva evidenziata durante le corse effettuate sul campo da gioco, simile a quella di un uccellino che saltella. 


>>> I GOL DELLA FINALE <<<

Già perché il funambolo brasiliano, come dissero i medici del Botofaogo all'epoca del suo primo provino, aveva qualche difettuccio di fabbrica. Il medico rilevò che il ginocchio destro era ricurvo verso l'interno ed il sinistro verso l'esterno, uno sbilanciamento del bacino, la gamba sinistra più corta dell'altra di sei centimetri ed un leggero strabismo. Qualcos'altro? Sì. Il periodo che intercorre tra i due mondiali del '58 e quello del '62 appunto, vide Garrincha aumentare di peso, anche per via dell'assunzione di cachaça, un'acquavite, comune in Brasile, ottenuta dalla distillazione del succo di canna da zucchero.

Insomma le speranze del Brasile erano tutte su un mezzo zoppo, strabico e anche un po' alcolizzato. Garrincha però era superiore a tutto. E tutti. Il 1962 fu il suo annus mirabilis. Il Mondiale cileno è ricordato come il Mondiale di Garrincha conquistando anche il titolo di capocannoniere e miglior giocatore della competizione. Attenzione però. Prima della finale, come detto, il Brasile affrontò il Cile. La squadra di picchiatori di cui sopra. Garrincha dominò la gara ma, adirato per i ripetuti colpi ricevuti dagli avversari, diede un calcio al difensore Rojas e, conseguentemente, fu espulso dall'arbitro peruviano Arturo Yamasaki, ottenendo così allo stesso tempo un'automatica squalifica per la finale; nell'uscire a testa bassa fu altresì colpito da una pietra. 

Il Governo brasiliano, per mezzo del Primo Ministro Tancredo Neves, esercitò delle pressioni congiuntamente al Governo peruviano affinché la squalifica fosse revocata; il guardialinee uruguagio Esteban Marino, unico testimone dell'episodio, fu convinto dal presidente della CBD João Havelange a lasciare il Paese prima del giudizio e così, senza la possibilità di accertare i fatti, Garrincha fu assolto con cinque voti favorevoli e due contrari. Nella finale, dopo il gol di Masopust che illuse la Cecoslovacchia, prese per mano il Brasile.

Nonostante fosse febbricitante, Garrincha prese comunque parte alla partita e fu deciviso con le sue giocate consegnando al Brasile il secondo titolo di Campione del Mondo consecutivo, grazie al trionfo per 3-1. Si considera che solo Maradona seppe fornire, nel 1986, delle prestazioni individuali altrettanto determinanti durante un Campionato mondiale di calcio. L'alcol fu l'unico avversario in grado di mettere ko il 'passero' verdeoro. 

TABELLINO
Brasile: Gilmar; D. Santos, N. Santos; Zito, Mauro, Zozimo; Garrincha, Didí, Vavá, Amarildo, Zagalo. Allenatore: Moreira.
Cecoslovacchia: Schroif; Tichy, Novak; Pluskal, Popluhar, Masopust; Pospichal, Scherer, Kvasnak, Kadraba, Jelinek. Allenatore: Vytlacil.
Arbitro: Latychev (URSS)
Reti: 15' Masopust (CEC), 17' Amarildo (BRA), 69' Zito (BRA), 78' Vavá (BRA).
Spettatori: 68.000.

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