rotate-mobile
Domenica, 28 Aprile 2024
Sky

Unwanted, come è nato il libro Bilal di Fabrizio Gatti: "Così mi sono infiltrato nella gang che guadagna milioni di euro al mese"

La storia vera vissuta dal nostro direttore editoriale per gli approfondimenti e le differenze con la serie Sky Original di cui tutti parlano

Non capita spesso di dover scrivere un articolo di presentazione di una serie tv tratta dal libro di un collega. Anzi, è la prima volta che ci succede: il "collega" (si parvum licet componere magnis) in questione è Fabrizio Gatti, direttore editoriale per gli approfondimenti di Today.it e autore - tra gli altri libri - di Bilal. Il mio viaggio da infiltrato verso l'Europa, o più semplicemente Bilal, che Sky ha adattato per la serie tv Unwanted, in uscita a vent'anni esatti dalla partenza di Fabrizio per l'Africa (al centro, nella foto vicino al titolo, con alcuni passeggeri su un camion, durante una sosta nel deserto del Ténéré).

Bilal è il libro più famoso di Gatti, che a sua volta è il più famoso giornalista sotto copertura italiano: a Bilal (tradotto anche in francese, svedese, norvegese e tedesco) sono già stati ispirati spettacoli musicali e teatrali e un concerto jazz di Nicoletta Taricani, e sulla vita di Fabrizio si sono basati, più o meno dichiaratamente, diversi personaggi visti sul grande e piccolo schermo.

Come dicevamo, è la prima volta che ci capita di scrivere un approfondimento su una serie tv tratta da un libro di un collega, e per questa speciale occasione abbiamo intervistato Fabrizio per farci raccontare come è nata l'inchiesta giornalistica da cui è nato Bilal, qual è insomma la storia vera dietro alla serie Sky e, già che c'eravamo ma senza fare spoiler, quali sono le principali differenze, e quali le analogie, tra la serie e il libro. 

Fabrizio Gatti durante il viaggio da infiltrato sulla rotta di Bilal. Riproduzione riservata

In questo articolo, quindi, riportiamo alcuni passaggi di una chiacchierata con Fabrizio Gatti: chiacchierata che, come ogni volta che abbiamo parlato con Fabrizio, ci ha stregato e rapito, trasportandoci con la mente verso luoghi al contempo lontanissimi e vicini, da cui guardare al nostro mondo, a "noi" come dice lui, con uno sguardo nuovo.

Come è nata l'inchiesta che ha portato a Bilal

"Bilal è stata una tappa lunghissima, di 4 anni, in parte da infiltrato, di un lavoro cominciato anni prima, quando avevo iniziato a raccontare l'Italia come nuovo punto di immigrazione" esordisce Fabrizio. "Fino agli anni '70 il nostro Paese era stato terra di emigrazione, come successo anche alla mia famiglia; gli anni '80 sono stati una sorta di camera di compensazione, poi a causa della crescita industriale siamo diventati una meta di arrivo".

"Avevo cominciato con una lunga inchiesta dove avevo sperimentato il metodo 'under cover' (sotto copertura, ndr), raccontando dal di dentro il grande flusso di profughi kosovari che fuggivano dalla Serbia verso la Svizzera, dove venivano aggrediti da pattuglie dell'esercito svizzero con i cani" prosegue Fabrizio. "Era la fine degli anni '90, e il metodo da infiltrato, in cui mi fingevo qualcuno all'interno di una situazione, mi sembrò il metodo migliore per saperne di più, rispetto per esempio a un'intervista, al termine della quale entrambe le parti tornano alla loro vita".

Un camion con centinaia di migranti nel deserto del Sahara (foto Fabrizio Gatti - rip. riservata)

Appurata l'efficacia del metodo, e con l'Unione Europea che allargava a est i propri confini, Gatti rivolse il proprio sguardo verso il continente africano, da dove iniziava intorno al 2000 il fenomeno migratorio - "anzi, avventura migratoria" si corregge Fabrizio - epocale, in corso ancora oggi. Decise quindi di partire, lasciando a Milano la moglie Barbara Leonardi (incinta del loro primo figlio) che, forte della sua esperienza di inviata per il tg che aveva raccontato dal Sahara gli effetti delle espulsioni dell'UE verso la Libia, fu al contempo la "centrale operativa" a cui Fabrizio dettava gli appunti al telefono e un "porto sicuro", nel senso che seppe dare a Fabrizio la sicurezza e la serenità necessarie per intraprendere quel viaggio.

"L'aspetto più forte delle mie esperienze era la storia di una grande avventura contemporanea, in cui persone semplici e poverissime dimostravano il coraggio e la speranza di credere in un progetto esistenziale al di fuori della nostra vita stanziale" spiega Fabrizio. "E questa esperienza maturata sul campo fu fondamentale per partire alla volta di questa grande epopea contemporanea... e tornare integro a raccontarla".

Il check-point di Dao Timmi lungo la rotta di Bilal (foto Fabrizio Gatti - rip. riservata)

Le motivazioni, afferma Fabrizio, erano tre: "Innanzitutto nessuno aveva raccontato fino ad allora dall'interno, con la parola scritta e la fotografia, quello che accadeva. In secondo luogo, volevo restituire - come ogni storia sa fare - un'identità, un nome e un cognome, le ambizioni di vita, la voce a migliaia di persone che semplificavamo e accomunavano con il termine clandestini. Il terzo motivo che mi ha fatto partire per il viaggio da cui è nato Bilal" continua Fabrizio "è la mia storia personale: venendo da una famiglia di emigranti, e sentendomi molto privilegiato, ritenevo che se avessi voluto portare l'attenzione sul tema avrei dovuto pagare in prima persona un prezzo e mettermi in gioco".

Il metodo da infiltrato, inoltre, servì ad avvicinare un tema enormemente complesso a lettori che difficilmente avrebbero letto storie di viaggi e migrazioni dall'Africa all'Europa. "È l'obiettivo di ogni giornalista riuscire a far arrivare le storie ai lettori, connettersi con le altre persone attraverso uno strumento essenziale come l'empatia". C'era, in Fabrizio, la consapevolezza che noi eravamo diventati un luogo di arrivo e che quel fenomeno allora crescente sarebbe continuato a lungo. Era il 6 novembre 2003, Fabrizio partì verso quel luogo immenso che è l'Africa esattamente vent'anni fa, e quasi esattamente vent'anni dopo inizierà Unwanted, la serie che - è la nostra speranza - proseguirà con altri mezzi ma con lo stesso strumento, la narrazione, l'intento di Fabrizio di avvicinare questo tema a più persone possibili.

Fabrizio Gatti durante una sosta nel deserto del Sahara (foto Fabrizio Gatti - rip. riservata)

Bilal e Unwanted, differenze apparenti e analogia di fondo

Leggendo la sinossi distribuita da Sky per Unwanted, risulta subito evidente una differenza di fondo con il libro da cui la serie è tratta, e cioè l'incontro tra un barcone di migranti e una nave da crociera, la Orizzonte, che solca il Mediterraneo portando gli europei in una vacanza all'insegna della ricchezza e della spensieratezza. In Bilal non c'è una nave da crociera, e Fabrizio dopo aver attraversato l'Africa attraversò il Mediterraneo senza incrociare un pezzo di occidente galleggiante. Eppure, sottolinea il nostro direttore editoriale, la differenza tra libro e serie è meno evidente di quanto possa sembrare. 

"Bilal parla di noi e di come il nostro mondo si approccia al grande fenomeno migratorio, anzi all'avventura migratoria, che troppe volte diventa una disavventura" chiarisce Fabrizio. "Bilal racconta la nostra risposta di Paesi ricchi, tra lavoro e vita quotidiana, a un processo che non è solo viaggio-arrivo-sfruttamento-espulsioni. Stefano Bises (creatore di Unwanted, scritta dallo stesso Bises con la collaborazione di Alessandro Valenti, Bernardo Pellegrini e Michela Straniero, ndr) ha avuto la geniale intuizione di sintetizzare la parte 'noi' del libro in un luogo molto scenografico, questa gigantesca nave Orizzonte che trovandosi ad attraversare Mediterraneo si trova a soccorrere 28 dei miei tantissimi compagni di viaggio raccontati in Bilal".

Fabrizio Gatti, a sinistra, durante un trasferimento in Niger (foto Fabrizio Gatti - rip. riservata)

"L'intuizione è nata guardando notizie di cronaca e notando che anche le navi da crociera alcune volte sono state coinvolte in operazioni di soccorso" chiarisce Fabrizio. "E così ha pensato di portare il presente della storia a bordo di una nave, che da una parte è luogo spensieratezza e opulenza e dall'altra genera l'incontro, non sempre benvenuto dai passeggeri in vacanza, con le persone soccorse. Nonostante non ci sia nel libro, quello che racconta la nave orizzonte è raccontata in Bilal in moltissime pagine che parlano di noi".

E a proposito di differenze tra libro e serie tv, in Unwanted non c'è nemmeno la figura dell'infiltrato giornalista, "che avrebbe reso la serie un lavoro più documentaristico che racconta spiega e descrive. Ma le mie riflessioni ci sono e il Bilal della situazione è Arrigo Benedetti, il comandante della nave interpretato da Marco Bocci. Mi ritrovo molto in questo ruolo di persona non pienamente consapevole, come ero io al momento della partenza, ma allo stesso tempo nella condizione di dover scegliere tra fare il suo dovere e la cosa giusta, in un contesto in cui non sempre giusto e legale coincidono, e da qui nasce la riflessione che la serie solleva".

Un bambino durante una sosta al check-point di Dami Timmi nel Sahara (foto Fabrizio Gatti - rip. riservata)

Dal libro allo schermo, come è nata la serie Unwanted

Ogni volta che parliamo con Fabrizio, lo ripetiamo, veniamo stregati dalle sue storie. Gli aneddoti da riportare sarebbero infiniti, da quando gli fu chiesto di cantare una canzone in curdo e lui la inventò di sana pianta a quando escogitava un diversivo con i poliziotti che aggredivano i migranti nel deserto per chiedere soldi, offrendo loro presunte medicine che in realtà erano note caramelle in blister che si comprano in farmacia, da quando era l'unico bianco in vecchi e improvvisati pulmini ("che a volte erano semplici auto familiari col bagagliaio aperto, e che sono ancora in circolazione dopo vent'anni, come ho potuto appurare nella preparazione della serie") che percorrevano il Sahara a quando un funzionario di polizia lo descrisse, con involontaria precisione, come "quello con la faccia da milanese". 

Fabrizio Gatti fermato dai militari nell'oasi di Dirkou (foto Fabrizio Gatti - rip. riservata)

Ma non vogliamo spoilerare né la serie né il libro a chi ancora non li conosce, preferendo passare al momento in cui Bilal è stato scelto per fare da base ad Unwwanted. "La prima persona da cui è nato tutto è il produttore Sascha Rosemann" spiega Fabrizio "che ha letto Bilal in tedesco e si è innamorato della storia, poi è salito a bordo del 'camion di Bilal' anche il regista Oliver Hirschbiegel, coinvolto da Sascha. 

Successivamente, in un'occasione di lavoro ho incontrato Nils Hartmann, vice presidente esecutivo di Sky Studios, che mi chiese subito se qualcuno aveva già iniziato a lavorare su Bilal, che lui aveva letto, e così lo misi in contatto con Sascha e Oliver. E poi è arrivato Stefano (Bises, ndr), che è stato fin da subito straordinario per delicatezza, umanità e rispetto per la storia da cui è stata tratta la serie. Infine c'è Marco Bocci, che da subito ha preso a cuore questo ruolo, e nelle sue parole e nel suo modo di porsi di fronte alla storia ho ritrovato le stesse esperienze e sensazioni che io avevo quando ho vissuto quell'avventura". 

I passeggeri di un camion lungo la rotta di Bilal (foto Fabrizio Gatti - rip. riservata)

Il viaggio di Bilal tra ieri e oggi

Il viaggio di Fabrizio nei panni di Bilal si potrebbe ripetere oggi, magari con l'ausilio di tecnologie più avanzate? Quando lo abbiamo chiesto a Fabrizio, lui ci ha risposto raccontando dell'incontro che, in Niger nel 2003, ebbe con il console italiano Paolo Giglio, "che da 50 anni vive in Africa ed è sicuramente l'italiano che meglio conosce quel continente".

"Andai da lui per chiedergli un parere sul viaggio che stavo per intraprendere, aspettando come risposta il classico detto 'oltre il 19° parallelo è terra di nessuno, non ci sono controlli e può succedere di tutto'. Invece lui mi disse: 'Bravo, fai bene a farlo ora perché siamo in una rara fase di parentesi di pace. Fino a qualche anno fa sarebbe stato impossibile, e temo che tra qualche anno lo sarà altrettanto'. E in effetti, attraversare oggi quei Paesi e quei territori sarebbe estremamente pericoloso" spiega Fabrizio. "Lo è per le popolazioni locali e lo sarebbe a maggior ragione per una persona immediatamente riconoscibile per il colore chiaro della pelle". 

Un camion con centinaia di migranti affronta il deserto del Ténéré (foto Fabrizio Gatti - rip. riservata)

E quindi le tecnologie attuali potrebbero anche essere d'aiuto, ma per un lungo viaggio come quello affrontato da Fabrizio il primo problema sarebbe quello di nascondere alle perquisizioni corporali e non farsi sottrarre le batterie delle microcamere e di altri strumenti simili. "La prima volta su quattro che ho attraversato il Sahara sono riuscito a fatica a salvare da una rapina al treno tra Mali e Senegal una piccola macchina fotografica con cui ho potuto documentare anche per immagini questo viaggio incredibile" dice Fabrizio.

E quando gli chiediamo come immagina la vita di Bilal oggi, il nostro direttore editoriale ci dà una risposta che, letta tra le righe, sembra quasi il classico cliffhanger tra una stagione e l'altra di una serie tv. "Separiamo i due Bilal. Quello raccontato nel libro, che può essere uno qualunque dei miei compagni di viaggio, oggi se è stato fortunato vive ancora in Italia, ha un lavoro e dei figli che vanno a scuola e che sanno poco o niente della terra di origine del padre, si sentono italiani. Se è stato sfortunato, invece, ha perso il lavoro ed è stato espulso".

"Il Bilal a cui ho prestato il mio corpo e la mia voce, invece ha tuttora un decreto esecutivo di espulsione verso l'Iraq, e non è detto che un giorno non usi quel decreto per ripartire verso una nuova avventura" allude Fabrizio che, pur registrando l'immobilità politica che negli ultimi vent'anni ha contraddistinto i governi italiani ed europei a prescindere dai colori politici degli schieramenti, conserva "in qualità di giornalista ma ancor più di papà e di uomo libero l'ottimismo per un futuro migliore". Un orizzonte in cui riporre le proprie speranze, come i migranti di Unwanted la ripongono nella nave chiamata proprio Orizzonte. 

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Unwanted, come è nato il libro Bilal di Fabrizio Gatti: "Così mi sono infiltrato nella gang che guadagna milioni di euro al mese"

Today è in caricamento