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Venerdì, 26 Aprile 2024
Calcio

Due anni di Mourinho-Roma in 4 punti: perché deve restare (e perché no)

Crescaono le chance di rivedere il tecnico portoghese sulla panchina giallorossa per onorare il suo ultimo anno di contratto. L'analisi del suo operato da due prospettive differenti

Terminata la stagione, nella sponda giallorossa della capitale tiene banco il rebus legato alla permanenza di José Mourinho nella capitale. Personaggio vincente, ma divisivo, tanto da suscitare reazioni contrastanti senza mai lasciare indifferenti gli appassionati di calcio. A ventiquattro mesi dal suo arrivo alla Roma, è d’obbligo un bilancio in quattro punti, stilato però dalle due rive opposte del fiume: quella della nutrita schiera di sostenitori del tecnico portoghese, che il popolo giallorosso ha eletto ad autentico simbolo del nuovo corso romanista, e quella dei suoi critici, in una sorta di confronto a distanza.

Perché promuovere Mourinho: l’opinione degli estimatori

La mentalità – E’ da sempre uno dei punti di forza dello "Special One". Saper portare i giocatori al di là dei propri limiti, trasmettere l’idea che l’impresa, per quanto difficile, possa trasformarsi in un traguardo raggiungibile ha da sempre caratterizzato Mou. Unanime, sotto questo punto di vista, il giudizio di tanti giocatori che lo hanno avuto come tecnico ed hanno indicato proprio la “forma mentis” vincente come il motivo del cambio di passo nella partite che contano, nelle sfide da dentro o fuori quando non si può sbagliare, quella insomma che fa la differenza tra una vittoria ed una sconfitta. Come capitato del resto a Roma nella Conference League l’anno scorso ed in Europa League, col secondo trionfo continentale consecutivo sfumato solo ai rigori.

La leadership – José da Setubal è forse l’unico allenatore nel panorama internazionale capace di svolgere un ruolo di mental coach a 360°, coinvolgendo l’intero ambiente e forgiandolo in quelle che sono le sfide del gruppo. In una piazza affamata come Roma ha trovato terreno fertile, divenendo ben presto il riferimento del popolo giallorosso. Ha simbolicamente fatto tendere a tutti l’orecchio per ascoltare quel rumore dei nemici a lui noto, indicando l’avversario contro cui combattere: dalla squadra da sconfiggere ai “poteri forti”, dai regolamenti sbagliati alle decisioni arbitrali avverse. Spietato nelle sue epurazioni ma al contempo comprensivo nei confronti del gruppo, addirittura commosso al termine delle due avventure europee, tra lacrime di gioia nel 2022 e di rabbia dodici mesi più tardi.

I risultati in Europa – Ha riportato un trofeo a Roma conferendo nuovamente alla società giallorossa una dimensione europea. Sarà anche stato il titolo continentale meno nobile, ma intanto fa bella mostra nella bacheca giallorossa che da oltre due lustri era restata chiusa a chiave. Ha perso, a Budapest, quella che contava di più, ma è comunque arrivato giocarsi la finale lì dove molte altre realtà decisamente più blasonate non sono state in grado di arrivare, dal Barcellona al Manchester United, passando per Arsenal e Juventus. Sarà anche vero che conta poco quando alla fine è qualcun altro a festeggiare, ma quel “protocollo-Europa” che ha reso celebre Mourinho fino a farlo diventare uno dei tecnici più vincenti nella storia delle coppe, ha trovato applicazione in questo biennio anche a Roma, dove l’ultima finale europea disputata era datata 1991.

Mercato – Mou ha svolto anche il compito di garante nell’allestimento della squadra. A prescindere dalle problematiche fisiche che ne hanno condizionato la stagione, elementi come Wijnaldum e Dybala forse non avrebbero scelto Roma senza la sua mediazione. O come Matic, arrivato per condividere con lui la prima esperienza italiana. Se è vero che blasone e stipendio costituiscono elementi che portano a privilegiare una società piuttosto che un’altra, la presenza dello “Special One” è un valore aggiunto che può far pendere l’ago della bilancia nell’ambito di una trattativa.

Perché bocciare Mourinho: l’opinione dei detrattori

Il gioco – Magari non sarà triste come è stato etichettato dall’entourage del Bayer Leverkusen (eliminato dalla Roma nella semifinale di questa edizione, e la componente “rosicata” incide nel giudizio), ma ad entusiasmare sono stati i risultati – perlomeno quelli europei – non certo il gioco. Il “fine giustifica i mezzi”, giusto, ma intanto è saltato subito all’occhio come quest’anno si siano viste due versioni della Roma: quella con Dybala, cioè con un fuoriclasse che con le sue giocate decide le partite, e quella senza, con la luce della manovra offensiva ad accendersi ad intermittenza peraltro molto spesso in concomitanza con le situazioni d’attacco su palle inattive. Che vanno allenate, portano anch’esse al gol e pertanto sono un’arma che va sfruttata. Ma non possono essere una risorsa così rilevante nel bilancio delle reti segnate, che in serie A sono state oggettivamente poche.

La Champions – Al netto delle considerazioni di Mourinho sul valore della squadra rapportato a quello delle dirette concorrenti per i primi quattro posti, il non aver centrato la Champions per il secondo anno consecutivo non può non essere considerato un fallimento. D’altronde, le dichiarazioni di società e giocatori – a partire dal 2021 – erano state piuttosto chiare su quali fossero le ambizioni della Roma. Non certo vincere lo scudetto, ma tornare nell’Europa che conta quello sì. Legittimo puntare sull’Europa League come strada per raggiungerla, ma sacrificare sull’altare della coppa quanto di buono fatto in campionato con la frenata finale (sette punti nelle ultime otto), oltretutto in un anno con la Juventus penalizzata e l’Atalanta in panne nelle vesti di competitor molto meno agguerrite, non ha pagato. Resta anche il dubbio se, dal punto di vista meramente economico, non sarebbe stato meglio puntare più su un più remunerativo quarto posto in A piuttosto che perseguire – oltretutto inutilmente – il secondo anello europeo.

La rosa – Vendere per poi comprare rappresenta il modus operandi della Roma, anche in considerazione dei paletti del FFP. E questo può rappresentare un problema nel caso in cui non ci sia stata un’adeguata valorizzazione dell’organico. Si è parlato del sacrificio di Abraham, per il quale però – infortunio a parte – era complesso pensare di ottenere gli stessi importi di dodici mesi fa, visto il calo prestazionale dell’attaccante. Tanti i giovani interessanti, e magari futuribili, che sono stati fatti debuttare, ma alla resa dei conti ad essere rivalutate sono state pedine come Matic e Smalling, stabilmente ai vertici delle classifiche di rendimento nei rispettivi ruoli, che di mercato ne hanno poco. Alla fine a fare le valigie sarà con ogni probabilità Ibanez, apparentemente l’unico a poter garantire un tesoretto da reinvestire con Llorente eventualmente pronto a prenderne il posto.

Le polemiche – Tasto dolente, questo. Perché non di rado Mourinho ha indicato nella mala gestione arbitrale (o presunta tale) ed in una Roma piccolina agli occhi del potere (citazione) le zavorre che hanno appesantito il cammino della squadra, secondo un copione già visto in passato. Ma la “macchia” dell’attacco frontale a Taylor, fischietto della finale di Europa League, prima in conferenza stampa e poi nel rendez-vous avvenuto nei parcheggi (dove è stato definito “una disgrazia”), sarà difficile da ripulire. Sinceramente sfugge l’utilità di sparare ad alzo zero sul palazzo e sulla classe arbitrale, nell’ottica di quel salto di qualità auspicato dal club, trovando inoltre la sponda del popolo giallorosso che ha riversato sull’arbitro inglese la frustrazione per il k.o. e nella sua direzione di gara la causa della sconfitta, nonostante sia comprensibile la rabbia seguente ad alcune decisioni a dir poco discutibili nel match contro il Siviglia. Per Mou gira la voce di una squalifica dell’Uefa, per la Roma forse il dubbio che tale reiterata riottosità possa produrre un saldo negativo nel rapporto benefici-svantaggi, qualora l’allenatore portoghese rimanga nella capitale.

Ma alla fine, Mourinho resterà?

Curioso a dirsi, ma anche sulla permanenza di José a Roma si registrano voci discordanti a seconda della sponda da cui si osserva la vicenda. Nel giro di campo al termine di Roma-Spezia, ha dispensato applausi, saluti, ma anche un rapido gesto con l’indice della mano destra rivolto verso il terreno, quasi a voler dire “Io resto qui”. Chi lo ama lo ha interpretato come il segno di un legame ancora forte, che va oltre le sconfitte e destinato a consolidarsi, mentre chi non lo digerisce, oltre a sottolineare la platealità di quel gesto trovandolo in linea con il suo smodato istrionismo, sospetta che sia la mancanza di alternative all’altezza delle sue aspettative economiche e delle sue ambizioni a legarlo a Roma fino alla scadenza del suo contratto, tra un anno. Giudizio severo, chissà se anche giusto. Ma non se la prenda, mister: in fondo nemmeno Gesù piaceva a tutti. Lo ha detto una volta in tv il signor José Mourinho…

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