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Venerdì, 26 Aprile 2024
Il caso

"È un amico": qual è il vero problema delle parole di Renzi su Bin Salman

"Mohammad Bin Salman? È un mio amico e che sia il mandante dell’omicidio Kashoggi lo dite voi". Matteo Renzi, ex premier, ex segretario Pd, senatore e leader di Italia Viva, risponde (per strada) ai cronisti sui suoi rapporti con l'Arabia Saudita. Ma non si può liquidare tutto così. Principi (ereditari) a parte, la politica senza princìpi è poca cosa

"Mohammad Bin Salman? È un mio amico e che sia il mandante dell’omicidio Khashoggi lo dite voi". Matteo Renzi, leader di Italia Viva, risponde così ai cronisti sui suoi rapporti con l'Arabia Saudita. 

Matteo Renzi: "Mohammad Bin Salman? È un mio amico"

Il senatore, come è omai arcinoto, durante la crisi del governo Conte è volato in Arabia per intervistare il principe Bin Salman. "Non c'è alcun conflitto d’interesse. L'unico interesse in conflitto è di qualcuno che vorrebbe io smettessi di parlare dell'Italia... L'attività parlamentare è compatibile con quella di uno che va a fare iniziative all'estero, su questi temi è tutto perfettamente in regola e legittimo", dice Renzi. "Io non ho preso 80mila dollari per quell'intervista, è un'affermazione falsa", aggiunge Renzi. Il senatore ha fatto riferimento al 'rinascimento' arabo. "Quell'affermazione? La ridirei. Sono molto convinto che la questione sul nuovo rinascimento arabo sia un tema molto interessante".

Il tema è estremamente delicato, le parole nette di Renzi arrivano due giorni dopo che il Guardian ha rivelato le minacce al Rapporteur dell'ONU che ha indagato sull'assassinio di Khashoggi: Agnès Callamard. La relatrice speciale delle Nazioni Unite per le uccisioni extragiudiziali uscente è stata minacciata di morte da un alto funzionario saudita dopo la sua indagine sull'omicidio del giornalista Jamal Khashoggi. Lo dichiara lei stessa in un'intervista esclusiva al quotidiano inglese, affermando che a gennaio dello scorso anno un collega delle Nazioni Unite di Ginevra l'aveva avvertita per due volte che un alto funzionario saudita aveva detto che ''si sarebbe preso cura di'' lei se l'Onu non l'avesse frenata.

Il rapporto sull'assassinio di Jamal Khashoggi

Proviamo a mettere insieme le tessere del puzzle. Bin Salman, secondo un rapporto dell'intelligence Usa, sarebbe coinvolto nell'omicidio del giornalista Jamal Khashoggi, ucciso a ottobre 2018 nel consolato saudita a Instanbul. "Bin Salman è un mio amico e che sia il mandante dell’omicidio Kashoggi lo dite voi. L'amministrazione Biden non ha sanzionato Bin Salman".

Vero, l'amministrazione Biden non ha sanzionato Bin Salman.  Ma al contempo l’amministrazione americana ha diffuso esattamente un mese fa il rapporto della Cia sull’omicidio del giornalista dissidente saudita Jamal Khashoggi. L’intelligence americana indica che il mandante di una operazione "cattura o uccidi" del giornalista fu il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman. Il principe - secondo il rapporto - approvò la creazione del commando dell’intelligence saudita che nell’ottobre del 2018 con due velivoli di una sua compagnia aerea volò a Istanbul, attirò con un tranello il giornalista nel consolato saudita, lo aggredì, lo uccise, lo smembrò e trasportò i resti in alcune casse fuori del consolato. Il "gruppo di fuoco" agì "on behalf", per conto, del principe. Che quindi per la Cia è il mandante (il regno saudita ha aspramente criticato il rapporto).

Tra le altre cose si legge anche che "gli agenti non avrebbero eseguito interventi sul giornalista senza l'autorizzazione superiore". "Basiamo questa valutazione sul controllo del principe saudita sul processo decisionale nel regno, sul diretto coinvolgimento di un consigliere chiave e di membri della cerchia di Mohammed  bin Salman nell'operazione, sul sostegno del principe ereditario all'uso di misure violente per silenziare il dissenso all'estero, incluso Khashoggi".

Perché Khashoggi venne fatto fuori? Nel documento dell'intelligence si afferma che Mbs vedeva il giornalista dissidente come una minaccia al regno e sostenne ampiamente l'uso della violenza se necessario per metterlo a tacere. Il rapporto era pronto da mesi, ma in precedenza Donald Trump aveva voluto tenerlo riservato per rilanciare gli accordi politici ed economici con la famiglia regnante Al Saud. 

Il problema delle parole di Renzi su Bin Salman

La cosa da notare oggi è che Renzi non si faccia problemi di dire ad alta voce che Bin Salman è "un amico", e che secondo lui le attività in Arabia siano totalmente in linea con l'interesse nazionale (su questo secondo punto sarebbe doverosa una maggiore chiarezza, una maggiore argomentazione). Non si può liquidare il tema in due parole, in pochi minuti, in strada, davanti a un gruppo di cronisti. 

Il suo rapporto privilegiato con Bin Salman è un dato di fatto. "Non c'è nessuna certezza che sia il mandante dell'omicidio Kashoggi, sul quale peraltro da parte mia c'è una condanna piena evidente" afferma Renzi. Non ci sono certezze, ma sono stati Biden ("Per me Joe è come un fratello maggiore saggio" Renzi dixit) e il Dipartimento di Stato Americano un mese fa a rendere pubblico il rapporto shock sull'omicidio Kashoggi e sulle presunte responsabilità di Bin Salman.

L’ex premier ha risposto a tutte le domande sul tema ieri. Il suo ruolo nel board del FII Institute, istituto legato alla famiglia reale saudita, promotore tra l’altro del convegno di gennaio a Riad, è consentito dalla legge. Il problema spesso in politica è l'opportunità/inopportunità delle parole e delle azioni che ne conseguono. La partecipazione del "senatore di Scandicci" all'iniziativa di Riad è stata consentita dal fatto che deputati e senatori italiani possono continuare a svolgere attività lavorative estranee al lavoro parlamentare, quasi come se quest'ultimo fosse considerato una sorta di 'part time'. 

Principi (ereditari) a parte, la politica senza princìpi è poca cosa

Ma non è - o almeno non è solo - questione di norme e regolamenti. Ignorare le molteplici responsabilità del principe ereditario Mohammad Bin Salman in violazione dei diritti umani, incluso il sospetto che sia il mandante dell’omicidio di Khashoggi, "è sconcertante" secondo Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia. E' vero, le amicizie sono fatti personali. Tuttavia un parlamentare italiano che si dica amico del principe ereditario saudita dovrebbe comprendere che al contempo, con la medesima forza e nettezza, dovrebbe esprimersi sulla repressione del dissenso, sui bombardamenti che avvengono dal 2015 contro lo Yemen, sui blogger frustati in piazza, sulle attiviste per i diritti delle donne portate in galera.

Nessuno vuole limitare il diritto di un parlamentare a incontrare chiunque. Ma l’ong francese Reporter senza frontiere, che promuove la libertà di stampa nel mondo, ha di recente presentato una denuncia in Germania contro diversi funzionari sauditi e contro il principe ereditario Mohammed bin Salman accusandoli di crimini contro l’umanità. In particolare, RSF li accusa di perseguire i giornalisti in Arabia Saudita, di averne arrestati arbitrariamente 34. 

Principi (ereditari) a parte, la politica senza princìpi è poca cosa. "Rispettare i diritti umani è una esigenza che va sostenuta. Ma chi conosce il punto dal quale il regime saudita partiva sa benissimo che Vision 2030 è la più importante occasione per sviluppare innovazione e per allargare i diritti" scriveva Matteo Renzi nella newsletter ai suoi sostenitori dopo il viaggio in Arabia. Non c'è bisogno di guardare al 2030: basterebbe prendere le distanze - oggi - dal principe ereditario di uno Stato in cui chi protesta viene arrestato, in cui i dissidenti muoiono in carcere. Questione di opportunità, dicevamo. O forse solo di buonsenso.

La politica è un mestiere con regole precise: l’attitudine all’ascolto, una vasta conoscenza della materia trattata e delle procedure legislative, e poi - soprattutto - la capacità di giungere a una sintesi. Matteo Renzi su Arabia e Bin Salman dovrà giungere a una sintesi più argomentata.

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