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Domenica, 28 Aprile 2024
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Michela Murgia e il tumore: come ha vissuto e raccontato la malattia

Un cancro al polmone nel 2014, poi al rene e in poco tempo le metastasi sono dilagate, ma la scrittrice ha sempre abbracciato la realtà senza farsi sconti

"Dal quarto stadio non si torna indietro". Con queste parole sferzanti Michela Murgia lo scorso maggio aveva fatto sapere che il tumore non solo era tornato, ma stavolta non le avrebbe lasciato scampo. Da quel momento - in realtà da qualche tempo prima, appena appresa la spietata diagnosi che ha poi condiviso pubblicamente quando si è sentita pronta - non è iniziata la lotta, quella che quasi tutti i pazienti oncologici portano avanti pieni di speranza anche se c'è ben poco da sperare, ma la convivenza con la malattia. Malattia a cui non ha mai dato un nome proprio - anche questa, cosa ormai diffusa per focalizzare il nemico da abbattere - e neanche comune, ma che fin da subito ha avuto il coraggio di chiamare come si chiama e come più fa paura. Cancro.

Niente giri di parole, niente sconti. Michela Murgia sapeva che sarebbe morta e sapeva di non avere ancora molto altro tempo a disposizione, al contrario di quando arrivò la prima diagnosi, nel 2014. Quella volta il tumore era al polmone e lo curò, ma qualche anno dopo trascurò alcuni controlli a causa del Covid e la doccia divenne gelata. Il cancro tornò al rene, con metastasi ai polmoni, alle ossa e al cervello. Il racconto di quella giornata, e delle sue emozioni, è nel libro "Le tre ciotole", l'ultimo, scritto dopo la diagnosi. Da quel momento ha iniziato una immunoterapia a base di biofarmaci: "Non attacca la malattia, stimola la risposta del sistema immunitario - aveva fatto sapere - L'obiettivo non è sradicare il male, è tardi, ma guadagnare tempo".

A proposito del tempo, la scrittrice con la malattia lo ha rivalutato. Quello passato e quello che le restava a disposizione. In più di un'occasione ha detto di non avere paura di morire: "Ho cinquant'anni, ma ho vissuto dieci vite. Me ne andrò piena di ricordi. Mi ritengo molto fortunata. Ho incontrato un sacco di persone meravigliose". Nessun rimpianto, dunque, e un senso di responsabilità ancora più spiccato nei confronti della società e di se stessa. Gli ultimi mesi della sua vita, infatti, Michela Murgia li ha trascorsi con le persone più care - la sua queer family, in un appartamento a Roma - a godere dei piccoli momenti di felicità diventati sempre meno trascurabili, e a portare avanti con le ultime forze un'altra lotta, quella per la libertà (e il riconoscimento legale) di unioni tra più persone al di là di rapporti di sangue o romantici, andando oltre la visione più patriarcale dell'istituzione matrimoniale (a cui anche lei si è dovuta 'piegare', provocatoriamente e controvoglia, prima di andarsene). Una battaglia che le è costata critiche, ma che allo stesso tempo è la più grande eredità che lascia, insieme alla sua ampia visione della vita.

Michela Murgia non è stata una "guerriera" alle prese con il tumore, ma una donna consapevole e ancora più lungimirante al tramonto della sua vita, al punto di non far mancare la sua frecciata politica neanche quando ormai tutto era perduto: "Spero solo di morire quando Giorgia Meloni non sarà più presidente del Consiglio. Perché il suo è un governo fascista. Quando avevo vent'anni ci chiedevamo se saremmo morti democristiani. Non importa se non avrò più molto tempo: l'importante per me ora è non morire fascista".

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