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Martedì, 30 Aprile 2024
Divisioni profonde / Bosnia-Erzegovina

Il conflitto tra Hamas ed Israele rischia di far riesplodere i Balcani

In Bosnia-Erzegovina la situazione più delicata è a Mostar, dove convivono cattolici e musulmani. La sindaca di Sarajevo ha tracciato un parallelo tra Gaza e l'assedio vissuto negli anni '90

L'attacco di Hamas ad Israele, con oltre mille morti, e la violenta risposta di Tel Aviv stanno alimentando una serie di conflitti sottesi in tutto il mondo. Episodi di intolleranza, violenza e contrasti nelle piazze tra i sostenitori di opposte fazioni si stanno moltiplicando in tutto il mondo. In alcuni Paesi l'inizio di una nuova guerra in Medio Oriente si sta rivelando particolarmente pericolosa, laddove gli equilibri interni sono già particolarmente delicati. È il caso dei Balcani, dove ancora si stanno digerendo i residui delle guerre degli anni '90 e la pacifica convivenza tra etnie, religioni e idee diverse fatica ad imporsi come "normalità". Un caso particolare è rappresentato dalla Bosnia-Erzegovina, dove la popolazione di origine croata e serba sostiene Israele, mentre quella bosniaca è impegnata a difendere le ragioni del popolo palestinese.

La città divisa

La Bosnia-Erzegovina risulta di fatto divisa in due zone, la Federazione croato-bosgnacca (che rappresenta il 51% del territorio) e la Repubblica serba, che occupa il restante 49%. Ciascuna delle due zone ha un proprio ordinamento. La Federazione, in particolare, prevede un ordinamento complesso che dovrebbe garantire la convivenza tra l'etnia musulmana (bosgnacca) e quella croata legata al cattolicesimo. Con l'incendiarsi del conflitto tra Hamas ed Israele, politici e opinione pubblica si stanno dando battaglia, in un territorio dove le divisioni su basi etniche e religiose sono ancora calde. Il caso più emblematico è rappresentato dalla città di Mostar, dove le cicatrici e le barriere fisiche frutto dei conflitti degli anni '90 sono ancora evidenti. Nella parte orientale della città, a maggioranza musulmana e bosniaca, a seguito dell'attacco di Hamas, sul Ponte Vecchio di Mostar un gruppo di cittadini ha issato la bandiera della Palestina e un membro del Mostar Diving Club ha organizzato un tuffo nella Neretva in segno di sostegno al popolo palestinese.

La bandiera sul Ponte Vecchio

Il presidente del Club Subacqueo "Mostari", Lorens Listo, ha dichiarato a Sarajevo Times, che il gesto rappresenta una sorta di messaggio al mondo intero affinché facciano il massimo sforzo per fermare i conflitti e le sofferenze dei civili innocenti, e allo stesso tempo per sostenere il popolo palestinese, esposto alla sofferenza per anni. "Non sosteniamo la violenza avvenuta in Israele, ma non sosteniamo nemmeno la violenza che è stata perpetrata per anni contro la popolazione civile della Palestina e la violenza che si sta preparando per loro", ha detto Listo. La grande bandiera palestinese sul ponte sembrava "sfidare" a distanza la parte occidentale della città, dove c'è un più ampio consenso nei confronti di Israele da parte della maggioranza croata. È soprattutto la politica però che sta provando a sfruttare le gravi tensioni in Medio oriente per alimentare i contrasti interni.

Condanne opposte

I politici croati e serbi sostengono a spada tratta Israele, mentre gli eletti bosniaci, pur condannando la guerra e la violenza, hanno preferito sottolineare il diritto a due Stati sovrani per israeliani e palestinesi. Il giorno stesso dell'attacco di Hamas contro Israele (sabato 7 ottobre, ndr), la presidente croata del Consiglio dei ministri della Bosnia, Borjana Kristo, ha scritto un post in inglese su X: "Condanno inequivocabilmente l'ingiusto e brutale attacco di Hamas contro Israele e i suoi cittadini. Siamo fermamente al fianco di Israele in questi tempi difficili". La dichiarazione così univoca è stata criticata in un'intervista televisiva dal deputato croato Željko Komšić, che ha rimproverato Kristo per non aver menzionato le sofferenze del popolo palestinese. Komšić, pur essendo di origini croate, ha sempre sostenuto di non rappresentare i croati, essendo stato eletto dal partito multietnico dei socialdemocratici bosniaci. Ai media Komšić ha riferito di valutare le azioni di Hamas come "un gesto di persone disperate che vedono nel terrore dei civili una via d'uscita". Parole che sono suonate sgradite all'ambasciatore israeliano in Bosnia ed Erzegovina, Galit Peleg.

Parallelo tra Gaza e Sarajevo

Anche la sindaca bosniaca di Sarajevo, Benjamina Karić, ha parlato su X di "ipocrisia" nel condannare esclusivamente l'attacco di Hamas contro Israele "senza condannare tutto ciò che è accaduto prima e dopo". Ricordando la situazione di Gaza, privata dal governo di Israele di acqua ed elettricità, la sindaca ha tracciato un parallelo con le condizioni di Sarajevo, quando è rimasta sotto l'assedio delle forze serbo-bosniache dall'aprile del 1992 al febbraio del 1996. Le divisioni interne alla Bosnia-Erzegovina si erano già ridestate in seguito allo scoppio della guerra in Ucraina, quando bosniaci e croati si sono schierati a sostegno di Kiev, mentre i serbi si sono espressi principalmente a favore della Russia. In questo caso, a giocare un ruolo, oltre alla dimensione etnica e di "civiltà", c'è anche la religione, con la maggioranza bosniaca, che rappresenta oltre il 70% della popolazione della Federazione, che è di religione musulmana, come i palestinesi. Dopo una lunga attesa, lo scorso anno la Bosnia-Erzegovina è riuscita ad ottenere lo status di "Paese candidato" all'Unione europea. Sarajevo, che attende l'inizio dei negoziati con Bruxelles entro la fine del 2023, vorrebbe evitare l'esplosione di conflitti interni che impedirebbero al Paese di proseguire con serenità il processo di adesione al blocco continentale.

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