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Martedì, 30 Aprile 2024
L'analisi / Russia

La presa di Vladimir Putin sul popolo russo si sta allentando

A causa della miopia dei loro leader, a Mosca come a Pechino, il legame tra popolo e governo si sta rompendo

Cosa può spiegare lo scoppio della guerra in Ucraina per mano del presidente russo Vladimir Putin? Il casus belli, secondo la narrativa ufficiale del Cremlino, è la necessità di “smilitarizzare” e “denazificare” l’Ucraina, assicurando la piena indipendenza delle regioni di Donetsk e Luhansk. Gli eventi e l’evolversi della guerra nei suoi primi 100 giorni dimostrano invece quanto Putin sia ossessionato dalla storia. Nel pittoresco quadro di politica interna ed esterna russa, patriottismo sovietico e nazionalismo russo si uniscono per riportare nuovamente in vita una Russia che si contrappone al globalismo e agli Stati Uniti e Occidente.

Una missione che vede protagonista i “compatrioti”, cioè il popolo russo e i russofoni a cui Stalin rivolse il suo ringraziamento dopo la vittoria della Seconda guerra mondiale. Il popolo russo incarna l’altro elemento fondante della relazione con Putin: la fede ortodossa nel patriarcato di Mosca, il cui patriarca Kirill è uno dei principali sostenitori della guerra in Ucraina. Ma la mobilitazione quasi totale chiesta di Putin per portare al “raggiungimento degli obiettivi” della guerra rischia di incrinare la relazione pluridecennale tra russi e il loro leader.

Mentre Putin riceve informazioni inesatte dai generali su quanto accade in battaglia, le truppe russe concentrano la loro massiccia forza su Severodonetsk, la città ucraina bombardata da settimane il cui esito potrà cambiare la dinamica del conflitto. Come dimostra una recente analisi dell'intelligence britannica, i russi stanno mandando a Severodonetsk riservisti poco armati e addestrati del Donetsk, per risparmiare le loro truppe esauste. Putin ha quindi pronunciato una sentenza di morte per questi militari poco preparati, presentando la decisione come una spinta patriottica per portare al termine il conflitto.

D’altronde, la sua macchina da guerra funziona di concerto con un altro strumento, altrettanto pervasivo e potente, quale è la propaganda interna. Media e social network occidentali sono ormai chiusi in Russia, dove è stata introdotta una dura legge contro le “fake news” che sembra prendere di mira i giornalisti, anche stranieri. Ma se la presa sui media nazionali era finalizzata a rafforzare il culto del leader russo, Putin ha visto il suo alto consenso popolare in discesa costante, già prima dello scoppio della guerra in Ucraina.

Putin non deve vincere la guerra, ma neppure perderla

A porre un freno alla presa di Putin sul popolo russo è stato l’attivismo di Alexey Navalny, il dissidente russo condannato a più di nove anni di carcere, che ha pubblicato uno video in cui denunciava la corruzione delle élite russa, puntando il dito principalmente contro Putin. La pubblicazione del filmato è stato un contrappeso alla popolarità di Putin, motivo di massima preoccupazione per il Cremlino, dal momento che lo status incontrastato del leader russo e il suo alto indice di gradimento sono il fondamento stesso della stabilità politica russo.

La mobilitazione totale delle truppe in Ucraina, che renderebbe la guerra un fatto inevitabile della vita russa, rivoluzionerebbe il regime che Putin ha costruito da quando è salito al potere nel 2000. Il Putinismo è stata una formula quantomeno vincente: il governo ha scoraggiato le persone dall'interessarsi degli affari politici, e i russi hanno la ceduto la propria responsabilità nel processo decisionale.

Un accordo simile è stato preso all’indomani del massacro di Piazza Tiananmen a Pechino nella notte tra il 3 e il 4 giugno 1989, quando l’esercito cinese ha sedato con la forza le manifestazioni di giovani e lavoratori che duravano da settimane. La paura del Partito comunista cinese di perdere il controllo del Paese si è trasformata in una violenta repressione dell’esercito cinese che ha portato a migliaia di morti, anche se il governo di Pechino ha riconosciuto il decesso di 300 persone.

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All’indomani di quel massacro, che Pechino definisce “incidente”, è stato siglato un patto non scritto tra opinione pubblica e Partito: la garanzia del benessere economico in cambio della rinuncia ad alcune libertà personali e politiche. Il “patto sociale” ha permesso alla Cina di diventare l’attuale potenza economica, tecnologica e geopolitica mondiale. A Pechino, come a Mosca, però, il legame tra popolo e governo si sta rompendo, a causa della miopia dei loro leader.

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