‘L’ora delle verità’, il nuovo libro di poesie di Simone Zafferani
Pubblicata da Pequod la raccolta di uno dei poeti lirici italiani più interessanti della sua generazione, allievo di Biancamaria Frabotta
Simone Zafferani è uno dei poeti lirici italiani più interessanti della sua generazione. Dopo aver inaugurato il suo percorso di scrittura nel 2004 con la silloge Questo transito d’anni, cui sono seguiti Da un mare incontenibile interno e L’imprevisto mondo, approda oggi alla maturità espressiva con L’ora delle verità (Pequod), un concentrato della ricerca poetica di questi anni. Nei versi di Zafferani - allievo di Biancamaria Frabotta, che di lui disse che “attraverso verità imponderabili viene a contatto con la polpa segreta della vita e di sé stesso” - ci sono la città e la montagna, la campagna e la pieve, e a ogni spazio, sottolinea Giorgio Ghiotti nella postfazione, “il poeta accorda una voce ora sferzante, ora elegiaca e fiabesca, talvolta oracolare, accordando ai luoghi il sentimento che nasce in seno alla vita – un sentimento che, respirando nei luoghi e traversando persino gli oggetti, salva ogni progetto umano dall’essere puro fare, nuda materia, povera cosa per i nostri affamati sensi umani”.
La poesia di Zafferani è scritta a ridosso delle cose e dell’esperienza; intimista ma sempre robusta nella sua visione; crea un’immagine, a volte legata a un tempo passato, che attende di propagarsi nel mondo di qualcun altro. Libri di poesie come L’ora delle verità invitano chi legge a rifugiarsi nella poesia. A far sì che le parole, trasformate in un diapason, ci trasportino come nuvole in transito verso il nostro angolo di vitalità quotidiano. A differenza delle migliaia di libri che vengono pubblicati ogni giorno, la poesia aggiunge sempre qualcosa alla possibilità dell’essere umano di capire la propria esistenza. In questo senso i versi di Simone Zafferani colpiscono nel segno.
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Se il primo verso è un dono
il lavoro è finire, arrivare alla resa
restando sospesi nella giusta penombra
mentre la verità setaccia i versi,
i versi rastremano le parole,
le parole trovano una loro musica
e la musica prova a non cadere.
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È un coltello a volte la città
che imprime sulla pelle le sue architetture
lo stigma della meraviglia come una colpa
la fretta di passare a un’altra vista.
A volte va più a fondo e ferisce il cammino.
Si può solo sbandare e tornare a casa
e sognarla come si sogna l’origine.
Ma sempre, vicini a una fontana, cade un risveglio
e il cielo smette di sanguinare.
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Io non sarò salvato
da una tua sola parola
ma dal racconto intero che farai.
Riparti da un cielo intatto estivo
e dal terrazzo dal quale lo guardavo.
Riscrivi me bambino, traduci
quell’irrequietezza qui adesso.
E rendimi la pace che cercavo.
Sarà la mia salvezza ritrovarmi
in una traccia di sole, rivedermi
mentre sospetto la felicità nelle parole.
Racconta, scrivi.