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Venerdì, 26 Aprile 2024
L'andamento della pandemia / Cina

Lockdown a Shanghai, rabbia per mancanza di cibo e restrizioni

La città è chiusa dallo scorso 28 marzo per seguire la politica “Zero Covid”

C’è una foto che fa il tam tam sui social. È lo scatto che ritrae un messaggio scorrevole su un display elettronico, dove si legge: “Non pubblicare sul web contenuti relativi alla pandemia di Covid-19”. Subito dopo segue un’altra comunicazione: “Internet è pieno di pericoli: fa attenzione”. I messaggi sono scritti in cinese e chi li legge – oltre agli utenti dei social media – è un cittadino di Pechino. La Cina, infatti, è tornata a far parlare di sé da quando la megalopoli di Shanghai di 26 milioni di abitanti sta combattendo la peggiore ondata di Covid-19 dallo scoppio del primo focolaio di Wuhan. Il Partito comunista cinese sta combattendo una battaglia difficile nel tentativo di contenere e azzerare i contagi della variante Omicron, che ha portato alla chiusura di Shanghai dallo scorso 28 marzo, in base alla politica nazionale “Zero Covid”.

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I piani delle autorità locali erano altri: chiudere per cinque giorni metà città e per i cinque successivi l’altra metà, nella speranza di spegnere il focolaio. Ma i contagi sono aumentati e circa 26 milioni di abitanti sono ancora costretti a stare in casa, portando avanti una battaglia personale per ottenere viveri e medicine. La corsa all’approvvigionamento di cibo inizia all’alba, quando un cittadino cerca di acquistare tramite app ciò di cui ha bisogno e che non riesce ad ottenere dal governo. I fattorini sono diventati i nuovi eroi di questo lockdown che, non potendo tornare nelle loro abitazioni, dormono in macchina o nei negozi per continuare a lavorare. I colossi dell’e-commerce e di piattaforme di consegna di cibo a domicilio, come Meituan ed Ele.me, hanno avviato una collaborazione con le autorità cittadine per provvedere alle necessità quotidiane per i residenti.

Ma la rabbia è tanta e si riversa principalmente sui social media. Video e immagini di cittadini che urlano contro il personale in tuta bianca e i funzionari in divisa per le restrizioni a cui sono sottoposti da settimane contraddicono le rassicurazioni delle autorità locale. Per contrastare la diffusione del virus, sono stati inviati oltre 38 mila tra medici e membri del personale sanitario da varie province cinesi e sono stati realizzati centri per l'isolamento che possono ospitare fino a 160 mila persone. La linea dura voluta dal governo centrale non sembra, però, dare i frutti sperati contro l'attuale ondata e il bilancio economico e sociale si fa sempre più insostenibile. La condanna dell’inefficienza del sistema di Zero Covid non riesce a trovare ampio spazio sul social network cinese Weibo (simile a Twitter), che ha rimosso l’hashtag usato per denunciare la mancanza di viveri.

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Verso la normalità?

I contagi – bassi per i nostri standard – stanno tuttavia diminuendo e Shanghai comincia ad allentare le restrizioni anti-Covid. Con oltre 25 mila nuovi positivi, per lo più asintomatici, la municipalità ha dato il via a quello che dovrebbe essere l’ultimo dei quattro round di test antigenici e molecolari previsti per i cittadini.

E l’esito dei test può segnare un graduale ritorno alla normalità. Le aree residenziali saranno soggette a diversi livelli di restrizioni in base a tre tipi di classificazioni: lockdown, controllo e precauzione. La direzione per contrastare la pandemia arriva sempre dalla politica “Zero Covid”. Secondo l’esito dei test, coloro che vivono in un’area residenziale con casi di Covid-19 registrati nell’ultima settimana non potranno lasciare il loro appartamento; quelli che vivono nella comunità senza nuovi positivi registrati negli ultimi sette giorni potranno uscire dalla loro casa, senza però lasciare le loro comunità residenziali; infine, chi vive nei complessi abitativi, dove non sono stati rilevati nuove infezioni negli ultimi 14 giorni, potranno anche lasciare la propria comunità pur rispettando le regole di distanziamento sociale.

Perché continuare con la politica "Zero Covid"?

La città di Shanghai ha segnalato più di 130.000 casi dallo scorso 1° marzo, ma non ci sono stati decessi e attualmente c'è solo un paziente grave. I dati ufficiali però vengono smentiti degli esperti sanitari, che evidenziano il dubbioso metodo di segnalazione dei decessi. Come affermato al Wall Street Journal da Sean Sylvia, docente di politica sanitaria all’Università della Carolina del Nord, ci sono elementi che portano a non riconoscere i decessi legati al Covid-19. “In Cina semplicemente non sappiamo quale sia il numero vero di morti. Ma questo accade anche a livello globale”. Il tasso di mortalità di una comunità viene quindi determinato da scelte politiche e influenzato anche da fattori come l’età media dei cittadini e la copertura vaccinale.

In Cina il livello d’immunizzazione è basso, poiché i vaccini cinesi sono meno efficaci rispetto a quelli di aziende straniere. Secondo i dati ufficiali, circa l’88 per cento della popolazione cinese è vaccinata, ma la percentuale scende al 55 per cento tra gli anziani e i vulnerabili. La Cina, a differenza di altri Paesi, ha dato priorità alla vaccinazione della popolazione giovane e attiva (dai 18 ai 59 anni), lasciando indietro gli ultra 80enni. Meno di un quinto della popolazione ha ricevuto la dose booster.

Le autorità centrali osservano i dati globali dei decessi di Covid-19 tra gli anziani. Stando a quanto affermato da uno dei uno dei principali epidemiologi cinesi, Liang Wannian, “il tasso di mortalità per le persone di questa categoria causato dal Coronavirus è dieci volte più alto di quello della comune influenza”. L’obiettivo è quindi proteggere gli over 80.

Le conseguenze politiche 

Questi elementi, sommati alla carenza del sistema sanitario nazionale, spiegano la difficoltà di cambiare strategia. Il Partito comunista cinese ha scommesso sul modello “Zero Covid”, politicizzando un sistema che sta avendo effetti negativi sulla tenuta sociale, economica e politica del Paese. L’allarme lanciato da diversi esperti, che paventano pesanti perdite economiche (pari al 3 per cento del Pil al mese) in regime di lockdown, non frena il governo di Pechino.

Il Partito comunista cinese continua con ostinazione ad attuare la linea “Zero Covid” per dimostrare al mondo quanto vincente sia la strategia adottata dal presidente cinese Xi Jinping. Ma anche per evitare che gli sforzi fatti finora non vengano annullati con l’allentamento delle restrizioni. Il lockdown di Shanghai può riaccendere le lotte di potere interne, soprattutto con l’avvicinarsi del XX Congresso nazionale del Partito, quando Xi riceverà con ogni probabilità un terzo mandato. Le fazioni rivali a quella di Xi potrebbero fare leva sulla gestione della pandemia di Covid-19 e sulla difficile ripresa economica per riemergere dal silenzio a cui Xi li ha destinati con la campagna anti-corruzione (sistema utilizzato dall’attuale presidente cinese per eliminare gli oppositori interni al Partito).

L’amministrazione di Shanghai, nell’ambito della politica cinese, è notoriamente considerata una rampa di lancio per una carriera di successo. La città sul mare, infatti, ospita la “gang di Shanghai” afferente all’ex presidente Jiang Zemin e rivale a quella dello Zhejiang, guidata dall’attuale leader cinese Xi. Da quando è entrato nello Zhongnanhai nel 2012, Xi ha posizionato i suoi fedelissimi nelle città più importanti del Paese, come Shanghai, dove attualmente a capo del Partito c’è Li Qiang. La sua scalata ai vertici del potere potrebbe essere messa a repentaglio proprio dalla difficile gestione del Covid nella hub economico cinese. Il politico Li conserva ancora il suo incarico nell’ottica di ottenere un seggio all’interno del Comitato permanente del Politburo, il principale organo decisionale cinese. Al contempo, però, anche se sono saltate alcune “teste” di alcuni funzionari locali per non aver contenuto la diffusione del virus in città.
Il Partito lancia quindi segnali importanti per non farsi travolgere da una instabilità interna e per saldare la posizione di Xi alla guida della seconda economia del mondo.

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