rotate-mobile
Lunedì, 29 Aprile 2024
il piano / Israele

Israele vuole trasferire i palestinesi di Gaza su un'isola umanitaria, ma non sa come

Tel Aviv non sembra voler abbandonare l'idea di lanciare l'offensiva su Rafah per completare l'obiettivo di eliminare Hamas, nonostante le pressioni internazionali

Un'isola umanitaria dove spostare tutti i palestinesi sfollati da Rafah. È questa il nuovo progetto che Tel Aviv vuole mettere in atto prima del pianificato attacco militare alla città nel sud della Striscia di Gaza. Nel presentare l'idea, il portavoce delle Forze di difesa israeliane (Idf) Daniel Hagari non ha fornito dettagli su come funzionerebbero queste enclavi predisposte al centro della Striscia né su come gli sfollati si sposterebbero per raggiungerle, dal momento che scarseggia il carburante. I palestinesi sono più affamati e più deboli di quanto lo fossero cinque mesi fa, il che rallenterebbe anche i movimenti su larga scala. Inoltre, la parte centrale della Striscia dove Israele propone di ricollocare gli sfollati è stata gravemente danneggiata da ripetuti attacchi aerei e terrestri.

La situazione è disastrosa. Dall'inizio del conflitto, almeno 31.341 persone sono morte e 73.134 sono rimaste ferite nelle operazioni militari compiute da Israele nella Striscia di Gaza dopo il 7 ottobre scorso, secondo i dati del ministero della Sanità dell'enclave palestinese, guidato da Hamas. Decessi legati anche a malattie e carenza di cibo e acqua potabile. Altre 300 tonnellate di generi alimentari dovrebbero essere caricate nelle prossime ore su una seconda nave umanitaria destinata alla Striscia, attualmente attraccata nel porto cipriota di Larnaca: lo ha reso noto ad Al Jazeera l'organizzazione benefica statunitense World Central Kitchen (Wck), che sta preparando la missione. La prima nave con circa 200 tonnellate di aiuti umanitari del gruppo non governativo Open Arms è partita per Gaza lo scorso 12 marzo. Ciononostante, gli aiuti sono comunque insufficienti per gli oltre 1,4 milioni di persone che hanno trovato riparo a Rafah.

21989124_medium

Continua lo scontro tra Israele e Stati Uniti

Tuttavia, Tel Aviv non sembra voler abbandonare l'idea di lanciare l'offensiva su Rafah per completare l'obiettivo di eliminare Hamas, nonostante le pressioni internazionali. L'operazione nella città a sud della Striscia è "qualcosa che dobbiamo fare", ma i tempi dell'assalto dipendono dalle "condizioni che lo consentiranno", ha precisato l'ufficiale israeliano Hagari. Più della metà della popolazione di Gaza si è rifugiata a Rafah, al confine con l'Egitto, dopo essere fuggita dal nord e dal centro dell'enclave palestinese. Il primo ministro Benjamin Netanyahu continua a fare riferimento all'offensiva su Rafah, quando si rivolge al popolo israeliano. Durante un incontro con i soldati, Netanyahu ha ribadito l'obiettivo di "ripristinare la sicurezza per il popolo di Israele" e arrivare alla "vittoria totale" nell'ambito delle operazioni militari avviate nella Striscia dopo l'attacco del 7 ottobre in Israele. E il premier ha assicurato che "respingerà le pressioni internazionali" su Rafah. "Mentre le forze israeliane (Idf) si preparano a continuare a combattere a Rafah, facciamo i conti con pressioni internazionali volte a impedirci di entrare nell'area e concludere il lavoro. In quanto premier di Israele, respingerò queste pressioni".

Le pressioni a cui si riferisce il premier israeliano sono principalmente quelle che arrivano da Washington. Netanyahu non ha rapporti tesi solo con il presidente Joe Biden. Ora, a chiedere di un passo indietro è anche il leader della maggioranza al Senato statunitense, il democratico Chuck Schumer, ha esortato Israele a tenere "nuove elezioni" nella convinzione che il Paese debba "apportare alcune significative correzioni di rotta" per affrontare la minaccia di Hamas. "La coalizione di Netanyahu non soddisfa più i bisogni di Israele", ha detto Schumer, descrivendo il premier israeliano come "un ostacolo alla pace". 

Ad aggiungere nuova tensione tra i due Paesi è la decisione del dipartimento di Stato americano di un nuovo round di sanzioni contro due avamposti illegali e tre coloni, responsabili di violenze contro i palestinesi in Cisgiordania. Le misure restrittive sono state adottate contro Zvi Bar Yosef, Moshe Sharvit e Neriya Ben Pazi e le 'fattorie' di Yosef e Sharvit, usate come basi dalle quali "perpetuare violenze contro i palestinesi" e impedire "agli agricoltori palestinesi di accedere e utilizzare le loro terre".

Lo scenario post guerra pensato da Israele

Vergate che non intimoriscono Bibi, che già pensa a uno scenario post guerra. Israele ha infatti già individuato il nome di chi potrebbe guidare la Striscia di Gaza una volta che l'esercito di Tel Aviv non l'ha liberata da Hamas. Majed Faraj, il capo dei servizi segreti palestinesi, è il nome su cui punta Israele per amministrare la Striscia quando il conflitto in corso sarà terminato. A riportare la notizia è Middle East Eye, secondo cui il l'esecutivo dello Stato ebraico avrebbe a lungo discusso sullo scenario post guerra, per poi giungere al nome di Faraj. In base a quanto riporta la tv israeliana Kan, diversi nomi sarebbero stati vagliati, tutti senza legami con Hamas, senza ottenere il favore dei ministri.

Gli Stati Uniti insistono perché l'amministrazione di Gaza passi all'Autorità nazionale palestinese (Anp), ma in base a quanto riporta Middle East Eye, non ci sarebbero rimostranze da parte degli Usa nei confronti di Faraj, che negli ultimi anni ha anche lavorato a stretto contatto con la Cia. 

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Israele vuole trasferire i palestinesi di Gaza su un'isola umanitaria, ma non sa come

Today è in caricamento