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Venerdì, 26 Aprile 2024
Lo scandalo senza fine

Facebook sull'orlo della bancarotta morale

Cosa sono i Facebook Papers e perché rappresentano una grossa grana per la società di Zuckerberg che potrebbe essere costretta a cambiare nome

Disinformazione, traffico di essere umani, istigazione alla violenza. In una parola, profitto a scapito della sicurezza. Da quando è nata, 17 anni fa, la compagnia di Mark Zuckerberg ha affrontato scandali, gole profonde e inchieste di ogni genere. Ma la nuova grana dei 'Facebook Papers' - 10mila pagine di rapporti e documenti interni rubati da un'ex dipendente pentita - rischia di trascinare il gigante dei social nella peggiore crisi di sempre. Che cosa sta accadendo di diverso dal passato?

La scintilla, come altre volte, è nata da una whistleblower, la ex data scientist della compagnia, Frances Haugen. Ingegnera informatica di 37 anni ma soprattutto membro di quel team di 'Integrità civica' creato dal social network proprio per combattere le fake news. La squadra non era riuscita a portare a termine il suo lavoro e si era sciolta poco prima dell'assalto al Congresso americano, di fatto incoraggiato dal tam tam di notizie false su Facebook. Scandalizzata e demoralizzata, Haugen prese contatto con alcuni giornalisti e lasciò la compagnia.

Dalla Sec ai giornali, così nascono i Facebook Papers

E' a questo punto che la scintilla diventa un incendio. La talpa prende coraggio, allarga il suo campo d'azione, decisa a non mollare l'osso finché il mondo intero non conosca tutta la verità: la strategia di Facebook di anteporre i dollari alle persone è assolutamente e totalmente "premeditata". Haugen dapprima si rivolge alla Sec, Security and Exchange Commission, agenzia federale che regola la vendita e il commercio di titoli. Obiettivo: dimostrare che i vertici di Manlo Park hanno ingannato gli investitori. Nel frattempo una parte dei leaks arriva al Wall Street Journal che parte a cannone con i cosiddetti 'Facebook Files', serie di rivelazioni fastidiose più che scottanti sui fallimenti e i silenzi della compagnia (tra queste, l'impatto 'tossico' di Instagram sugli adolescenti che Facebook conosceva e ha taciuto). 

Lo scandalo si allarga e il capo della sicurezza globale della società, Antigone Davis, viene convocato in un'audizione da una commissione del Senato americano. La stessa Haugen vi testimonia, mettendo nero su bianco che i prodotti di Facebook "danneggiano i bambini, alimentano la divisioni e indeboliscono la nostra democrazia". Non è ancora finita. La whistleblower - che nel frattempo ha ricevuto il sostegno di uno degli uomini più ricchi al mondo, Pierre Omidyar, fondatore di eBay - passa l'intero incartamento a un consorzio di 17 testate giornalistiche. 

Nascono così i 'Facebook Papers', nuovo stillicidio di rapporti, analisi e altri documenti interni che offrono uno spaccato inquietante sul gigante dei social, facendo luce sugli opachi processi decisionali e sui fallimentari meccanismi di controllo. 

Le bugie di Zuckerberg

Le rivelazioni sono di ogni genere e, probabilmente, proseguiranno ancora per diverso tempo (finché i giornalisti non finiranno di spulciare le carte). Ad esempio, le discrepanze tra le dichiarazioni pubbliche di Zuckerberg e la realtà dei fatti. Lo scorso anno, il Ceo di Facebook ha affermato di fronte al Congresso che il social media rimuove il 94% dei discorsi d'odio che trova sulla sua piattaforma. Ma dai documenti interni emerge che si riesce ad eliminare meno del 5% dei post incriminati.

Lampante è il caso dell'Etiopia: un rapporto interno distribuito a marzo, dal titolo 'Danno sociale coordinato', segnalava che i gruppi armati nel paese africano - dilaniato dalla guerra civile - usano Facebook per istigare alla violenza contro le minoranze etniche. Per non parlare del cartelli della droga messicani: Jalisco Nueva Generación avrebbe addirittura reclutato nuovi membri su Fb con l'acronimo "CJNG". La compagnia ha risposto sul punto di aver investito 13 miliardi di dollari sulla sicurezza della piattaforma, a cui lavorano ben 40mila persone, "incluse 15mila incaricate di monitorare i contenuti in più di 70 lingue".

Facebook e le colpe per l'assalto al Congresso

Il meccanismo, tuttavia, si è inceppato più volte e l'assalto al Congresso Usa è una di queste, stando ai leaks. Durante la corsa alle elezioni presidenziali del 2020, il colosso social ha intensificato gli sforzi per controllare i contenuti che promuovevano violenza, disinformazione e incitamento all'odio. Ma dopo il 6 novembre, ha abbassato la guardia, senza bloccare i moltissimi gruppi sosia che imitavano il famoso 'Stop the steal', movimento reazionario convinto che Joe Biden avesse rubato il voto. Quando la compagnia ha cercato di correre ai ripari, era troppo tardi: una folla di fedelissimi pro-Trump stava già assaltando il Campidoglio mentre l'America osservava incredula e sbigottita.

Nelle carte della Haugen c'è un po' di tutto. La censura dei post dissidenti in Vietnam (tra luglio e dicembre 2020 ne sono stati rimossi 2.200 contro gli 834 dei 6 mesi precedenti) per favorire il governo comunista di Hanoi. Le presunte interferenze dello stesso Zuckerberg per consentire a vip e politici di aggirare le regole della piattaforma. Il nodo degli account multipli, fonte massiccia di post "tossici", come emerge dai documenti, ma non ancora affrontato su larga scala. Il problema, sollevato dai dipendenti Facebook, della scarsa capacità di moderare i contenuti no-vax. L'impossibilità di controllare i contenuti estremistici in India per la difficoltà di trovare moderatori in grado di capire le 22 lingue del Paese.

87% vs 13%, la verità di Fb nei numeri

C'è un numero - citato dal Times - che la dice lunga sulle scelte della compagnia: 87%. E' la quota di risorse che Facebook dedica alla lotta contro la disinformazione negli Stati Uniti. Questo vuol dire che, per il resto del mondo, rimangono le briciole, uno scarno 13% (la società ha però contestato le cifre, sostenendo che non tengono conto del lavoro di fact checking e moderazione svolto da terze parti).

“Questi documenti lasciano poco spazio ai dubbi sul ruolo cruciale di Facebook nel diffondere l’autoritarismo in America e in giro per il mondo”, ha commentato in un duro editoriale Adrienne LaFrance, direttrice esecutiva dell’Atlantic. "Mi occupo di Facebook da un decennio ormai e le sfide che deve affrontare sono nuove e singolarmente complesse - ha scritto ancora la giornalista - Una delle rivelazioni più importanti e incoraggianti dei Facebook Papers è che molti dipendenti di Facebook stanno cercando coscienziosamente di risolvere questi problemi. Una delle caratteristiche scoraggianti di questi documenti è che questi stessi dipendenti hanno poca o nessuna fiducia nella leadership di Facebook".

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Le mosse della Sec e la spalle larghe di Zuckerberg

Forse il punto centrale è proprio questo. Molti esperti dubitano che la gigantesca mole di documenti possa portare a conseguenze legali concrete per la società. E' ancora incerto se la Sec abbia aperto un'indagine. Nel caso lo avesse fatto, molti dirigenti sarebbero costretti a deporre e l'azienda dovrebbe condividere comunicazioni private e altri documenti. Ma per vincere una causa, come osserva Cecilia Kang sul Times, i regolatori dovrebbero dimostrare che i dirigenti avevano intenzione di nascondere o mentire sui problemi. E che le informazioni rivelate da Haugen, o emerse nell'indagine, avrebbero potuto modificare le decisioni commerciali o di voto degli azionisti se fossero state condivise.

"L'argomento secondo cui Facebook ha dato la priorità ai profitti non è convincente, perché è quello che fanno le aziende", commenta Howard Fischer, ex avvocato processuale per la Sec. "Molto probabilmente ci sarà un'indagine perché è una questione di alto profilo, ma è difficile vedere un caso chiaro". Senza considerare che il colosso social ha le spalle larghe in questo campo: con un valore di mercato vicino a 1 trilione di dollari, è stata in grado di assorbire senza troppi danni sanzioni monstre, come la multa di 5 miliardi di dollari inflitta dalla Federal Trade Commission per la violazione della privacy nello scandalo di Cambridge Analytica del 2018.

Fb ha guadagnato 9 miliardi ma...crede ancora in se stessa?

Dunque, cosa è cambiato? A prima vista - e nonostante i 'Facebook Papers' - la compagnia gode di buona salute, almeno finanziaria. Nel terzo trimestre ha realizzato profitti per 9 miliardi di dollari, rispetto ai 7,8 dell'anno scorso. Tuttavia lo stillicidio di piccole e grandi rivelazioni sta progressivamente erodendo la sua immagine e la sua credibilità. Non a caso Zuckerberg progetta di rinnovare completamente la sua creatura, puntando sul metaverso e cambiandole addirittura il nome.

La verà novità emersa coi 'Facebook Papers' forse è proprio questa: Facebook non crede più in se stessa. Lo dimostra la mole di denunce, rapporti frustranti, polemiche e attriti emersa dai leaks e da cui si ricava una generalizzata perdita di fiducia, da parte dei dipendenti, non solo nella leadership ma anche nel proprio lavoro. 

La buona notizia: la determinatissima Haugen e il team finanziario e legale che la supporta non mirano a far chiudere la società (sempre che mai ci riuscissero). Durante la sua testimonianza al Senato, la talpa ha ripetutamente detto ai legislatori che era lì perché crede nel potenziale positivo di Facebook. Addirittura, sarebbe pronta a lavorare di nuovo a Manlo Park, se ne avesse la possibilità. Facebook "deve solo dichiarare bancarotta morale. Poi potremo vedere come risolvere tutti i problemi insieme". 

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