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Lunedì, 29 Aprile 2024
Le novità

Quota 103 e la beffa delle finestre per chi va in pensione nel 2024

Si dilatano i tempi per accedere al pensionamento con 62 anni di età e 41 di contributi

In molti casi raggiungere i requisiti per andare in pensione non vuol dire iniziare a incassare l'assegno previdenziale. Una volta raggiunta l'età anagrafica e la quota contributiva richiesta, una parte non marginale di futuri pensionati deve infatti aspettare di rientrare nelle così dette finestre mobili, un meccanismo introdotto dal legislatore che può ritardare ulteriormente l'uscita effettiva dal lavoro. Un modo, diciamolo pure, per allungare ulteriormente i tempi e contenere la spesa previdenziale. Le "finestre di uscita" possono avere una durata variabile e non sono previste per tutte le prestazioni previdenziali. Nel caso di Quota 103 (62 anni di età e 41 di contributi) sono invece già contemplate dalla normativa in vigore nel 2023, ma per chi raggiunge i requisiti nel 2024 l'attesa potrebbe diventare ancora più lunga.

Quota 103 e la beffa delle "finestre di uscita"

Nella bozza della legge di bilancio - ora al vaglio del Parlamento - il governo ha infatti previsto un allungamento del periodo che intercorre tra quando si raggiungono i requisiti e quando si va effettivamente in pensione. Le "finestre di uscita" passano infatti da tre a sette mesi per il settore privato e da sei a nove mesi per i dipendenti del pubblico. Insomma, se un dipendente privato presenta la domanda di pensionamento a 62 anni, di fatto non riceverà l'assegno prima di sette mesi, mentre uno statale ne dovrà aspettare nove. Una novità mal digerita dai sindacati che su questo e altri punti della riforma stanno dando battaglia. Tant'è che secondo la Uil si può ormai legittimamente parlare di "Quota 103 e ¾ ". 

Le altre novità su Quota 103, dal 2024

Oltre alla rimodulazione delle "finestre mobili", la manovra introduce altre due importanti modifiche a Quota 103. La prima è che durante gli anni di pre-pensionamento, e dunque fino ai 67 anni previsti dalla pensione di vecchiaia, l'assegno non potrà superare di oltre quattro volte il trattamento minimo Inps (ovvero circa 2.270 euro). È bene rimarcare che il tetto massimo all'assegno esiste anche oggi, ma è pari a cinque volte il trattamento minimo (2.839 euro). Una soglia dunque più alta di quella che dovrebbe diventare effettiva dal 2024. L'ultima novità è che per gli anni lavorati fino al 31 dicembre 1995 l'importo della pensione non sarà più calcolato con metodo retributivo (più generoso) ma sui contributi versati.  Secondo la Uil il ricalcolo taglierà l'assegno pensionistico "fino al 30%", mentre la Cgil ha definito la norma "fortemente penalizzante" per i pensionati. 

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